BANDIERA BIANCA

Salvatore Lezzi

Le parole pronunciate da  Papa Francesco all’Angelus del 25 febbraio scorso – in occasione della ricorrenza del secondo anno di guerra in Ucraina- sono state di una chiarezza inequivocabile; ha infatti espresso, per l’ennesima volta, il suo “vivissimo affetto” alla popolazione ucraina e la speranza e l’auspicio che si potessero  “creare le condizioni di una soluzione diplomatica alla ricerca di una pace giusta e duratura.”

Papa Francesco, pertanto, ha evidenziato una preoccupazione – le condizioni della popolazione della “martoriata Ucraina”- ed ha indicato una via, un percorso, per mettere fine alla guerra, “costruire una pace giusta” (ovviamente per le parti in conflitto) e duratura”, ben più di una semplice tregua.

In quella occasione , come in altre precedenti, i commentatori politici e i giornalisti, nella loro gran parte, non si sono occupati molto di riflettere sui termini utilizzati, preferendo far passare il messaggio papale  come una semplice e generica dichiarazione di buoni propositi senza alcuna rilevanza sul piano dell’azione pratica.

Si è preferito esclusivizzare la pur legittima narrazione “aggressore-aggredito” con la conseguenza di rinunciare a cercare vie alternative a quella della necessità di continuare a sostenere, come unica possibilità di soluzione, l’appoggio militare incondizionato e duraturo all’Ucraina aggredita e a potenziare ogni risposta muscolare dell’Occidente da contrapporre alla muscolarità aggressiva  del  neo imperialismo russo.

Il risultato è che questa linea di condotta, unitariamente sostenuta dai Paesi occidentali come esclusiva e senza alternative, non ha prodotto un solo passo avanti verso la fine della carneficina della popolazione ucraina e della distruzione delle città e dell’economia del paese ad opera dell’aggressore.

Eppure vi erano nel messaggio del 25 febbraio, se vi fosse stata la volontà di coglierle,  le condizioni per approfondire, in maniera libera e senza pregiudizi, il portato nuovo delle parole utilizzate da Papa e dei concetti di cui erano l’espressione con il carico dei loro significati : “pace giusta e durevole”

Non si tratta , a mio avviso, di un semplice utilizzo di una parola al posto di un’altra ma del cambiamento di paradigma; mettendo in risalto la parola pace è il concetto di conflitto che viene rimosso dall’orizzonte concettuale delle relazioni possibili sia tra popoli e sia tra Stati.

Il pontefice ha continuamente esortato tutti i contendenti a percorrere altre vie aumentando gli sforzi verso l’unica direzione della ricerca della pace… e con quali (faticosi) percorsi?   Quelli dei negoziati.

E’ questa la parola che fa paura?

Forse è proprio per questo che le parole pronunciate da Papa Francesco nel corso di un’intervista concessa alla Radio Televisione Svizzera sono state messe al centro di un fuoco di fila di dichiarazioni, quasi unanimemente  avverse, da parte di commentatori politici, di esperti di istituti di studi e ricerche militari, di giornalisti  e conduttori di talk show.

Ma non è abbastanza evidente al senso comune che i negoziati sono necessari nelle situazioni di conflitto? E che nei negoziati occorre cercare di costruire a partire dai ( forse pochissimi)  punti di convergenza tra le distinte posizioni, partendo da una preliminare condizione di una tregua che faccia tacere la voce delle armi?

 Equivocare sul termine “bandiera bianca”, equiparando la stessa a “resa incondizionata” dell’Ucraina, costituisce un malevolo espediente per mettere a tacere la voce di chi invoca la pace come bene primario ed assoluto senza ambiguità o tatticismi.

E ciò anche prescindendo dal considerare che l’espressione utilizzata dal pontefice nasceva da un contesto differente sul quale si era soffermata la domanda del giornalista e  alla quale Papa Francesco ha cercato di dare una risposta più ampia e non relativa alla sola questione ucraino/russa.

Eppure il testo della risposta all’intervistatore è chiaro: “più forte è colui che pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca, (cioè)  di negoziare.” E Papa Francesco aggiunge “e oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali” …. “La parola negoziare è una parola coraggiosa”…” “Occorre  avere il coraggio” (anche solo dicendo che lo si vuole) “di negoziare”. “Hai vergogna, ma con quanti morti finirà?”

Ed aggiunge “negoziare in tempo, cercare qualche Paese che faccia da mediatore”. E questa la frase il Papa la pronuncia  per tutte le situazioni di conflitto come si evince dal fatto che solo dopo aggiunge, per il caso dell’Ucraina, “Oggi, per esempio, nella guerra di Ucraina ci sono tanti che vogliono fare da mediatori. La Turchia si è offerta per questo, e altri” . Non abbiate vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggiore..”

Il messaggio è rivolto a tutti, attori principali, registi palesi ed occulti, comparse…e vale per la guerra russo/ucraina, ma anche per quella tra Israele ed Hamas e per tutte le guerre,meno note, sparse nel mondo.

Sono parole nobili, considerate stonate solo da chi canta in coro un’altra canzone seguendo un altro spartito.

Ma sono anche, purtroppo, parole di supplenza in attesa di una parola che le organizzazioni internazionali non pronunciano e decidano interventi che non arrivano, magari inizialmente di sola interposizione tra le forze militari in campo con contingenti forniti da paesi neutrali.

In questo frangente occorrerebbe che i linguaggi bellicisti che sembrano predominare nelle comunicazioni ufficiali delle parti in conflitto  non venissero pedissequamente riprodotti e amplificati nei salotti mediatici ma esaminati criticamente alla luce di quei principi e valori cristallinamente condensati nel testo dell’art. 11 della Costituzione italiana e così tranquillamente messi da parte dalla prassi politico-diplomatica del nostro Paese.

 Occorrerebbe porre fine alle logiche del “riarmo” verbale ancor prima che materiale per aprire la strada, faticosa ma unica, ai negoziati e alla ricerca di una “pace giusta e durevole”.

Chissà che, dopo una -anche solo leggera e superficiale- rilettura di quei principi, ad apparire “distoniche” non siano le parole di Papa Francesco.

foto Osservatore Romano 8 marzo 2024

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