TRE SECOLI IN UN ROMANZO

Maurizio Portaluri

Chi volesse confrontarsi con una singolare lettura di tre secoli di storia, dall’ «‘Ottocento’ ad oggi» potrà farlo leggendo «Confiteor»,[1] il regalo che si (ci) fa Piergiorgio Paterlini per i suoi settant’anni. Sembrerebbe un naturale approdo di un biografo provetto quello di un’autobiografia, dopo aver scritto a quattro mani la vita del filosofo Gianni Vattimo (Non essere Dio) e del premio Nobel per la Fisica Giorgio Parisi (Gradini che non finiscono mai). Al netto delle mancate come quella di Pantani. Ma non si tratta di un’autobiografia bensì di un romanzo di formazione permanente, nel senso che arriva fino ad oggi perchè la formazione deve essere continua, dato che il mistero non può essere posseduto come si legge nell’ultimo capitolo. Paterlini, giornalista, scrittore, poeta non è intellettuale da ribalta, quindi, va scovato come il tesoro sotterrato. Non troppo in profondità però se lo troviamo collaboratore fisso nelle rubriche di Repubblica/Robinson (Testo a fronte) e di Oggi (La quartina).

Tre sezioni (Ottocento, Novecento, Duemila), cinquantuno capitoli e tutto inizia a Castelnuovo di Sotto, nella pianura reggiana bonificata dai Longobardi, dove in un casolare in mezzo ai campi vive la famiglia e i nuclei che si gemmano. La ricerca delle radici, di chi fossero i nonni, i bisnonni, nelle anagrafi e nei cimiteri. La vita di ogni giorno, povera e dura, perché dura è la vita dei campi, e a causa del dispotismo della nonna matriarca. E qui che si forma il “fuggiasco”: “essere sempre pronti a mutare di parte come la giustizia, questa fuggiasca dal campo dei vincitori” (Simone Weil) o “sentiva un orrore spontaneo e sincero per le angherie e i soprusi” (Alessandro Manzoni). Quando parla della sua disponibilità a rispondere a tutti i lettori che gli hanno scritto dirà che i suoi libri sono di “frontiera”, “dedicati in gran parte non agli sfigati ma agli invisibili o a “categorie” di persone non certo privilegiate e che non godono di buona stampa”.

La vita entra nel Novecento con gli anni di seminario, dalla prima media al primo liceo, attraversa il ’68 che Paterlini vive lì in modo molto attivo nel senso che la contestazione la fa in quel contesto dove l’autorità è sostanza consolidata e indiscussa. La famiglia cattolicissima, la mamma iscritta all’Azione Cattolica (c’è anche il numero di tessera), una zia suora in Liguria, un nome derivato da quello del giovane torinese Frassati, poi fatto Beato dalla chiesa cattolica, trovato alla riesumazione con le mani sulla testa! Dopo gli anni del seminario ci sono gli anni della formazione umanistica, del rigore nella ricerca delle fonti e l’amore per l’educazione. Il piano di studio personalizzato in scienze della formazione, allora Magistrale, e il corso in teologia fermato al terzo anno dall’autorità ecclesiastica. Il Novecento è anche la fine della vita contadina per la famiglia con l’ingresso del padre e dello zio in fabbrica, la fine della libertà del lavoro e l’inizio dell’impegno del genitore nel sindacato unitario dei metalmeccanici. Nasce l’amore per il basket e il ciclismo con il tifo per Gianni Motta. C’è anche la madre, attrice di teatro mancata, che si chiude nel suo dolore per una vita che non voleva così e che la costringe ad una specie di atarassia, emblema di una condizione femminile.

È il secolo dell’ingresso nel giornalismo, la prima rivista, Il calabrone, con l’intervista al padrone comunista di suo padre, la satira di Cuore, Linus, Manifesto le consulenze editoriali, i libri e la Rai. L’impegno nel movimento delle Comunità Cristiane di Base del “dissenso cattolico” e nella redazione della loro rivista Com-Nuovi Tempi oggi Confronti. Poi il teatro dove è coautore con Lella Costa, la collaborazione con Luciano Ligabue e tante altre che è impossibile enumerarle. Molti i personaggi della cultura con cui entra in contatto, da Silone a Luce D’Eramo, Del Buono, Manca, solo per citarne alcuni e di cui si narrano gli incontri.

“Ho scoperto di essere gay scoprendomi innamorato. Meglio: ho scoperto prima di essere innamorato poi, come conseguenza, di essere gay”. Ci sono i due primi grandi innamoramenti, c’è il viceparroco con cui si piacciono ma lui dopo un primo approccio resterà fedele al suo impegno canonico e spirituale. Su questo tema si lascia il secolo breve e si entra nella terza sezione. Paterlini ha introdotto nella letteratura italiana, si può dire, il tema con Ragazzi che amano ragazzi (1991) un vero cult, un libro che raccoglie quattordici incontri reali con giovani omosessuali trasformati in racconti, e prima ancora Matrimoni gay. Anche lui e Marco vivranno l’esperienza dell’ostracismo familiare per otto anni. Il 1° agosto 2016 si celebra a Reggio Emilia la prima unione civile in Italia in applicazione della legge Cirinnà approvata nel febbraio dello stesso anno e gli “sposi” o “consorti” sono Piergiorgio e Marco Sotgiu, anche lui giornalista e sinologo. Sono insieme da 37 anni ma questa data per loro è fondamentale. Tutte le date, i compleanni e le coincidenze temporali per Paterlini sono fondamentali e si vede nel libro! Confiteor anche se non è un libro sull’omosessualità mette ordine sul tema secondo una modalità che è fuori dal coro. Come in tutto il libro e nella riflessione intellettuale di Paterlini, si sta sempre con i piedi per terra, aderenti alla realtà, resistenti all’incursione dell’ideologia come strumento di limitazione dell’osservazione, verrebbe da dire, scientifica. Tanto realista che Paterlini comprende persino la repulsione che può suscitare il vedere l’esplosione di affetto tra due uomini o due donne. Ma il vero realismo e la conseguente novità è “che poche cose sono noiose al mondo come l’omosessualità e non mi spiego come le mille differenze affettive e sessuali possano essere state fagocitate, oscurate, cancellate da questa, anche a livello scientifico”. Scriverà Lella Costa che grazie a Piergiorgio “ho iniziato a vedere le cose diversamente, che esistono quelli che si innamorano con un colpo di fulmine, quelli che si innamorano dopo una lunga frequentazione, quelli che sono fedeli, quelli che non riescono proprio a esserlo e in questa prospettiva l’orientamento sessuale mi sembra solo una variabile tra tante”. E Paterlini conclude “che fa schifo e fa ridere chi lo prende. Chi lo dà è un dio. Che il problema non è e non è mai stato l’omosessualità, ma l’inferiorità della donna. Figuriamoci dell’uomo ‘che fa la donna’ “

In tutto il libro c’è Dio e non poteva che essere così, si dirà. Date le radici cattolicissime si penserà, sì anche, ma da subito è come la lotta tra l’Angelo e Giacobbe, per cui andava a tormentare in seminario il prefetto con i suoi interrogativi e i suoi dubbi. E anche se si dichiara agnostico, alla fine del libro “rimane che continuo a fare a botte con Dio. Anche se adesso è più fargli concorrenza che darcele di santa ragione come Lui e Giacobbe. Per chi vorrebbe assumere su di sé tutto il dolore del mondo, è dura accettare il limite” di Non essere Dio.


[1] Paterlini Piergiorgio, Confiteor, Piemme, pp 329, 2024

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