La storia
Accade tutto in una settimana di maggio: un rito di un matrimonio civile celebrato nella bellissima sala del Palazzo Nervegna di Brindisi, l’annuncio di papa Francesco di una commissione per la remota introduzionedel diaconato femminilenella chiesa cattolica el’intervento polemico del presidente della Conferenza Episcopale Italiana sulla la legge sulle unioni civili approvata alla Camera con un voto di fiducia.Se “si ri-flette” su di essi, hanno qualcosa in comune.
Il rito di un matrimonio civile oggi è più frequente di un tempo. I comuni hanno dato più dignità a un atto “formale”, considerato di serie “B” rispetto a quello celebrato in chiesa. Ma il matrimonio civile del sabato del maggio “odoroso” brindisino è stato, per la sua bellissima location in una sala che “come testimoni aveva il solenne capitello della splendida millenaria colonna e come palcoscenico il porto di Brindisi”, per la numerosa partecipazione di parenti e amici eper la non comune circostanza che la celebrante fosse una donna(amica della sposa), un rito che nulla aveva da invidiare al rito del matrimonio religioso.
Nella sala di Palazzo Nervegna riecheggiano, chiare e semplici, le parole della celebrante:
“Vorrei invitarvi ad ascoltare le risposte che Kalhil Gibran, un noto scrittore e filosofo di origine libanese, con linguaggio poetico ha dato ai nostri interrogativi sul matrimonio (il brano letto è quello sul matrimonio, tratto da Il Profeta).
Le parole che oggi diremo e ascolteremo descrivono e insieme realizzano la scelta di due persone di unirsi in matrimonio. Questa scelta parte dal loro amore e coinvolge i parenti, gli amici e la comunità civile tutta.
Vi invito ad ascoltare con questo significato anche le norme del codice civile che tra poco leggeremo. Non si tratta di un passaggio burocratico. Insieme alle parole poetiche, romantiche, di pensiero, augurali che abbiamo letto e leggeremo, quelle regole manifestano il fatto che la scelta personale della Sposa e dello Sposo diventa anche una realtà pubblica, che la rete del diritto sostiene, indirizza e aiuta.
A chi fa il mio lavoro capita di sancire la separazione, provvisoria o definitiva, tra marito e moglie ed è per me un grande dono celebrare, invece, l’inizio di un progetto matrimoniale.
Sono particolarmente felice di farlo per la sposa, e anche per lo sposo, certo, che lei ha scelto”.
Dopo l’impegno dei due sposi e lo scambio degli anelli, la celebrante continua:
“Il mio augurio è con le parole di una benedizione degli indiani d’America:
Adesso la pioggia non vi bagnerà più, perché sarete riparo l’uno per l’altra. Adesso non sentirete più freddo, perché vi riscalderete l’un con l’altra. Adesso non vi sentirete più soli, perché sarete compagnia l’uno per l’altra. Adesso siete due persone, però ci sono tre vite davanti a voi, la vita di …(sposa), di …(sposo) e di voi due. Adesso andate nella vostra casa e iniziate la vostra vita insieme. Che bellezza vi circondi nel viaggio davanti e per il futuro, che allegria diventi il vostro compagno fino al posto dove il fiume incontra il cielo, e che i vostri giorni insieme siano buoni e lunghi su questa terra”.
Alla fine, prima delle parole augurali degli amici, la celebrante fa risuonare ancora, nel silenzio che corre veloce verso la fine, la favola di Nazim Hikmet: “c’era una volta…
“C’era una volta un’isola, dove vivevano tutti i sentimenti e i valori degli uomini: il Buon Umore, la Tristezza, il Sapere … così come tutti gli altri, incluso l’Amore. Un giorno venne annunciato ai sentimenti che l’isola stava per sprofondare, allora prepararono tutte le loro navi e partirono, solo l’Amore volle aspettare fino all’ultimo momento. Quando l’isola fu sul punto di sprofondare, l’Amore decise di chiedere aiuto. La Ricchezza passò vicino all’Amore su una barca lussuosissima e l’Amore le disse: “Ricchezza, mi puoi portare con te?” “Non posso, c’è molto oro e argento sulla mia barca e non ho posto per te.” L’Amore allora decise di chiedere all’Orgoglio che stava passando su un magnifico vascello: “Orgoglio ti prego, mi puoi portare con te?” “Non ti posso aiutare, Amore…”, rispose l’Orgoglio, ” Qui è tutto perfetto, potresti rovinare la mia barca”. Allora l’Amore chiese alla Tristezza che gli passava accanto: “Tristezza ti prego, lasciami venire con te” “Oh Amore”, rispose la Tristezza, ” Sono così triste che ho bisogno di stare da sola”. Anche il Buon Umore passò di fianco all’Amore, ma era così contento che non sentì che lo stava chiamando.
All’improvviso una voce disse: “Vieni Amore, ti prendo con me”. Era un vecchio che aveva parlato. L’Amore si sentì così riconoscente e pieno di gioia che dimenticò di chiedere il nome al vecchio. Quando arrivarono sulla terra ferma, il vecchio se ne andò.L’Amore si rese conto di quanto gli dovesse e chiese al Sapere: Sapere, puoi dirmi chi mi ha aiutato?” “E’ stato il Tempo”, rispose il Sapere. “Il Tempo?” si interrogò l’Amore “Perché mai il Tempo mi ha aiutato?” Il Sapere pieno di saggezza rispose: “Perché solo il Tempo è capace di comprendere quanto l’Amore sia importante nella vita”.
Il rito si conclude con applausi, abbraccio, foto…come consuetudine.
La dignità del rito civile
Si dirà: che c’è da commentare? Parole, magari belle, di poeti, anche retoriche. Non paragonabili a quelle del Vangelo! Osservazione ovvia. E’ vero, nessun paragone. Ma il confronto non è tra due diversi messaggi (che anzi, appaiono molto in sintonia). Spontaneo è il confronto tra due riti, quello del matrimonio concordatario e quello civile. Il rito concordatario del matrimonio ha generato un rito per “cattolici sociologici” che mettendo insieme dimensione laica e dimensione di fede nella certificazione “dell’amore a due” dinnanzi ad una comunità che ha la pretesa di essere contemporaneamente “ecclesiale e civile” e ha ghettizzato il rito civile. I danni arrecati ad entrambi sono sotto gli occhi di tutti e ben visibili. In una società prevalentemente cattolica, con il Concordato del 1929 il matrimonio celebrato in chiesa diventa il rito di “tutti”; quello civile, invece, utilizzato solo per casi particolari, era “sconveniente” e molto raro in Italia, fino ad essereconsiderato“culturalmente inferiore”, anche in riferimento al contenuto del rito, l’amore tra i due. Oggi, dopo quasi 90anni, la situazione appare avviarsi ad una inversione di tendenza: per la sua semplicità, per la sua adattabilità alle esigenze (anche economiche) e alle richieste di chi si sposa, il rito civileappare un concorrente “vincente” su quello concordatario. “Meglio di quello fatto in chiesa”, è stato il commento di chi ha assistito al matrimonio brindisino. Ma è sbagliato mettere in concorrenza i due riti. Chi mette in concorrenza (o in alternativa) i due riti non coglie la radice della crisi di entrambi. Andrebbero semplicemente resi indipendenti e autonomi. Il rito concordatario, infatti, offusca e nasconde la laicità (che non è rifiuto e negazione della riferimento religioso) della comunità civile e offusca e ignora la laicità del Vangelo anche sull’amore umano. Con il perdurare del rito concordatario accade che chiè per il rito civile, rifiuta qualsiasi riferimenti a Dio, alla Chiesa e alla religione; e a chi, invece, tifa per il rito concordatario sfugge che solo l’amore umano è la base e il presupposto su cui può essere innestata la sua visione di fede. Quest’ultimo, soprattutto, non riesce a capire l’essenza del Vangelo di Gesù di Nazareth che “ha portato la religione fuori dal tempio. E l’ha posta nella vita nell’esistenza umana, nel lavoro instancabile per umanizzare questo mondo, questa vita, la relazione di ognuno con gli altri” (J. Castillo, la laicità del Vangelo) e nella relazione tra due persone che si vogliono bene.
Per uscire da questa dannosa contrapposizione c’è una soluzione. Solo l’indipendenza dei due riti, con la fine del matrimonio concordatario, può rendere visibile il fine dei due riti: favorire e sostenere l’amore umano tra due persone, fondamentale per una società laica ma anche per un progetto di vita evangelico da innestare in essa.
Una celebrante donna
C’è un’altra singolarità da sottolineare nel matrimonio civile brindisino: la celebrante. Nel matrimonio, protagonisti sono gli sposi e non chi lo celebra. Ma, proprio perché chi celebra è dopo chi è protagonista, non si capisce perché il matrimonio concordatario può celebrarlo solo un prete, cioè un maschio, anche quando è celebrato fuori dalla celebrazione dell’Eucarestia. Il matrimonio civileè più avanti di quello religioso. Lo celebrano Donne-sindaco e possono celebrarlo anche donne delegate dal sindaco. Questa differenza tra i due riti appare marginale e il problema secondario, ma non lo sono.
Con un intervento ad un incontro di 800 suore Papa Francesco ha fatto rumore solo per aver annunciato una commissione di studio per la possibilità di introdurre nella Chiesa cattolica “il diaconato femminile”. Il tanto rumore nasce da attese reali di un popolo cristiano che appare molto più avanti di una gerarchia (particolarmente quella italiana) “resistente” alla possibilità che anche le donne “celebrino il battesimo e il matrimonio” come nelle comunità dei primi tempi del cristianesimo. Oltre le parole e le proposte di studi, sono molti a dubitare che in tempi vicini vi siano riforme strutturali ecclesiastiche tali da dare alle donne la possibilità, già acquisite dalla società civile, di essere diaconesse e, fra l’altro, poter celebrare un matrimonio religioso.
Infine, la polemica della Conferenza episcopale italiana sulla legge italiana per le unioni civili. L’intervento, di questi giorni, del presidente della CEI sembra talvolta rispolverare i toni d’altri tempi, che interviene nelle faccende politiche italiane e che stigmatizza il Parlamento per le scelte fatte in materia di unioni civili. I vescovi hanno il diritto di dire la loro. Ma si rendono conto o no che oggi la massima parte degli stessi cattolici è costituita da “cattolici sociologici”, cioè da gente che magari – e sempre meno spesso – si sposa in Chiesa, ma per la quale la vita religiosa non ha più alcun peso pratico? Ciò che dovrebbe essere più a cuoredei vescovi non sono le leggi ma che, in qualsiasi forma, due persone si amino e si rispettino per trasmettere così felicità, progresso, benessere, uguaglianza e dignità per “tutti”.
Se poi siamo attenti a questo “tutti” comprendiamo che “fine del matrimonio concordatario, diaconato femminile, polemiche sulle unioni civili” appaiono marginali rispetto alprincipale problema dell’umanità che è l’ingiustizia sociale, che regna sovrana nel mondo. E rispetto a questo problema“noi, abitanti dei “centri” occidentali in crisi quanto volete ma ancora relativamente ricchi e in qualche caso opulenti, siamo vittime di una pluridecennale illusione prospettica: in fondo, pensiamo che più o meno sia così dappertutto” (cfr. F. Cardini in “Il Messaggero” del 18 maggio 2016).
In una situazione storica in cui “l’isola del mondo” sembra sprofondare, la favola di Nazim Hikmet, con la prospettiva di un amore a due ma aperta a quella universale, diventa meno retorica e più inquietante:“solo il Tempo è capace di comprendere quanto l’Amore sia importante nella vita”.
Breve commento: non sono studioso del problema, nè esperto in materia, ho solo trascorsi giovanili in gruppi ecclesiali. Condivido gran parte dello scritto, circa la opportunità di attribuire “pari dignità” al rito civile e alla figura della “donna celebrante”; credo che il problema di noi cattolici sia, come in tante situazioni, soprattutto culturale, nel senso di vivere correttamente la nostra fede e la nostra laicità umana senza integralismi, in modo “normale”.
Ritengo (e ci si rende facilmente conto di essere in “campo minato”) che vada rimarcata con umiltà e decisione la distinzione chiara delle varie figure di convivenza civile e religiosa, rispettando differenti unioni fra persone; penso anche che lo sforzo di noi cattolici sia sempre quello di proporre (a volte anche difendere) dei “giusti modelli”: il matrimonio -civile o religioso-, il rispetto per i minori (non il loro utilizzo strumentale, come “diritto” di noi adulti), la valorizzazione di tutti gli sforzi di chi cerca di affermare la difficoltà della vita quotidiana di “tenere duro” su scelte davvero rispettose della persona, anzichè assolvere o accogliere più facilmente tutto ciò che è “nuovo” e in apparenza più omologato rispetto al comune sentire.
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