LA POVERTA’ ALL’EPOCA DELL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA

Salvatore Lezzi

Il rapporto sulla povertà in Italia pubblicato dalla Caritas nel novembre del 2023 ci ha consegnato la fotografia di un Paese disuguale nel quale cresce il numero delle persone che non riescono ad avere un livello di vita dignitoso e che nel 2022 sono state 5.673.000, cioè quasi il 10% dell’intera popolazione italiana. Se poi si considerano i dati relativi alle persone a rischio di povertà e di esclusione sociale, l’incidenza percentuale sul totale dei cittadini diventa più alta perché riguarda circa 14.304.000 persone pari al 24,4% della popolazione.

Questi dati, di per sé allarmanti e che richiederebbero una serie di interventi socioeconomici capaci di ridurre i numeri della povertà, diventano ancora più drammatici in quanto non sono omogeneamente ripartiti tra tutte le aree del Paese ma sono maggiormente significative nelle regioni meridionali. Infatti se si prende in esame il dato delle persone che sono e rischiano fortemente di essere in condizione di povertà e di esclusione sociale, si nota che nel 2021 le percentuali che interessano le regioni del Nord oscillano tra il 16,1% del nord-ovest e il 12,6% del nord-est e risultano in diminuzione nel 2022; nelle regioni del sud e delle isole si raggiunge la spaventosa percentuale del 40,6% sia per il 2021 che per il 2022. Quindi il Sud non solo non riduce la propria percentuale di rischio di povertà e di esclusione sociale ma vede aumentare il divario rispetto alle regioni del centro e del nord.

Ora, è abbastanza evidente che le fredde cifre delle percentuali sono la risultante delle precarie condizioni di vita di milioni di persone. Se proviamo a definirle meglio possiamo dire che si tratta dell’impossibilità, per queste persone, dell’accesso ai “consumi” necessari per una vita dignitosa e cioè l’alimentazione, la salute, il vestiario, la casa, l’istruzione.

Un’altra particolarità che ci viene restituita dal rapporto Caritas è rappresentata dal fatto che la metà delle famiglie povere (circa un milione) ha uno dei componenti (quasi sempre il capofamiglia) che risulta essere occupato e dunque ha un lavoro che evidentemente è un lavoro povero. In altri termini un lavoro per cui si riceve una retribuzione che non consente di “assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un livello di vita dignitosa” (art. 36 Cost.) È questa una specificità del nostro Paese ove continuano a persistere tantissime debolezze del “mercato” del lavoro.

Il rapporto della Caritas le chiama per nome, “ampia diffusione di occupazione a bassa remunerazione e bassa qualifica soprattutto nel settore terziario, diffusa precarietà, forte tendenza a lavori irregolari, marcato utilizzo di contratti non standard (soprattutto tra i giovani), forte incremento dl part time involontario, stagnazione dei salari, basso tasso di occupazione femminile, marcate differenze tra nord e sud, dualismo tra lavoratori con contratto stabile e lavoratori precari…”. Le organizzazioni sindacali, da tempo e pur con qualche differenza, hanno posto al centro di iniziative nazionali di mobilitazione e di protesta esattamente queste fragilità che si vanno sempre più acuendo e rispetto alle quali sono mancate, al momento, significative attenzioni o necessarie inversioni di rotta.    

D’altro canto la dottrina sociale della Chiesa ha sempre messo in evidenza il principio per il quale ogni essere umano (ovviamente non dei soli cittadini) ha diritto all’assistenza, all’integrità fisica, ai mezzi indispensabili e sufficienti per un dignitoso tenore di vita, specialmente per l’alimentazione, il vestiario, l’abitazione, il riposo, le cure mediche, i servizi sociali necessari… (Giovanni XXIII° , enciclica “Pacem in Terris”). Papa Francesco, nel messaggio di apertura della VII Giornata  dei poveri ha avuto modo di dire che c’è “un fiume  di povertà che attraversa le nostre città e che diventa sempre più grande fino a straripare; quel fiume sembra travolgerci, tanto  il grido dei fratelli e delle sorelle che chiedono aiuto sostegno e solidarietà si alza sempre più forte”.

Come si risponde a questo grido? La risposta interpella ciascun cittadino, quale che sia la sua condizione sociale, economica, se abiti al sud o al nord, che sia credente o no. Ovviamente le risposte sono richieste a tutte le componenti del mondo sociale, economico e politico ma soprattutto a chi ha il potere decisionale e di governo.

In una situazione come quella descritta dal rapporto della Caritas e confermato da studi di altri organismi e associazioni non solo italiane che si occupano a diversi livelli della stessa questione (vedi rapporto Oxfam sulla ineguaglianza della distribuzione delle risorse nel mondo)*, occorrono, e con urgenza, credibili e concrete politiche sociali ed economiche che si pongano quale obiettivo la riduzione significativa, se non proprio l’annullamento, delle differenze generatrici di esclusione e povertà. Occorrono politiche di decisa coesione tra le diverse aree del Paese, privilegiando quelle ove il disagio è più forte, occorre una politica del lavoro che renda lo stesso uno strumento di liberazione, una politica della tassazione delle ricchezze  che chieda di più a chi più possiede, meno a chi possiede meno  e niente a chi non possiede nulla, che sviluppi la dimensione solidaristica e di uguaglianza sostanziale  della società…insomma una politica più conforme al dettato costituzionale come delineato negli artt. 2, 3, 4, 36, 53….della Costituzione.

Assistiamo, per contro, che dal linguaggio comune sono sparite alcune significative parole e ne sono state coniate altre al loro posto, con tutto il carico di significato di cui sono portatrici. Non si parla più di “coesione” di “inclusione” ma si privilegia la “differenziazione”, parlare di “assistenza” sembra quasi una bestemmia,  i “livelli essenziali di assistenza” sono magicamente diventati “livelli  essenziali di prestazioni” come se si trattasse di sinonimi.

Il fatto è che il cambiamento dei termini utilizzati dal vocabolario politico, ed amplificato banalmente dai linguaggi dei media, è il segno del cambiamento del paradigma stesso del ruolo dello Stato le cui politiche e sembrano discostarsi pericolosamente dall’impianto valoriale della costituzione e contribuiscono a creare una sorta di assuefazione alle  risposte al ribasso che accrescono i problemi , senza risolverne  neanche uno, e le disuguaglianze che, anzi, aumentano.

Quanto ciò sia compatibile con una visione costituzionale delle politiche sociali, del lavoro, della convivenza civile, è una riflessione doverosa che coinvolge tutti i cittadini e le loro rappresentanze politiche ed istituzionali con l’intento di riaccendere la passione per la partecipazione democratica alle scelte vitali del Paese.

E quanto le disuguaglianze siano lontane anche da una logica evangelica, per quanti ad essa fanno riferimento per la propria coscienza e per le proprie conseguenti scelte di vita, è pure evidente. E’ pertanto necessario, in questa stagione di appuntamenti democratici (elezioni europee e amministrative regionali,) un vigoroso sussulto di impegno e di partecipazione capace di determinare una inversione di rotta verso scelte politiche che favoriscano  la centralità della persona, la dignità di tutte le persone.

San Pancrazio Salentino, 03 febbraio 2024

*Rapporto Oxfam Italia 2024

“La ricchezza dei cinque miliardari più ricchi al mondo è più che raddoppiata, in termini reali, dall’inizio di questo decennio, mentre la ricchezza del 60% più povero dell’umanità non ha registrato alcuna crescita. In Italia, a fine 2022, l’1% più ricco era titolare di un patrimonio 84 volte superiore a quello detenuto dal 20% più povero della popolazione, la cui quota di ricchezza nazionale si è dimezzata in un anno. Per anni Oxfam ha lanciato l’allarme sull’estremizzarsi della disuguaglianza, ed oggi, agli inizi del 2024, il vero pericolo è che questa incredibile divaricazione diventi la normalità. Il potere economico, la sua estrema concentrazione e le rendite di posizione associate favoriscono l’accumulazione di enormi fortune nelle mani di pochi e generano ampi divari nella società. Il potere politico e l’uso che ne viene fatto costituiscono una leva potentissima per contrastare o al contrario alimentare le disuguaglianze. Siamo davanti a un bivio: tra un’era di incontrollata supremazia oligarchica o un’era in cui il potere pubblico riacquista centralità promuovendo società più eque e coese ed un’economia più giusta ed inclusiva.”

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