La Corte dei Conti critica aspramente il sistema dell’ottopermille e la sua gestione.

La delibera, a sorpresa, della Corte dei Conti

Con la delibera 16/2014/G la Corte dei Conti ha esaminato e aspramente criticato in 97 pagine  il sistema dell’ottopermille e la sua gestione.  E’ la prima volta che succede  da parte di una istituzione della Repubblica. La delibera   è stata resa nota il 28 novembre. A  quanto mi risulta, solo “Il Fatto Quotidiano” ha informato di essa  il giorno successivo, mentre il Prof. Cesare MIrabelli  ha fatto  una difesa d’ufficio di tutto il sistema sull’Avvenire di domenica  senza una vera replica di  merito  alle osservazioni  della Corte, che sarebbero di natura politica.  Il rapporto è impietoso: ben pochi tra i contribuenti  conoscono che le somme non optate vengono ugualmente distribuite sulla base delle opzioni realmente fatte; le somme così  distribuite sono  ingenti (sono quintuplicate in valori reali  dal 1990) e la percentuale dell’ottopermille che avrebbe dovuto essere ridiscussa ogni  tre anni da una commissione paritetica Governo/CEI è rimasta sempre invariata e mai veramente messa in discussione; le religioni senza intesa non godono dell’ottopermille grazie al  “pluralismo religioso imperfetto “ che esiste nel nostro paese; il sito ad hoc della Presidenza del Consiglio documenta male tutto il sistema e soprattutto non ci sono serie verifiche sull’utilizzo di quanto trasferito; i fondi destinati a scopi caritativi sono del tutto insufficienti rispetto alle risorse distribuite; per quanto per  riguarda i fondi a destinazione statale (conseguenti alle opzioni espresse in questo senso, sono 170 milioni per quest’anno)  la Corte sostiene che la destinazione di essi a finalità diverse da quelle previste esplicitamente dalla legge (fame nel mondo, calamità naturali, rifugiati, beni culturali)  “è contraria ai principi di lealtà e di buona fede” ; sull’uso di questi fondi statali e sulla possibilità dell’ opzione per lo Stato non è mai stata fatta alcuna pubblicità. La Corte constata fatti ed emette giudizi fondati  sul buon senso e su principi di equità che i cattolici critici, in primis“Noi Siamo Chiesa”, hanno fatto presente   da anni scontrandosi  con  una generalizzata omertà , che viene auspicata e anche sollecitata dal nostro sistema ecclesiastico, a partire dalla Conferenza episcopale.

Il meccanismo organizzato dalla gestione Ruini

Approfitto di questo importante e clamoroso  intervento, che bisognerà meglio approfondire e divulgare, per aggiungere, dall’interno della Chiesa, alcune informazioni e considerazioni. La condizione di privilegio della Chiesa cattolica nel nostro paese è unica in Europa; in Spagna, per esempio, dove il sistema è simile al nostro, la percentuale sull’imposta è del settepermille e soprattutto non è prevista la distribuzione della quota di gettito relativa a chi non ha fatto alcuna opzione. La gestione del miliardo molto abbondante che la  CEI riceve ogni anno  è molto centralizzata (linea Ruini), troppo poco impegnata per interventi caritativi (il 23%, di cui solo l’8% al terzo mondo), troppo per culto e pastorale (43%)  e per il sostentamento del clero (33%).  Di questo abbiamo scritto tante volte, in particolare del rapporto autoritario centro/diocesi e della ipertrofica  struttura centrale degli uffici CEI che è stata organizzata negli ultimi venticinque anni. Mi preme però ricordare in particolare il sistema di finanziamento degli strumenti di comunicazione messi in opera (Sir, Radio inBlu, l’ “ Avvenire”,  TV2000 e altro). La legge (art.48 della legge 222 del 1985) prevede che il gettito dell’ottopermille sia destinato a solo tre voci (culto, clero, carità). Questa norma viene aggirata obbligando le diocesi, con una rigida e segreta disposizione interna, a “restituire”  a Roma per le costose strutture mediatiche una quota di quanto ricevuto dal centro dai fondi dell’ottopermille  . Ancora: la legge 222  (art.44)obbliga la CEI a rendicontare annualmente al Ministero dell’interno l’impiego delle somme ricevute. Sul sito della CEI e sul sito dell’ottopermille si possono leggere questi rendiconti e questo fatto è ampiamente propagandato come segno di grande trasparenza e garanzia di buon uso del gettito. Per la verità chi li legge  si accorge subito della loro debolezza, un bluff, diciamolo chiaramente, poiché la disaggregazione  delle  voci previste è molto  insufficiente e tale da non soddisfare chi avesse    minime esigenze di conoscere concretamente i veri ultimi destinatari delle risorse distribuite. La discrezionalità che la presidenza della CEI si è concessa è veramente troppo estesa.

Nella Chiesa tutto è segreto di curia

Inoltre, dal 1998 come conseguenza di uno scandalo che coinvolse la diocesi di Napoli, la CEI invitò/obbligò i vescovi a rendere pubblici gli impieghi delle somme ricevute per scopi di carità dagli uffici centrali della CEI. Queste rendicontazioni  sono divulgate poco e male e la loro lettura, quando possibile, testimonia criteri di spesa del tutto diversi da diocesi a diocesi, difficili da capire e, anche in questo caso, senza disaggregazioni. Ma la questione principale, sempre ragionando dall’interno della Chiesa, riguarda la segretezza sulle gestioni economiche – che sono tante e importanti- della Chiesa italiana. Solo a livello parrocchiale  (e in modo molto differente e discontinuo da luogo a luogo) si possono conoscere  bilanci, più o meno comprensibili.  I bilanci delle curie diocesane e degli Istituti diocesani  per il Sostentamento del clero (e di quello centrale che gestisce la relativa voce  dell’ottopermille)  sono segreti di Chiesa, come se i beni della Chiesa non fossero   di tutto il Popolo di Dio. Idem per i patrimoni e le gestioni degli ordini religiosi. Da qualche notizia di stampa, per casi clamorosi e da notizie informali su queste questioni che tanto impegnano i vescovi e le curie, si intuisce che ci siano spesso problemi, incapacità, sperperi, magari imbrogli e, periodicamente, spese faraoniche, opere inutili  così come problemi obiettivi nel gestire entrate e spese di grande rilevanza, anche sociale. Ci sono poi  le difficoltà nei rapporti interni  alle micro e macro strutture  del mondo  cattolico. Anche i vescovi considerati progressisti quando si tocca questo argomento, si chiudono a riccio nel circuito del loro mondo ecclesiastico.

Il problema di un’opinione pubblica cattolica

Il problema è che , come sostiene da anni “Noi Siamo Chiesa”, è necessario che nasca una opinione pubblica cattolica che, senza timori e pigrizie, pretenda e intervenga per ottenere pubblicità, trasparenza e condivisione nelle sedi opportune (consigli pastorali) oppure anche con iniziative dal”basso” senza alcuna forma canonica. Questa opinione cattolica potrebbe essere lo strumento per mettere tutto in discussione, sia pure gradualmente,  avendo come punto di riferimento le parole di papa Francesco sulla povertà della Chiesa e nella Chiesa. E’ mai possibile che si snobbi in questo modo il papa quando dice cose semplici ed evangeliche? La proposta della Chiesa povera è stata sempre  presente nella Chiesa , anche se ai margini. Papa Francesco si limita a dire quello che i suoi predecessori  non dicevano più da molto tempo. Per esporla nella sua completezza la proposta di NSC, dopo le  riflessioni generali, ha una sua immediata concretezza. E’ quella   di chiedere la riduzione della quota dell’ottopermille  in modo da azzerarla nell’arco, per esempio, di dieci anni e senza mettere in discussione pregiudizialmente  tutto il  Concordato. Essa permetterebbe a tutte le strutture della Chiesa di ridurre gli sprechi, razionalizzare gli interventi, sollecitare la base cattolica a contribuire , fare così del problema delle risorse un problema del popolo cristiano, come già avviene nella gran parte degli altri paesi (anche di quelli a maggioranza cattolica)  e soprattutto di andare nella direzione della fedeltà all’Evangelo.

Vittorio Bellavite, coordinatore di “Noi Siamo Chiesa”

 

la delibera è integralmente scaricabile da questo link

Fai clic per accedere a delibera_16_2014_g-CortedeiConti_(1).pdf

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