LE DONNE MODERNISTE IN ITALIA

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Antonio Greco

L’origine della Festa delle Donne risale ai primi del Novecento: l’origine più accreditata dell’8 marzo è una tragedia accaduta l’8 marzo 1908.

Pochi mesi prima, l’8 settembre del 1907, Pio X emanava la celebre enciclica di Pio X “Pascendi Dominici gregis” con la quale papa Sarto definiva il modernismo non solo come un’eresia, ma addirittura come la «sintesi di tutte le eresie».

Non vi è alcuna connessione tra le due date. C’è solo una curiosa coincidenza che però stimola a riflettere, con uno sguardo storico, sulla “questione femminile” odierna, particolarmente sulla evidente e gravissima stortura della situazione delle donne nella chiesa romana.

Fulvio De Giorgi, con la sua ricerca dal titolo “Il modernismo femminile in Italia” (Morcelliana, Brescia, ottobre 2023, pp.241) ci aiuta brillantemente a porre l’attenzione alla questione femminile all’alba del moderno, cioè alla fine dell’800 e inizi del ‘900.

Il libro è, come lui stesso afferma, il completamento dell’importante volume dello stesso De Giorgi, La scuola italiana di spiritualità. Da Rosmini a Montini (Morcelliana, 2020), in cui non era stato possibile approfondire il contributo di tante intellettuali femminili a questa scuola italiana di spiritualità.

La ricerca, collocata nella famosa collana del “Pellicano Rosso”, è composta da una Premessa, da otto capitoli e dalle Conclusioni.

Il modernismo in Italia e in Europa

Il modernismo fu un fenomeno europeo datato tra la fine dell’800 e l’inizi del ‘900. A causa, credo, anche della più nota e drammatica vicenda di Ernesto Buonaiuti, il pensiero comune è che sia stato solo un fenomeno relegato all’ambito religioso e per di più solo un fenomeno maschile.  

Da molto tempo si convive con la contraddizione e il disagio di un concetto («il modernismo») definito sistematicamente -per l’ambito degli studi religiosi- non da storici con criteri scientifici ma dall’enciclica Pascendi (1907) con semplificazioni arbitrarie di controversistica polemica” (pag. 9). Quello della Pascendi è però una comoda, ancorché infelice, approssimazione. Nella condanna, l’enciclica mette insieme le diverse linee (quella filosofica, quella degli studi storico critici, quella della storia della chiesa, quella sociale e sindacale, quella scientifica evoluzionistica) dell’ampio movimento, animato dal desiderio di conciliare il cattolicesimo con la civiltà moderna ma ciascuna linea aveva prospettive molto diverse. Solo la lotta e la caccia ai modernisti da parte della gerarchia cattolica costrinsero alla distinzione tra modernisti, semi-modernisti, modernistizzanti.

Certamente il modernismo non fu solo un fenomeno maschile. Fu anche un fenomeno femminile con figure intellettuali quasi sconosciute ma molto importanti.

La prospettiva di De Giorgi si muove “avendo entrambi gli scenari sullo sfondo, quello femminista e quello modernista, ciascuno inteso come complesso di relazioni, nelle loro distinzioni e ancor più nei loro rapporti” (pag. 11).

Negli ultimi decenni del secolo XX i punti di vista storiografici del rapporto tra modernismo e femminismo possono essere sintetizzati essenzialmente in tre:

  1. il modernismo come “cavo”: per tutti gli anni Settanta del Novecento il movimento modernista “era visto come un “cavo”, formato da un certo numero di fili tra loro intrecciati, cioè da un certo numero di intellettuali che si incontravano in pratiche estetiche condivise: si trattava, perciò, di un’esperienza ben delimitata che lasciava fuori molte personalità creative, soprattutto donne, non-bianchi, queer, post-coloniali, come pure risultava geograficamente confinato nell’area atlantica, angloamericana”. La critica femminista ha messo in discussione questo canone, ristretto e delimitato, per poi riconfigurarlo;
  2. Il modernismo come “calamita”, ossia i modernismi multipli: il modernism diventa un ambito che ha attratto e orientato più personalità in molti e diversi settori, di portata transnazionale e globale. Il fenomeno viene letto come un prisma culturale, come un campo magnetico in cui entrano anche le dinamiche religiose e spirituali, in continuo cambiamento. Il modernismo, in questa lettura, corre però il rischio di perdere la sua coesione culturale;
  3. L’intermodernismo: questo punto di vista storiografico crea un ponte tra i due territori, quello del femminismo e quello dei modernismi multipli, pur considerandoli nella loro autonoma specificità. Questo punto di vista fa riferimento a studi del 2003 e del 2018, apre in modo trasversale ai modernismi multipli, evita una visione incentrata solo sull’esperienza maschile e riqualifica la stessa categoria di modernismo in modo essenziale.

La ricerca di De Giorgi si serve di quest’ultima fase della metodologia storica e supera brillantemente il disagio critico-ermeneutico di servirsi della categoria di Modernismo definita con criteri non scientifici dall’enciclica papale di condanna Pascendi.

Le protagoniste moderniste

Se cerchiamo di individuare gli ambiti di interesse e di impegno di queste «élites femminili», secondo la felice espressione dei pionieristici studi di Roberta Fossati, sono 5, a mio avviso, i campi emergenti: per ciascuno di tali ambiti indico la figura più rappresentativa: l’ambito dell’attivismo etico con Alice Hallgarten Franchetti; l’ambito educativo con Maria Montessori; l’ambito letterario e giornalistico con Dora Melegari; l’ambito socio politico e milizia democratico cristiana con Adelaide Coari; l’ambito contemplativo, anche accompagnato talvolta da un servizio comunitario, con Valeria Paola Pignetti, cioè sorella Maria Pastorella di Campello” (110). Antonietta Giacomelli, figlia di una pronipote di Antonio Rosmini, è in assoluto la più rappresentativa e in più sensi emblematica tra le donne moderniste italiane e occupa un posto di rilievo in tutti e cinque gli ambiti ed è al centro di varie reti relazionali. Accanto a loro ci sono molte altre donne, non meno rilevanti, come Elisa Salerno, Luisa Anzoletti, Sofia Bisi Albini.

Un capitolo a parte è dedicato a Grazia Deledda, premio Nobel per la letteratura nel 1926.  Spesso chiusa in interpretazioni restrittive, dalla lettura di De Giorgi emerge una Deledda scrittrice originale, contigua sia alla eredità cattolico-liberale che al modernismo (nel senso religioso del modernismo condannato da Pio X) mistico. De Giorgi avanza la affascinante ipotesi critica di attribuire alla Deledda un “modernismo modernista: prendendo il sostantivo riferito al movimento artistico letterario e l’attributo alla linea religiosa novatrice. In tale prospettiva, la Deledda è stata forse la più grande e moderna scrittrice religiosa della letteratura italiana contemporanea: non nel senso edificante di matrice confessionale, come nel «brescianesimo», ma neppure sulla linea del riformismo cattolico alla Manzoni (nella polarità di un Abbondio-fra Cristoforo) o alla Fogazzaro (Benedetto Maironi e il suo programma riformatore) ancorché, certo, più vicina a questi ultimi. E inoltre, la prospettiva deleddiana non era estetizzante ma realista, non però di un realismo naturalista bensì spirituale e così pure non di un misticismo rarefatto ed esangue ma forte e tragico: uno spiritualismo incarnato e di lotta contro il peccato, come nei romanzieri russi, a cui infatti è stata talvolta accostata, e una critica profonda ad ogni terrorismo spirituale (venisse da tradizioni superstiziose, da clericalismi opprimenti o da familismi costrittivi)” (pag 72).

Oltre a Grazia Deledda, De Giorgi colloca nell’intermodernismo anche Maria Montessori e Angela Petracchi Manfroni, questa come esponente di “un altro modernismo educatore”, l’altra come esponente di una “pedagogia della libertà e educazione emancipatrice”.  Grande esperto di Rosmini, De Giorgi dedica pagine molto qualificate al “Froebelismo e modernismo”, alla necessità molto sentita dalla sensibilità di queste intellettuali di rinnovare gli indirizzi pedagogici e, nel settore religioso, dal bisogno di una teologia nuova al femminile.

De Giorgi non ha studiato solo le protagoniste ma anche le reti relazionali, i contatti personali, i convegni e i congressi, le riviste. Da lettore del sud, con amarezza, ho cercato figure femminili meridionali ma ho trovato, eccettuati i nomi di  Angelina Lanza e di Fanny Zampini  Salazar, solo nomi femminili del centro nord, non certo per incompletezza della ricerca ma perché anche in questo settore il sud galleggiava sull’anonimato e sulla rassegnazione.

 La ricerca ricchissima di citazioni e di puntuali riferimenti bibliografici è completata da ben 16 pagine di indice dei nomi, su due colonne.

Il modernismo mistico italiano ovvero la santità post-nietzschiana

Il rapporto tra modernismo e femminismo laico, l’intreccio tra “femminismo pratico” e “modernismo pratico”, la continuità e la contiguità del cattolicesimo liberale con il modernismo… e tanti altri sono i temi affrontati dal libro di De Giorgi. Ne sottolineo particolarmente uno: il “modernismo mistico” che nel modernismo maschile appariva un ambito molto secondario mentre nel modernismo femminile era “prioritario e conquistava quasi tutta la scena” (pag 45).

Fogazzaro, come scrittore, aveva un notevole successo tra le donne. Insieme ad altri modernisti mistici aveva formulato un’idea nuova di santità. Veniva accolta, per certi aspetti, la parte distruttiva della critica di Nietzsche “al mondo greco-cristiano-borghese, all’arido positivismo, al filisteismo delle vecchie tavole dei valori, alla rimozione del tragico e del vitale, ma non accolsero la soluzione nietzschiana: invece di annunciare il Superuomo, annunciarono il Santo, generato dalle «ascensioni umane», per dirla con Fogazzaro” (51). “Non, dunque, l’oltreuomo della Carne, ma la super umanità dello Spirito, dei valori non materiali, della carità e dell’entusiasmo evangelico. In primo piano era posto lo Spirito” (53). Questa nuova visione del modernismo maschile fu co-creata e condivisa dalle donne moderniste. Ma fu anche da esse sviluppata. “Per le donne, in particolare, il confronto con Nietzsche prendeva una sfumatura dilemmatica in più: il Superuomo era intrinsecamente maschilista e dunque da rifiutare o c’era una dinamica più profonda che distruggeva la vecchia cultura con i suoi valori maschilisti di bene e di male?

Questa santità femminile post-nietzschiana si caratterizzava per “non concentrare la vita di fede nel culto -presieduto dai preti- e non guardava neppure con favore al guadagno dell’autonomia attraverso la pratica individuale di devozioncine” (pag 59) e per la emersione di un forte senso del peccato sociale: “cioè dell’ingiustizia sociale come peccato, del male individuale necessariamente collegato al male collettivo, della concupiscenza della carne sempre accompagnata dalla superbia del cuore, cioè da un esercizio cattivo del potere, in genere maschile. E, così, si svilupparono reti di sorellanza, attraverso le tante opere sociali promosse dalle donne delle classi più agiate colte verso le donne delle classi popolari e dei ceti subalterni, spesso vittime di emarginazione, degrado, miseria economica e morale” (58).

Se consideriamo che queste donne hanno operato in tempi in cui la società era fortemente maschilista, se non dimentichiamo che erano fortemente osteggiate dagli ambienti cattolici allineati, ortodossi e normalizzati ed erano spesso oggetto di censure e condanne ecclesiastiche, se  per colpire e ridicolizzare queste “cavalline dello Spirito Santo” o “amazzoni del cattolicismo puro” (com’erano definite) si mossero la Civiltà Cattolica e alti monsignori, se teniamo presente che furono osteggiate anche da alcune donne, di grande carisma, sottoposte alla gerarchia e ostili al modernismo, e che la condanna dei modernisti (o sospettati tali) da parte del Vaticano si è prolungata fino al Vaticano II, capiamo l’importanza di riscoprire quanto sia stato importante il pensiero femminile all’alba dell’età moderna. Non è fuori luogo dire che la novità entrata nel magistero della Chiesa cattolica con Pacem in Terris di papa Giovanni, del 1963, che invitava a considerare come un “segno dei tempi” l’ingresso della donna nella vita pubblica, ha le sue radici nel periodo storico brillantemente studiato da Fulvio De Giorgi.

Il libro di De Giorgi è rivolto all’universo femminile anche se scritto da “un punto di vista maschile (che tende ad assumere il “neutro”, quanto meno come orizzonte comune al di sopra delle differenze di genere e in chiave relazionistica) e perciò parziale: storia femminile e storiografia maschile” (pag 6).

Donne cattoliche e non, più che questa sgangherata recensione, leggete il libro.

Un’ultima data, un’ultima considerazione, a titolo del tutto personale, a conclusione:

Nel 1917, dieci anni dopo le due date riportate all’inizio di questa recensione, entrò in vigore in Codice di Diritto Canonico (CJC), detto anche Codice Pio Benedettino dal papa Benedetto XV che lo aveva pubblicato e poi promulgato. Il movimento modernista fu combattuto dalla gerarchia cattolica prevalentemente con questo strumento. E nei casi in cui la gerarchia non poteva intervenire, vedi il drammatico caso di Buonaiuti, fu combattuto anche con l’aiuto del braccio secolare e del Concordato del 1929.

Oggi, l’impianto “maschilista” della Chiesa romana è ancora saldo in nome del CJC.  Solo la presenza di innumerevoli “servizi” che le donne offrono nella catechesi, negli ospedali, nelle scuole, mantiene in piedi questa secolare istituzione.  Eppure, in essa non trovano posto adeguato le donne. Perdura una incapacità della gerarchia di rendersi conto di una sua sudditanza millenaria a una cultura androcentrica e di cominciare a liberarsene. E non si tratta, per le donne, solo di “prendersi” i ministeri (ordinati) o di combattere teoricamente la cultura androcentrica. Il Codice di diritto Canonico prevede una “chiesa gerarchica” e perciò tutta maschile. Permanendo quel testo vi è una strozzatura invalicabile per qualsiasi riforma.

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