Antonio Greco
In tre mesi (dicembre 2017-marzo 2018) su Maria Maddalena è stato scritto un libro e diffuso un interessante film.
Il libro, a cura di Edmondo Lupieri, ha per titolo “Una sposa per Gesù, Maria Maddalena tra antichità e postmoderno”, Carocci editore (1).
Il film Maria Maddalena, diretto da Garth Davis, con Rooney Mara e Joaquin Phoenix, è un film molto bello ed è stato già censito su questo blog (2).
L’attenzione di questa nota è posta solo sulla didascalia finale del film che indica due date e due papi: quella del 591, protagonista Papa Gregorio Magno, e quella del 2016, protagonista Papa Francesco. Per Papa Gregorio Magno la Maddalena è una prostituta; per Papa Francesco, invece, la Maddalena è “apostola degli apostoli”.
La didascalia, inevitabilmente, appare schematica, approssimativa e, per alcuni aspetti anche non veritiera.
Ci serviamo dell’ultimo saggio del testo di E. Lupieri per chiarire gli aspetti connessi alla prima data, quella del 591 e alla posizione su Maria Maddalena di papa Gregorio Magno.
Lupieri ha coordinato e raccolto 13 saggi, centrati non sulla presentazione del personaggio storico di Maria Maddalena ma su uno studio che facesse vedere come la sua figura fu costruita letterariamente agli inizi e come quindi sia transitata attraverso quasi venti secoli di storia più o meno cristiana, per approdare alle sue molteplici immagini di oggi. La recensione di questo interessante testo, frutto di un corso per studenti di dottorato e di master presso la Loyola University di Chicago, sarà fatta e pubblicata in altro tempo sul nostro blog (3).
L’ultimo saggio del libro coordinato da Lupieri è un contributo che unisce gli studi sulla Maddalena e quelli sulla prostituzione, effettuati dall’autrice, Mary Setterholm, per l’ottenimento di un master a Harvard. Il saggio è particolare perché unisce nello studio dei due temi (la Maddalena e la prostituzione) il rigore scientifico e la “compartecipazione della studiosa”, in quanto mette insieme il rigoroso studio dei testi biblici e patristici al candore brutale dei ricordi di bambina dodicenne vittima degli abusi sessuali di un prete cattolico, e poi prostituta quindicenne che adescava gli automobilisti su una strada della California. Inoltre unisce alla ricerca scientifica l’esperienza di donna matura, impegnata oggi nella diocesi di Los Angeles ad aiutare le ‘ sorelle…prostitute, spogliarelliste, escort’, ancora credenti, a riconoscersi in un modello biblico umanamente imitabile (4).
Il saggio si pone un interrogativo a cui l’autrice intendere rispondere: l’enfasi revisionista e la distruzione del mito, pur necessaria, di una Maddalena prostituta e penitente, a favore di una Maddalena solo apostola degli apostoli, non rende, forse, le prostitute credenti, ma anche tutte le donne, più sole?
La tesi dell’autrice è che una Maddalena appassionata e umana, più che apostola, ha da offrire molto più a tutte le donne di quanto potrebbe mai fare il potere dell’apostolato. E per presentare questa Maddalena appassionata e umana divide il suo saggio in tre parti. Esamina: 1. la teoria della costruzione sociale che colloca le professioniste del sesso nell’ombra della vergogna; 2. la negligenza degli studiosi del passato rispetto a testi di primaria importanza (specialmente di Agostino, Gregorio Magno e Tommaso d’Aquino) che ha portato alla diffusione di falsità su Maria Maddalena e sulle donne che si prostituiscono; 3. la proposta del modello di Maria Maddalena come persona che ispira amore e non cerca potere.
Ai fini della presente nota ci interessa capire quello che Mary Setterholm scrive sulla negligenza degli studiosi del passato che hanno generato le falsità su Maria Maddalena e sulle prostitute.
La convinzione che i Padri della Chiesa, in particolare Sant’Agostino, Gregorio Magno e San Tommaso d’Aquino, avessero dato la loro benedizione e il loro sostegno alla cultura diffusa nel cristianesimo che le prostitute fossero da considerare “un male necessario”, è un mito che non trova nessun fondamento storico-filologico.
L’autrice precisa che gli esempi che cita nel suo saggio di storiografia compromessa non intendono “salvare” o “difendere” i Padri della Chiesa o prendere di mira alcuni studiosi in particolare, ma giungere alla verità testuale tramite un’esegesi rigorosa.
Accenniamo al primo esempio (quello di Agostino) e al secondo (quello di Tommaso d’Aquino). Ci soffermeremo in modo più analitico sul terzo (quello di Gregorio Magno).
Agostino e il De Ordine II,4, 12
Agostino non era ancora convertito al cattolicesimo quando scrisse il De Ordine nel 386. Il testo agostiniano è un dialogo con un gruppo ristretto di persone (un soldato in pensione, un caro amico, un adolescente studente, sua madre Monica), centrato su esempi concreti di che cosa si possa intendere con “ordine”.
Nel discutere con il soldato romano in pensione, l’”ateo” Agostino scrive: “che cosa di più sconcio, di più indegno, di più sciagurato che le meretrici, i ruffiani e simili pestilenze dell’umanità? Eppure togli le prostitute dall’ordine sociale e la concupiscenza lo distruggerà. Falle salire al livello delle donne sposate e disonorerai il matrimonio con una macchia di sconcezza… “(5).
Mary Setterholm applica a questo testo, in particolare a ciò che chiama “la frase unica” (“Eppure togli le prostitute dall’ordine sociale e la concupiscenza lo distruggerà”), un’ermeneutica del sospetto e, con argomentazione molto documenta, giunge alle seguenti conclusioni:
Il tema del libro di Agostino non era la prostituzione ma lo studio, l’uso della grammatica, ed altro, nell’ordine sociale romano. La prostituzione viene citata solo una volta come esempio dell’ordine sociale romano e come un granello di spezia che aggiunge una nota piccante a un cibo altrimenti insipido. Eppure la frase agostiniana è la più ripetuta sul tema della prostituzione nei secoli successivi fino alla nascita e alla teorizzazione di “una politica agostiniana della prostituzione”;
quarant’anni dopo, Agostino anziano compie una revisione delle sue opere e nelle Retractationes scrive che la “filosofia espressa nel De Ordine sembrava suggerire che Dio non ascoltava i peccatori”(6). Agostino ha cambiato visione: chiunque si può redimere, anche la prostituta. Giudica le pestilenze dell’umanità non più con misura aspra e dura ma con l’ottica cristiana e misericordiosa;
è un’invenzione, frutto di studi inaccurati, l’immagine che ha ritratto per secoli Agostino come Padre della Chiesa che, con il De Ordine, ha posto le fondamenta della posizione ecclesiale sulla prostituzione.
Tommaso d’Aquino e la Summa Theologica: ST 2,2, Q. 10, A. 11
Ancora più mistificante appare il caso di Tommaso d’Aquino di cui sul tema della prostituzione si tramandano due interventi.
Nella Summa Teologica (7) Tommaso nel fare un florilegio del pensiero di Agostino cita anche la frase del De Ordine parafrasandola (“Se eliminate le meretrici, il mondo sarà sconvolto dalla concupiscenza o malcostume”), ma questa citazione, proprio perché inserita in un florilegio senza alcuna lettura specifica di Tommaso, non avrebbe avuto nessuna influenza nella successiva politica ecclesiastica della prostituzione. Dal contesto della citazione è facile capire che il brano di Agostino sulla prostituzione fornisce a Tommaso solo un argomento al tema che sta affrontando, cioè quello della tolleranza, (o meglio, segregazione) degli ebrei contro la prassi del loro genocidio, che allora si intendeva applicare. La loro segregazione, sosteneva Tommaso, era finalizzata alla conversione al cristianesimo, bene ultimo giustificativo di questa tolleranza.
Molto più influenza ha avuto nel tempo, invece, un altro brano attribuito per errore a Tommaso. E’ il testo del De Regimine principum: “Così Agostino dice che la meretrice fa nel mondo ciò che la sintina fa nella nave o la cloaca nell’edificio: ‘Leva la cloaca e riempirai il palazzo di tanfo’. Analogamente, a proposito della sintina, egli dice: ‘Togli le prostitute dal mondo, e lo vedrai riempirsi di sodomia’. Per questo Agostino afferma che la città terrena rese l’uso delle prostitute una turpitudine lecita” (8). Mary Setterholm battezza, con non poco disgusto, questo testo come “la citazione della cloaca”. E sostiene che immaginare che la Maddalena possa aver avuto un passato come cloaca per la concupiscenza è solo ributtante.
L’autrice, però, non si è fermata al disgusto e al disprezzo per la frase attribuita a Tommaso. Ha cercato per anni il brano negli scritti di Tommaso ma non l’ha trovato. Ha consultato un grande storico del Medioevo, Euan Cameron, il quale attraverso un software per scoprire i plagi è giunto, con grande stupore, al risultato che la “citazione della cloaca”, attraverso diverse versioni e altrettanti nomi di sconosciuti storici, è da attribuire a Tolomeo da Lucca, un domenicano che, da giovane, era stato allievo di Tommaso d’Aquino. Quest’ultimo aveva scritto un breve testo, De Regno, rimasto incompiuto poco prima della sua morte, nel 1274. Tolomeo scrisse, 25 anni dopo la morte di Tommaso, il De Regimine principum. Successivamente i due testi furono unificati e il nome dell’autore più importante oscurò l’altro. Così anche il testo di Tolomeo è stato attribuito a Tommaso d’Aquino. Il commento di Mary Setterholm a questa scoperta è lapidario: “Secoli di studi accademici dimenticati da Dio sulla prostituzione collegata a Tommaso e ad Agostino in un attimo crollarono, grazie alla diligenza di una puttana offesa e di un simpatetico professore di Oxford. Nientemeno” (9).
Gregorio Magno e l’omelia 33, “l’omelia della fusione” (10)
Molti, anche oggi, accusano papa Gregorio, Padre della chiesa detto “Magno”, di aver fuso e confuso le donne bibliche, spingendo così Maria Maddalena tra i ranghi delle prostitute. La tesi sostenuta da Mary, però, è un’altra: “ho impiegato molto tempo a studiare la intenzione di papa Gregorio, al di là dell’errore della fusione, e ne ho ricavato la convinzione che Gregorio fosse un grande difensore della Maddalena e di ciò per cui lei lottava: amare il suo amato come lui amava lei” (11).
Mary Setterholm sostiene, prima di tutto, che di questa omelia non si possono analizzare solo alcune righe ma occorre riflettere su di essa nel suo insieme. Invece di questa omelia il brano più diffuso che gli esperti di fama si sono passati l’un l’altro contiene in realtà un’ellissi (un taglio) di 11 frasi, che invece contenevano l’ammirazione di Gregorio per l’amore tra la presunta Maddalena (“la peccatrice”) e Gesù. E non si spiega perché siano stati fatti questi tagli essenziali con i quali non è possibile comprendere il vero pensiero di Gregorio Magno.
Sostiene ancora che l’omelia 33 e l’omelia 25 (12) di Papa Gregorio vanno lette insieme. La prima fu pronunciata a San Giovanni in Laterano il giovedì della settimana di Pasqua del 591 e tratta del Noli me tangere (Gv 20,11-18); la seconda a San Clemente, il venerdì delle Quattro Tempora del settembre seguente e tratta dell’unzione della peccatrice (Lc 7,36-50).
Se si supera l’aspetto marginale della fusione delle donne senza nome del Vangelo con Maria Maddalena e si va all’essenza delle omelie pastorali di Gregorio Magno si può concludere con più essenzialità che “la donna peccatrice “anonima” che piange ai piedi di Gesù in Luca 7,39 e la Maddalena che piange presso la tomba sono certamente donne diverse, ma sono una cosa sola nella solidarietà, grazie all’amore senza vergogna per il loro Salvatore” (13).
La conclusione del saggio è commovente e intensa:
“L’amore ha guidato Maria Maddalena. L’amore. Non i vantaggi politici, come nel caso di Giuda Iscariota, né il potere clericale, come forse prevedeva inizialmente il programma di Pietro. Era il desiderio che la Maddalena sentiva per Gesù, il quale in precedenza aveva risposto alla sua iniziativa di fede, quando lei aveva chiesto di essere guarita, a spingerla a perseverare nella ricerca del suo corpo, alla morte. Questo desiderio che infiamma la Maddalena non può permettere che il corpo di Gesù sia trattato come quello di una prostituta buttata via, appeso nudo per morire come un capro espiatorio messo a tacere. Non poteva seguire, lei, l’esempio dei suoi pari più autorevoli e “non guardare oltre, perché conosciamo già la verità”. Gregorio Magno descrive ancora in che modo l’amore guidò la Maddalena: “Si sa che per chi ama non è sufficiente guardare soltanto una volta, perché l’intensità dell’amore rende tenace l’impegno della ricerca. Cercò dunque una prima volta e non trovò; perseverò nella ricerca e le fu concesso di trovare. Avvenne che il desiderio, nell’attea, si facesse più intenso, e così fosse possibile avere in pieno ciò che era stato ritrovato” (14).
Maria Maddalena, scrive Mary, è la mia santa personale. Ha perseverato, cercando ardentemente il vero amore che l’aveva consolata. Dà forma al desiderio privo di vergogna, al coraggio umile, alla fedeltà e all’amore per Cristo. Mi sono sempre domandata: è per questo che ai suoi occhi fu permesso di vedere per prima il Risorto? La fede radicata nell’amore di Dio –e non in ciò che Dio può fare per noi- ci libera dalla cecità? Penso all’appello di Marco 25 e di Gesù a vedere il sacro, il Cristo, nel più piccolo tra noi: “ciò che avrete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avrete fatto a me”. La passione della Maddalena sfida tutti noi, e specialmente le prostitute, a cercare e trovare colui che desidera il nostro cuore, il nostro amato Cristo” (15).
Prostituta o Apostola, Maria Maddalena continua a fare scandalo. Per nostra fortuna. Che sia questa donna del Vangelo, tramite altre prostitute e/o apostole, a infondere nuova vita spirituale al cattolicesimo religioso agonizzante?
1. AA.VV., Una sposa per Gesù, Maria Maddalena tra antichità e postmodermo, a cura di Edmonco Lupieri, Roma, Carocci editore, nov. 2017, pp. 342, €. 39,00.
2. Maurizio Portaluri, in https://manifesto4ottobre.blog/2018/03/28/maria-maddalena-lodio-non-serve/
3. https://manifesto4ottobre.blog/about/
4. Cfr. Introduzione al testo, op. cit., a cura di Lupieri, pag. 18.
5. Agostino, De Ordine II,4, 12, in op. cit., pag. 278.
6. Op. cit., pag. 281.
7. ST 2,2, Q. 10, A. 11.
8. De regimine principum IV, 14, 6; Blythe, 1997, p. 254.
9. Op. cit, pag. 285.
10. Omelia 33: “Quando rifletto alla penitenza di Maria Maddalena, mi sento più voglia di piangere che di parlare. E chi, pur avendo un cuore di pietra non si commuoverà alle lacrime di questa peccatrice fino a imitarne il pentimento? Ella considerò ciò che aveva fatto, e non volle ritardare ciò che le rimaneva a fare. Entrò tra i commensali, andò senz’essere invitata, e durante il pasto offrì lo spettacolo delle sue lacrime. Osservate qual dolore la consuma, mentre non arrossisce di piangere e ciò in mezzo a un festino.
Questa donna, che Luca chiama peccatrice e Giovanni chiama Maria, noi crediamo essere quella Maria da cui, per testimonianza di Marco, furono scacciati sette demoni. E che indicano questi sette demoni, se non tutti i vizi? Come i sette giorni della settimana designano tutto il corso del tempo, così il numero sette figura assai bene l’universalità. Maria ebbe dunque in sé sette demoni, perciò fu ripiena di tutti i vizi.
Ma perché vide d’un colpo le macchie della sua turpitudine, ella corse subito a purificarsi al fonte della misericordia, senza arrossire davanti agli invitati. E siccome si vergognava grandissimamente dentro di sé, così non curò per nulla la confusione esterna. Che ammiriamo noi dunque, o fratelli? Maria che va, o il Signore che la riceve? Dirò, ch’egli la riceve o che l’attira? Ma dirò meglio che l’attira e riceve insieme: perché è certo lui che l’attira internamente colla sua misericordia, e che l’accoglie esternamente colla sua dolcezza”.
11. Op. cit., pag. 292
12. Omelia 25, stralci: “Per colei che fece di Cristo l’unica ragione di vita. «Ella si recò la Domenica di Pasqua al Sepolcro, con gli unguenti, per onorare il Signore. Ma non lo trovò: “Maria invece stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva” (Gv. 20,10-11). In questo fatto dobbiamo considerare quanta forza d’amore aveva invaso l’anima di questa donna, che non si staccava dal sepolcro del Signore, anche dopo che i discepoli se ne erano allontanati. (…) Accadde perciò che poté vederlo essa sola che era rimasta per cercarlo; perché la forza dell’opera buona sta nella perseveranza, come afferma la voce stessa della Verità: “Chi persevererà sino alla fine, sarà salvato” (Mt. 10, 22). Cercò dunque una prima volta, ma non trovò, perseverò nel cercare, e le fu dato di trovare. (…) I santi desideri crescono col protrarsi. Se invece nell’attesa si affievoliscono, è segno che non erano veri desideri. (…) “Donna perché piangi? Chi cerchi?” (Gv. 20,15). Le viene chiesta la causa del dolore, perché il desiderio cresca, e chiamando per nome colui che cerca, s’infiammi di più nell’amore di lui. “Gesù le disse: Maria!” (Gv. 20,16). Dopo che l`ha chiamata con l’appellativo generico (…) senza essere riconosciuto, la chiama per nome come se volesse dire: Riconosci colui dal quale sei riconosciuta. Io ti conosco non come si conosce una persona qualunque, ma in modo del tutto speciale». Maria si risveglia dall’incubo: «Rabbunì!» («Maestro!»). L’umile penitente Maddalena, diventa testimone del trionfo del Crocifisso. Ora vorrebbe stare lì, in adorazione, e invece no: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro» (Gv. 20, 17). Porterà Lei l’annuncio agli Apostoli. (Om. 25,1-2. 4-5; PL 76,1189-1193).
13. Op. cit., pag. 293.
14. Omelia 25, 1-2
15. Op. cit., pag. 299