I GRANDI INQUISITORI DI OGGI

Dostoevskij e Franco Cassano

Antonio Greco

Una lettura della Leggenda del Grande Inquisitore[1], molto intrigante per la sua originalità in quanto presuppone le tante letture filosofiche e teologiche ma non le esaurisce, è la lettura politico-sociologica fatta da Franco Cassano nel suo libro L’umiltà del male del 2011[2].

Italo Mancini sosteneva che il domenicano “portava una sua verità” motivandola con “lo stare all’interno della storia[3] di coloro che si dicono cristiani e soprattutto della istituzione ecclesiastica che è la assemblea di coloro che ne fanno parte.

Anche Franco Cassano ritiene che il vecchio inquisitore abbia una sua verità.

«C’è però un interrogativo che la lunga requisitoria del Grande Inquisitore non può non lasciare anche nel lettore più diffidente ed ostile e non è facilmente aggirabile: c’è qualcosa di vero in questa descrizione? Essa è soltanto una miscela di aspirazione al potere, di disprezzo e strumentalizzazione della debolezza degli uomini oppure lascia intravedere un problema che va al di là della semplice polemica di Dostoevskij contro la chiesa cattolica? La storia narrata dall’inquisitore rappresenta solo una forma determinata di potere oppure è qualcosa di più, rappresenta la radice che alimenta ogni potere? E non è la leggenda capace di illuminare come pochi altri testi il rischio che costantemente circonda gli spiriti più elevati, quello di essere così davanti e più in alto rispetto ai propri simili da rimanere soli, poche decine di migliaia contro innumerevole decine di milioni? Così da sembrare molto più che un modello da imitare, qualcosa di inarrivabile lontano? E da lasciare un enorme spazio all’iniziativa di un potere lucido e disincantato, interessato ad esaltare ed assecondare la debolezza degli uomini proprio per farne l’alimento della propria esistenza e stabilità?»[4].

Le risposte a queste domande si trovano nel saggio L’umiltà del male con il quale, a partire da una lucida lettura della Leggenda e, in particolare, dalla complessa concezione del potere che emerge dalla fantasia di Ivan, Franco Cassano individua i pericoli dell’aristocratismo etico in cui sembra caduto l’attuale potere politico.

Pur ritenendo innegabile che nella Leggenda giochi un ruolo decisivo la critica di Dostoevskij alla Chiesa cattolica, per Cassano, «schiacciare quel testo sulla traccia scontata della polemica religiosa significa impoverirlo e banalizzarlo. (…) Il segreto del grande inquisitore è il segreto di una passione per il potere che non è fine a sé stessa, ma nasce da una infinita, e realistica, sfiducia negli uomini, e da un fastidio per l’arroganza degli eletti, per tutti coloro che predicano una virtù che solo loro sono in grado di praticare e che quindi finiscono per disinteressarsi delle vili esigenze dei più. Il suo comportamento è qualcosa di più complesso di un tradimento o di un’abiura, è la percezione di un fianco del mondo che agli occhi dei migliori spesso diventa invisibile, un amore-complicità con la debolezza degli uomini, che permette di governare dispoticamente la vita fino al punto di ritenere giusto mandarne a centinaia sul rogo»[5].

A chi pretende di ricostruire, attraverso la leggenda del Grande Inquisitore, la dinamica del rapporto tra il potere e la debolezza degli uomini, potrebbe essere obiettato che il quadro da essa offerto è troppo ricalcato su una società, come quella spagnola del ‘500, dominata dalla superstizione religiosa (il miracolo), dell’ignoranza (il mistero) e dalla sottomissione acritica e devota a chi comanda (l’autorità). Eppure, se in questi ultimi anni il «poemetto» di Ivan Karamazov è tornato così frequentemente al centro dell’attenzione, in esso, sostiene Cassano, ci deve essere qualcosa che riguarda da vicino la modernità.

Dopo aver fatto riferimento all’accostamento di uno studioso tedesco, Rolf Wiggershaus, della Leggenda a un celebre dibattito radiofonico tra Adorno, nel ruolo dell’irrealismo velleitario di Cristo, e Gehlen, nel ruolo dell’uomo disincantato del Grande Inquisitore, Cassano sostiene che il sì e il no alla prospettiva dell’emancipazione umana è il punto in cui non solo Adorno e Gehlen in quel dialogo radiofonico raggiungono la massima tensione e la massima chiarezza, ma è anche il punto ineludibile con cui i politici seri devono confrontarsi.

La prospettiva dell’emancipazione è ispirata da un’idea alta e nobile di umanità, ma sembra destinata, una volta ad opera del terrore, un’altra ad opera della seduzione, a rimanere irrealizzabile. Rivela una connessione debole con le spinte del presente, appare un programma ambizioso, se è scisso dalle esigenze che maturano più in basso, rischia di essere una confessione di debolezza, lascia, proprio come facevano i 12.000 santi della leggenda, il resto dell’umanità, quella più debole, nelle mani del Grande Inquisitore. «La società dei consumi, proprio come il Grande Inquisitore, è indulgente nei riguardi di tutte le debolezze dell’uomo: suscita i desideri e i sogni degli uomini, li asseconda, li forma e li soddisfa come nessuna società perfetta sarebbe mai capace di fare. Essa vive bene nella sua mediocrità e guarda con scetticismo se non con timore tutti quelli che vorrebbero metterla a dieta seguendo le tabelle della perfezione spirituale. Il mercato, che moltiplica non solo i pani, ma anche tutte le altre merci, non solo non resiste alle tentazioni, ma le suscita, le coltiva e le allarga sistematicamente, conducendo una lotta nascosta, ma estremamente popolare contro tutti coloro che lo criticano in nome di alti principi morali. Esso ride alle spalle delle nobili figure e vuota le piazze che un tempo erano affollate per ascoltarle, riempiendo i centri commerciali, dove l’unica etica da rispettare in modo ferreo è quella di pagare il biglietto. Lì i bisogni sono in vendita e l’imperativo è divertirsi da morire»[6].

Cassano non nega che «per la qualità della vita pubblica di un paese, e in modo particolare del nostro paese, è necessaria una élite di persone capaci e coraggiose, per le quali la parola testimonianza non evoca il processo penale, ma la capacità di fare onore alle proprie idee. Che un’élite di uomini di alta tempra morale sia assolutamente necessaria per la salute di un paese ci sembra quindi un argomento difficilmente controvertibile». Ma il ragionamento di Cassano è un altro: «attirare l’attenzione su un punto solitamente poco esplorato, sui problemi che derivano dal rischio di una possibile distanza fra quell’aristocrazia morale e tutti quelli che, sia pur in misura diversa, non posseggono le stesse virtù. La lettura della Leggenda del Grande Inquisitore che abbiamo proposto è molto diversa da quella più diffusa, che in essa legge una semplice ed esemplare contraddizione tra il male e il bene, tra il potere cinico e spregiudicato del vecchio prelato e la libertà morale rappresentata da Cristo. Il nostro punto di partenza è stato un altro: il Grande Inquisitore vince perché è un profondo conoscitore degli uomini. Alla ferocia della condanna al rogo degli eretici, egli accompagna una grande duttilità e sagacia: non va allo scontro diretto con «i santi» ma lavora ad isolarli da tutti gli altri e, invece di combatterne le debolezze, le riconosce e le coltiva, consapevole che esse costituiscono la fonte vera e solida del suo potere. Al dover essere dei migliori egli contrappone la lucida e disincantata convinzione che l’enorme maggioranza degli uomini non riesce a resistere alle tentazioni, e proprio sulle tentazioni edifica il suo regno. Chi vuole combattere il Grande Inquisitore deve quindi imparare la lezione che viene dal suo soliloquio, evitare che le avanguardie morali si separino dal resto degli uomini».

Come dimostra la figura del Grande Inquisitore, il male è un lucido conoscitore degli uomini e fonda il suo regno sulla capacità di coltivarne le debolezze. E sa adattarsi ai tempi. Se vogliono far crollare questo potere, i migliori devono smettere di specchiarsi nella loro perfezione. Da sempre i Grandi Inquisitori usano questo sentimento di superiorità per isolarli da tutti gli altri, per ridicolizzarne l’esempio e renderli innocui. Chi spera negli uomini deve inoltrarsi nella zona grigia dove abita la grande maggioranza di essi, e combattere lì, in questo territorio incerto, le strategie del male.

Conclude Cassano: “nella partita contro il bene, il male parte sempre in vantaggio grazie all’antica confidenza con la fragilità dell’uomo. Chi vuole annullare quel vantaggio deve riconoscersi in quella debolezza, invece di presidiare cattedre morali sempre più inascoltate”.

La lettura politica e sociologica di Cassano della Leggenda è di dieci anni fa. Dieci anni per la cronaca e i fatti accaduti al potere politico sono tanti. Ma in dieci anni il potere come il lupo può cambiare il pelo ma non il vizio.


[1] Si rinvia alla prima parte dell’articolo LA CULTURA DEL PARADOSSO E LA DOPPIA FEDELTA’, Dostoevskij e Italo Mancini, inmanifesto4ottobre.

[2] Franco Cassano, L’umiltà del male, Laterza, Roma-Bari, 2011, pp.94.

Il libro ha tre parti: La debolezza e il potere; La zona grigia; I nuovi interpreti della “Legenda del Grande Inquisitore” e un Epilogo.

[3] Italo Mancini, relazione dattiloscritta, Brindisi, 1982, pag. 20.

[4] Franco Cassano, op. cit., pag. 14.

[5] Franco Cassano, op. cit., pag. 21.

[6] Op. cit., pag. 63.

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