Paolo Ricca, teologo e professore emerito di Storia della Chiesa alla Facoltà valdese di Teologia.
Sulle prime è stata una notizia dirompente; poi il clamore si è in parte ridimensionato: papa Francesco, nel corso di un incontro con l’Unione internazionale delle superiori generali, il 12 maggio, ha espresso l’auspicio che una commissione ufficiale studi la possibilità di aprire alle donne il diaconato permanente. Ne parliamo con il pastore Paolo Ricca, teologo e professore emerito di Storia della Chiesa alla Facoltà valdese di Teologia.
– In che misura siamo di fronte a una novità? «In realtà si tratta solo dell’annuncio di una possibile commissione di studio, che non è ancora convocata e di cui non si sanno i tempi di lavoro, per rispondere alla domanda, che sembra cruciale per la Chiesa cattolica, se le donne possano accedere al diaconato femminile».
– Una notizia del genere ha prodotto immediatamente una grande risonanza: perché tutte queste aspettative? «C’è effettivamente questa sete di novità, per due ragioni. La prima: la Chiesa è l’ultima delle istituzioni dal punto di vista della parità dei diritti umani e cristiani, che non vengono distribuiti equamente; ma attenzione: ciò avviene anche nelle chiese ortodosse, e anche in un certo numero di chiese evangeliche di tipo fondamentalista, che ritengono che le donne non possano insegnare, predicare, prendere la parola. Da qui la grandissima attesa, perché la Chiesa cattolica, che insieme con le altre di cui sopra rappresenta la maggioranza del cristianesimo storico, ancora discrimina le donne precludendo loro alcuni ministeri, di cui il principale è il ministero sacerdotale, il “ministero ordinato”».
– Il secondo motivo?
«Il secondo motivo è che le donne di fatto “portano avanti” la Chiesa – e questo vale per tutte le chiese –, sono loro che trasmettono la fede, molto più degli uomini, e dunque è strano che siano escluse da funzioni centrali, anche se non esclusive; non si capisce perché ne siano escluse, e ci si stupisce che si debba ancora discutere se ammetterle, per esempio al diaconato femminile».
– Si può dire, in termini più ampi, che esiste una divaricazione fra le Chiese in materia di ministeri?
«La Riforma protestante ha fatto un passo decisivo abolendo la divisione fra clero e laicato, e questa è stata una rivoluzione; cioè ha affermato che qualunque cristiano battezzato può potenzialmente ricoprire tutti i ruoli della chiesa, non c’è più un’esclusiva di un clero che abbia dei poteri ai quali gli altri cristiani non possono accedere, di cui quello fondamentale è la potestas consecrandi. Solo il sacerdote può consacrare gli elementi della Cena, i laici ne sono esclusi. Qui sta la grande differenza tra quella che possiamo chiamare “concezione protestante” del ministero e quella cattolica – ma anche ortodossa. Da qui certo non si può tornare indietro. Si può e si deve invece discutere sul ruolo dell’episcopato all’interno della concezione dei ministeri: la Chiesa anglicana, che dal punto di vista teologico appartiene all’area riformata, ritiene che l’episcopato debba essere una forma ministeriale presente nella chiesa cristiana; ed episcopato c’è anche nel luteranesimo dei Paesi baltici o scandinavi e in alcune chiese protestanti, sia pure in forme diverse da quelle cattolica o ortodossa: per queste il vescovo è successore degli apostoli, mentre per Calvino ogni pastore locale è successore degli apostoli. Ma certo l’altro punto su cui abbiamo preso, da tempo, una decisione definitiva è l’accesso delle donne al pastorato: il ministero cristiano fondamentale, quello della predicazione, insegnamento e della celebrazione dei sacramenti (battesimo e Santa Cena) può essere occupato sia da uomini sia da donne: non ci sono dubbi all’interno delle chiese che si rifanno alla Riforma del XVI secolo; e anche nel dibattito ecumenico esso è un punto dal quale le nostre chiese non torneranno indietro. Per questo è interessante vedere se il diaconato femminile rientrerà nel “ministero ordinato”; se le donne potranno celebrare non solo matrimoni e battesimi, ma anche l’eucarestia con potestas consecrandi. Diversamente si resta ancora all’esclusione delle donne dal ministero sacerdotale».
in La toga, il calice, i ministeri intervista a Paolo Ricca a cura di Alberto Corsani in “Riforma” – settimanale delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi – del 20 maggio 2016
Marinella Perroni, presidente del Coordinamento Teologhe Italiane, docente di Nuovo Testamento al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, si è segnata la data dell’annuncio del Papa sul calendario?
«Sarà che ho una certa dose di scettismico incorporato. Insomma, vediamo chi farà parte di questa commissione, e con quale scopo…»
Dice che la Commissione nasce già morta?
«Non ho detto questo e non lo ho nemmeno pensato. Ho fiducia in Papa Francesco. Purtroppo questo tema non è nuovo e non riesco a lasciarmi andare a facili entusiasmi. Ricordo, per rispolverare la memoria, che solo tre anni fa, al Sinodo sulla Parola di Dio, ci furono problemi enormi perchè si parlò di conferire il ministero del lettorato alle donne, cosa che in tante parti del mondo già si fà. L’idea di istituzionalizzare questo ministero mandò in tilt i vescovi, a molti appariva come la breccia per il primo livello della catena ministeriale».
Qui si parla di diaconato, il che significa non solo affidare alle diaconesse la lettura del Vangelo, ma diverse altre funzioni…
«La mentalità corrente in certi ambienti è rigida. Eppure Paolo ai Romani dice: Vi raccomando Febe, la nostra sorella, diacono della Chiesa di Cencrea, affinchè l’accogliate nel Signore (..) e l’assistiate nella Chiesa di sempre. Paolo sapeva usare le parole. Nella traduzione fatta dalla Cei nel 1974 viene usata la parola diaconessa e non più diacono, italianizzando il termine. Il peggio si è avuto nella traduzione del 2008. La frase diventa: Vi raccomando Febe, nostra sorella della Chiesa di Cencrea, affichè l’accogliate nel Signore (…) e l’assistiate in quelle cose in cui abbia bisogno di voi. Insomma, hanno sciolto il sostantivo diacono e trasformato in servizio, come se Febe fosse una specie di colf. Non voglio naturalmente estremizzare, ma se l’intenzione è di sfuggire al discorso del presbiterato o non affrontarlo con coraggio e lungimiranza, con la calma necessaria e una intelligenza sistemica, ecco che allora di strada se ne farà poca anche stavolta».
Il problema è il maschilismo strisciante …
«E’ chiaro che l’irruzione delle donne sulla scena pubblica chiede di ripensare anche il ruolo che hanno nella Chiesa. Dai tempi del Concilio tutto si è bloccato. Anzi, anche il Concilio è parzialmente cristallizzato, mentre avrebbe dovuto essere un percorso vivo, di implementazione armonica e sistemica».
A livello accademico gli studi come stanno andando avanti?
«Posso dire che lo studio sui ministeri nel Nuovo Testamento è bloccato agli anni settanta. La stessa bibliografia è bloccata». Anche perché quello che è chiarito verso lo studio non serve a nessuno.
Qualcosa lentamente si sta muovendo…
«Vedremo come lavorerà la Commissione. In ogni caso non sarà solo una questione di come sarà composta, da quante donne teologhe ci saranno oppure no, e se ci saranno. Si tratta semmai di una reale disponibilità alla riflessione, di avere una mentalità aperta. Certo io preferirei che ci fossero delle teologhe di caratura internazionale, capaci di parlare al mondo, e di essere portatrici di una visione globale. Il Coordinamento delle Teologhe italiane ha fatto, pochi mesi fa, un seminario proprio sul diaconato delle donne, studiando il ruolo nella Chiesa antica. Speriamo solo che i cardinali che verranno inseriti nella Commissione conoscano l’argomento».
«Fiducia in Francesco, ma non esulto i vescovi sono andati in tilt per meno» intervista a Marinella Perroni a cura di Franca Giansoldati in “Il Messaggero” del 13 maggio 2016