Note a partire dalla lettura di una recente ricerca storica sul Cardinal Martini e il Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (CCEE)
Antonio Greco
Il 31 dicembre 2022 leggevo il libro Storia di una sconfitta, una ricostruzione storica degli anni della presidenza di Carlo Maria Martini del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (CCEE)[1], quando veniva dato l’annuncio della morte di Joseph Ratzinger, un protagonista fra i più citati dall’autrice del volume, Francesca Perugi[2]. Una ridda di commenti si sono scatenati nella cronaca dei giorni successivi. Riflessioni prevalentemente dal tono apologetico più che critico sul “papa emerito” Benedetto XVI. Per contro, la ricerca storica condotta dalla giovane studiosa mi è sembrata offrire chiavi di lettura diverse e più articolate del profilo di quest’ultimo.
La ricerca della Perugi mette in luce, in particolare, il ruolo svolto all’interno del CCEE (impegnato nella promozione della collaborazione fra le Conferenze episcopali d’Europa) da un gruppo di vescovi che aveva in Martini uno dei suoi punti di riferimento, chiamato “gruppo di San Gallo” (dalla città svizzera sede del Consiglio). Il gruppo, conscio della responsabilità dei vescovi e delle conferenze episcopali d’Europa nell’evangelizzazione del continente, era fortemente impegnato nella promozione, attraverso il Consiglio, di un rapporto tra i vescovi europei “affettivo” ma anche “effettivo” (a guisa della struttura ecclesiastica che collegava i vescovi dell’America Latina -CELAM-, dell’Asia, dell’Africa …).
La Perugi rilegge tutta la vicenda del CCEE, iniziata nel 1965 su proposta del card. R. Etchegaray, arcivescovo di Parigi, ma concentra la sua attenzione sui sette anni, dal 1986 al 1993, in cui l’organismo ebbe come presidente il card. Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano.
La storia della chiesa europea è poco conosciuta, ancor meno la vicenda del CCEE e il perché quest’organismo viene profondamente riformato nel 1993.
La costituzione pastorale Gaudium et Spes del 1965, anche se redatta con un cammino incerto e tormentato[3], aveva aperto la stagione di una prospettiva positiva e ottimistica della storia e di una chiesa non contrapposta alla modernità ma solidale con il genere umano e lievito di giustizia e di pace. Vent’anni dopo[4], si apriva una lunga camminata nel deserto della Chiesa cattolica e trovava sempre più spazio rumoroso la Chiesa dell’anticoncilio, con i tradizionalisti alla riconquista di Roma[5] (per usare il titolo di un testo di Giovanni Miccoli).
Il testo della Perugi studia il collo di questa clessidra ecclesiastica e spiega, documentando, il perché di questo ribaltamento. La ricerca storica è frutto di un dottorato presso il Dipartimento di Scienze religiose dell’Università “Cattolica del Sacro Cuore”. Con una metodologia rigorosa, l’autrice ha scandagliato prevalentemente due archivi: l’Archivio storico diocesano di Milano (Fondo Martini) e quello del CCEE di San Gallo. Le fonti documentarie sono corredate da interviste a personaggi chiave ancora viventi. Fra gli altri: il vescovo Ivo Furer, segretario del CCEE; Camillo Ruini, protagonista del periodo ricostruito; Gianni Cesena, Segretario di Martini.
Ricco di idee, scrittura semplice e avvincente, il testo è accessibile anche a chi non è specialista della materia. L’autrice sembra quasi sorpresa di poter raccontare, con la libertà e senza vincoli, un conflitto fra i più alti livelli della gerarchia ecclesiastica, avvenuto in un tempo non troppo remoto. Ne riporto di seguito i contenuti che mi sono parsi più significativi anche ai fini di una più profonda comprensione dell’attualità ecclesiale, per poi proporre alcune riflessioni personali (anche) su quest’ultima.
- IL TESTO
Due diverse visioni di Chiesa
L’introduzione al testo si apre con una citazione di Giovanni Miccoli: “Le grandi alternative mancate, il cercare di scoprire la presenza (…) di potenzialità reali che non hanno avuto crescita, che sono emarginate o sconfitte, riassorbite o piegate ad esiti e fini diversi da quelli che si profilavano alle origini. (…) Quando nel corso di una ricerca ci si incontra, o si ha l’impressione di incontrarsi, con uno di tali momenti, è difficile sfuggire”[6].
Alternative mancate, potenzialità emarginate e sconfitte, esiti e fini diversi da quelli delle origini: è ciò che emerge dai documenti e dalle fonti studiate dalla giovane Perugi. Con coraggio e con parresia, mai con tono apologetico, sempre con rigore critico, la studiosa ha raccontato una battaglia tra due correnti, ciascuna convinta di avere un’immagine di chiesa diversa dall’altra, che si danno battaglia al vertice della piramide del potere della chiesa cattolica: quella rappresentata dal card. Martini e del “gruppo di San Gallo” e quella del card. Ratzinger, poi Benedetto XVI, di Ruini e di quasi tutta la Curia Romana, compreso papa Giovanni Paolo II. “La contrapposizione è reale”, sostiene Perugi. Martini “proponeva effettivamente un’idea di Chiesa diversa rispetto a quella di Giovanni Paolo II e auspicava riforme radicali per realizzarla. La questione è che per i tradizionalisti queste riforme avrebbero concorso a indebolire la Chiesa cattolica, secondo Martini invece erano l’unica risposta credibile di fronte a una società che era cambiata profondamente a partire dal Dopoguerra” (pag. 15).
Le due correnti del conflitto, precisa Perugi, non hanno messo “mai in discussione l’appartenenza ad una medesima istituzione” (19), né messo in gioco l’autorità della chiesa.
Le due diverse visioni di chiesa sono sorrette da due letture culturali profondamente diverse della modernità, della secolarizzazione, del socialismo reale, delle democrazie liberali, dell’Europa e delle sue radici.
“Il CCEE fu comunque il luogo, l’occasione, in cui questi vescovi (il gruppo di San Gallo) si incontrarono e maturarono una serie di posizioni sulle questioni della Chiesa nel mondo moderno diverse da quelle prevalenti nella curia romana” (pag. 29).
Ed è proprio la dimensione culturale dello scontro ai vertici della chiesa cattolica uno dei motivi più interessanti per leggere il testo della Perugi, anche per chi ha allergia per i temi ecclesiastici.
Evangelizzazione dell’Europa e secolarizzazione.
Giovanni Paolo II indicava come compito essenziale per la Chiesa, e in particolare per il CCEE, quello di mettersi a servizio dell’evangelizzazione dell’Europa ormai divenuto continente di missione, il luogo dove erano maturate “le correnti della negazione della religione, le correnti della morte di Dio, della secolarizzazione programmata, dell’ateismo militante”. Il gruppo di San Gallo accolse tale richiesta ma entrò in conflitto con le attese dello stesso papa e della curia romana per il modo con il quale declinarono questo servizio.
Agli inizi degli anni ’80 non vi era ancora una Europa unita riconosciuta politicamente ma il processo di unificazione del continente procedeva sicuro. Le frontiere economiche erano cadute e la mobilità professionale, turistica e culturale stava forgiando l’uomo europeo. Ma in tutta evidenza era anche la crisi che gli europei attraversavano e che si manifestava: sul piano religioso con ateismo e indifferenza; sul piano laico con l’emersione di filoni di nazionalismo che rallentavano il percorso di unificazione e con una serie di problemi molto concreti, dal commercio delle armi alla recessione economica e violenza urbana, dall’aborto all’etica della procreazione, alla eutanasia. In breve, la distanza tra comportamenti e valori cristiani era sintetizzata con il termine “secolarizzazione”.
Le riunioni del CCEE del 1982 e 1985 (Simposi V e VI), prima della presidenza di Martini, avevano affrontato il tema delle «radici cristiane dell’Europa» e il tema della «secolarizzazione». I vescovi del gruppo di San Gallo sostenevano che bisognava guardarsi dall’affermare con troppa facilità che sono le radici cristiane a fare l’Europa. Giovanni Paolo II sosteneva che “le radici dell’Europa fossero saldamente cristiane” (pag. 32). I vescovi del CCEE ritenevano, invece, che “il cristianesimo aveva un ruolo fondamentale nella storia europea ma anche che le radici del continente risiedessero in una molteplicità di tradizioni” (pag. 33). Come era possibile dimenticare il giudaismo e l’ellenismo, si chiedevano?
Per il gruppo di San Gallo “il fenomeno della secolarizzazione non era di per sé qualcosa di negativo” e la crescente distanza tra chiesa e istituzioni della società moderna non era da considerare negativamente.
Il gesuita austriaco, J. Schasching, una delle maggiori autorità in materia di dottrina sociale nei paesi di lingua tedesca, già nel 1985, aveva fatto notare che la Chiesa “anche quando era presente per secoli in tutte le istituzioni economiche, sociali, politiche e culturali d’Europa, era riuscita solo in parte a realizzare l’evangelizzazione della società” (pag. 37).
La curia romana, invece, dava della secolarizzazione una valutazione completamente negativa e la riteneva conseguenza dell’attacco al cristianesimo da parte dei nemici della fede.
Le radici del dibattito
Erano due letture diverse e opposte ma non nuove della modernità. Entrambi presenti nel testo della Gaudium et Spes, dovute al cammino incerto e tormentato per la sua approvazione. Anche nel 1965 c’era stato uno scontro tra i sostenitori di una impostazione incarnazionista, con un’impronta cristologica, centrata soprattutto nella categoria dei “segni dei tempi” e i sostenitori della prospettiva ecclesiologica, centrata sulla centralità della Chiesa e delle sue strutture. Il testo finale, pur contenendo elementi importanti della visione ecclesiologica, ebbe elementi preminenti della prospettiva cristologica, ispirata dalla teologia francese (Chenu e Congar). Così “l’immagine del rapporto della chiesa con il mondo subiva un cambiamento sostanziale: (…) significava assumere il presupposto teologico della partecipazione di tutti gli uomini ad una storia comune e ad un comune destino di salvezza. Così lo schema di Zurigo sottolineava la solidarietà della Chiesa con il mondo moderno, all’interno del quale chiama la chiesa a scoprire e riconoscere «i segni dei tempi». Non solo il rapporto con il mondo moderno non era di ostilità e di condanna, ma anche la percezione della separazione e della lontananza del mondo dalla chiesa, che motivava l’idea della missione e l’idea del dialogo, sembrava qui sottovalutata rispetto all’idea della solidarietà del genere umano, della globalità dell’opera redentiva attuata da Cristo, della presenza dei segni salvifici in ogni ambito della storia umana anche al di fuori di quello ecclesiale. In questo modo il problema dei rapporti tra chiesa e mondo veniva sciolto in chiave eminentemente teologica, con una prospettiva positiva e assai ottimistica della storia del mondo stesso”[7]. A questa impostazione si oppose ed espresse forti critiche l’episcopato tedesco, che insisteva per un modello ecclesiocentrico, con uno sguardo più pessimista sul mondo moderno e più legato ad una teologia agostiniana. Anche Dossetti muoveva critiche allo schema di Zurigo, poi approvato, ma per motivi diversi da quello dell’episcopato tedesco. Il rimprovero di Dossetti era quello di “non aver approfondito abbastanza la scelta teologica e di non averla mantenuta con coerenza per tutto il documento: così il capitolo sulla pace, e alla luce di esso tutto il resto del testo, gli appariva debole in quanto aveva sostituito la logica del Vangelo quella del senso comune e dell’opportunità politica”[8]. Con la approvazione della costituzione pastorale G.S. nel 1965, votata da una stragrande maggioranza dei vescovi, si sperava che si fossero poste le premesse per un giudizio nuovo verso il mondo moderno in quanto anch’esso luogo di azione salvifica. Ma le cose non andarono così. Almeno in Europa.
Le responsabilità della Chiesa
Già con il Sinodo mondiale dei Vescovi del 1985 la lettura ecclesiocentrica e negativa della modernità, che si esplicita nella impostazione pastorale basata su una antropologia ecclesiale contrapposta ad una antropologia razionale, riprende fiato e dà inizio ad una controffensiva dei vertici della curia romana e della Conferenza episcopale italiana guidata dal presidente card. Ruini.
Sin dai primi passi, invece, “il gruppo di San Gallo guardava con favore all’Europa, alla sua cultura, ai suoi valori, ai suoi progetti di unificazione politica. Senza avanzare pretese egemoniche sulla società, riponeva fiducia nella capacità della Chiesa occidentale di trovare la via per l’incontro tra fede cattolica e società pluralista, nella convinzione da una parte che ancora la società occidentale fosse vicina ai valori del Vangelo e dall’altra che la distanza che si andava acuendo era il risultato di trasformazioni storiche e, talvolta, di responsabilità della Chiesa stessa” (pag. 29).
E proprio su questa responsabilità le due posizioni apparivano ancora più contrapposte.
Nella dichiarazione dei vescovi d’Europa, Responsabilità dei cristiani di fronte all’Europa di oggi e di domani, in occasione del quindicesimo centenario della nascita di san Benedetto, patrono d’Europa, nel 1980, essi ritenevano, come prima cosa, di scrivere: «il corpo della Chiesa è pieno di cicatrici e di protesi, le sue orecchie sono piene del canto del gallo evocatore di rinnegamento, il suo taccuino è pieno di appuntamenti mancati per negligenza e lassitudine». E ancora: «i nostri rifiuti e le nostre colpe possono rendere meno limpida la nostra testimonianza, spesso dimentichiamo la nostra missione e così non siamo in grado di offrire al continente europeo tutto ciò che potrebbe aiutarlo»[9] (pagg. 30-31). Era la stessa posizione espressa da Etchegaray e poi da Hume, i primi presidenti del CCEE, sulla situazione europea della fine degli anni ’70 e inizi degli anni ’80.
La presidenza Martini
Il 2 ottobre 1986, nel III Simposio del CCEE che si tenne a Varsavia, fu eletto presidente C.M. Martini.
La Perugi, nella cronologia della presidenza Martini, individua 15 momenti tra i più importanti di questa presidenza e per i quali, ai fini di un quadro completo di tutta l’attività, rinviamo alla scheda n. 2 allegata.
L’attenzione per il dialogo ecumenico era la prima delle tre missioni specifiche del gruppo di San Gallo (oltre alla ricerca di una traduzione del cattolicesimo capace di facilitare l’incontro con la cultura dell’Europa occidentale e la ricerca della collegialità episcopale). E lo fu anche di Martini.
Le questioni ecumeniche aperte erano molte. Il problema principale di convivenza tra ortodossi e cattolici era rappresentato dal risorgere in Ucraina della Chiesa cattolica di rito greco, ossia della Chiesa uniate. Problema ancora oggi aperto e aggravatosi con la guerra scatenata da Putin. Con la maggiore libertà che iniziava a respirarsi in Unione Sovietica prima della caduta del muro di Berlino riaffioravano tensioni religiose e nazionalistiche tra gli ortodossi, che il regime era riuscito a reprimere nei decenni precedenti. La divisione tra chiese protestanti, Chiese ortodosse e chiesa cattolica rendeva il cristianesimo sterile nei confronti della vicenda europea.
Martini divenne uno dei più lucidi esperti del dialogo ecumenico. Per capire, basta seguire la Perugi che descrive e documenta le vicende per la preparazione e per lo svolgimento della assemblea ecumenica di Basilea nel maggio del 1989.
Il Consiglio ecumenico delle Chiese (WCC), organismo mondiale che si occupa del dialogo fra le differenti Chiese cristiane nel mondo, con sede a Ginevra[10], pensò di programmare una assemblea di tutte le chiese cristiane su tre argomenti: la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato. Dopo quattro anni di preparazione l’assemblea ecumenica si tenne a Basilea, città simbolo in quanto sede del concilio del 1431, nella settimana dal 15 al 22 maggio del 1989, quattro mesi prima della caduta del muro di Berlino. I partecipanti furono centinaia provenienti da ogni parte d’Europa. “Prelati e laici, giornalisti e militanti, giovani uomini e giovani donne lavorarono insieme superando le divisioni politiche, i muri e la Guerra fredda, con l’intento di mettere a punto un documento per il futuro dell’Europa” (pag. 61).
Basilea e il Vaticano
La preparazione fu molto travagliata. Il Vaticano autorizzò la partecipazione del CCEE all’assemblea di Basilea, ma, pur ritenendola importante, non ritenne possibile una partecipazione diretta della Chiesa di Roma. Si limitò ad inviare una delegazione come “osservatrice” guidata dal card. Ruini.
Lo svolgimento fu soggetto a molti compromessi terminologici e a scelte liturgiche discutibili. Tra i temi affrontati, oltre alla pace, la giustizia e la salvaguardia del creato, trovarono spazio anche questioni di attualità politica e religiosa, come quelle legate alle politiche gorbacioviane e alla tesi di Gorbaciov dell’Europa «casa comune», uno spazio inclusivo di modelli politici e sociali, oltre il solo modello occidentale. Le chiese occidentali ribadirono il loro anticomunismo, quelle orientali continuarono ad appoggiare i nuovi progetti politici della perestrojka ma in rapporto di subordinazione al potere politico.
I due temi di accesa discussione e divisione furono: la difesa della vita e il ruolo delle donne nelle chiese.
Il documento finale, risultato di tre redazioni, fu frutto di un compromesso molto elaborato: eliminato il riferimento alla democrazia come valore fondante per l’Europa, non fu condannato il sistema socialista come possibile organizzazione statale; sui temi etici non fu possibile trovare unità tra le chiese e “il documento finale a proposito di questi argomenti fu quindi talmente smussato da risultare ambiguo e da omettere le posizioni più nette” (pag. 67). Su aborto, metodi anticoncezionali, fine vita le posizioni tra le chiese erano ancora troppo distanti per raggiungere una posizione comune. Sul tema della donna nelle chiese “il documento finale chiedeva a tutte le Chiese di accrescere decisamente il coinvolgimento delle donne nei processi decisionali e nella vita della Chiesa in generale, di vigilare che esse siano rappresentate su un piano di uguaglianza negli organi ecclesiali”. La strada da fare qui era ancora molto lunga, commenta Perugi.
L’ultimo tema affrontato dal documento finale fu quello delle “colpe” delle chiese europee di fronte al mondo contemporaneo. L’eurocentrismo, tipico della cultura cristiana europea, ebbe il primo posto. Fra le colpe storiche e politiche che gravavano su tutte le Chiese cristiane fu individuata la colpa di aver legittimato la guerra, di aver provocato divisione tra le Chiese e di aver assunto uno stile di vita lontano dal Vangelo.
La valutazione dei cattolici della assemblea di Basilea
Nel giudizio sull’assemblea di Basilea da parte cattolica tornano le due visioni che si contrapponevano anche per altro: Martini ritenne che l’assemblea fosse diventata una pietra miliare nel cammino ecumenico per gli elementi di grande novità del documento finale, per il carattere “popolare” dell’assemblea, per le modalità della discussione e per la partecipazione, con lo stesso titolo e potere, di laici e laiche, teologi e teologhe, preti e vescovi alla votazione finale del documento.
Ratzinger, invece, valutava in modo negativo l’assemblea ecumenica. Riteneva sbagliata l’impostazione troppo politica dell’evento e riteneva non ammissibile che la chiesa trasformasse la sua natura e divenisse “una specie di movimento politico per la pace”. Metteva in guardia a non ritenere tutte illuminate le iniziative che stavano nascendo nella Chiesa per promuovere la giustizia e la pace. A seguire, altri ambienti cattolici fiancheggiatori di Ratzinger, valutarono ancora più negativamente l’assemblea, che giudicavano lontana dal vero ecumenismo e ritennero alcune affermazioni del documento finale inaccettabili per la Chiesa cattolica, come quella di accordare il diritto alle donne di essere rappresentate a tutti i livelli.
2 TRA STORIA E ATTUALITA’
Storia di una sconfitta?
Con la elezione del nuovo presidente del CCEE nell’aprile del 1993 il gruppo di San Gallo esce di scena. Quello che accadde dopo Basilea, nel sinodo speciale per l’Europa nel dicembre del 1991, e la definitiva riforma del CCEE, voluta dal Vaticano e fatta su misura per escludere qualsiasi possibilità a Martini di parteciparvi, fanno sostenere alla Perugi che quella del gruppo di San Gallo rimase una linea minoritaria, scartata come opzione e ininfluente sul futuro della Chiesa in Europa.
La tesi della sconfitta del gruppo di San Gallo, sostenuta dalla Perugi, appare ineludibile ed è racchiusa nel titolo del libro: “Storia di una sconfitta”. Senza nessuna incertezza, con una sottile melanconia, il titolo afferma che nello scontro tra le due visioni di chiesa, esce sconfitta quella di Martini. La lettura per intero del libro lascia intuire, invece, che si tratta di una “sconfitta” evangelica: “se il seme non muore…”. Lo stesso Martini in una intervista rimasta famosa dell’agosto del 2012, sostenendo che “la Chiesa è rimasta indietro di 200 anni” (pag. 167), indica, secondo me, anche il tempo lungo in cui il seme del Vangelo, al centro della visione del gruppo di San Gallo, apparentemente caduto e sepolto, sarebbe rimasto nel terreno della storia prima di germogliare.
Sulla scienza biblica
C’è un contrasto tra Martini e Ratzinger, codificato dal Testamento Spirituale di quest’ultimo che è fuori dal testo della Perugi perché non poteva conoscerlo: sulla scienza biblica. Ma è questo, secondo una mia modesta lettura, che spiega più degli altri le distanze tra le visioni teologiche ed ecclesiologiche tra i due.
La spiritualità di Martini, sostiene la Perugi, ha un profondo legame con i testi biblici. Ma la storica si premura, giustamente, di distinguere il biblista dall’uomo di fede. “Spiegare il rapporto tra Martini e la Bibbia esclusivamente in un orizzonte spirituale è certamente riduttivo” (pag. 14). “Il suo approccio alla scrittura non fu esclusivamente fideistico, ma critico, pastorale ed educativo” (pag. 13). “Con il metodo critico a suo avviso era possibile prendere coscienza di che cosa voglia dire per la mente umana conoscere qualcosa in maniera certa, o almeno seriamente probabile, giungendo a ipotesi e conclusioni scientifiche che, pur aprendo lo spazio a ulteriori ricerche, rimangono acquisite per ogni cammino futuro” (pag. 14).
Da Martini, esegeta finissimo e profondo conoscitore del metodo storico-critico, che ha dedicato molta parte della sua vita allo studio della Scrittura, Ratzinger era molto lontano, anzi ne era un convinto censore. A riprova di ciò basta legge una parte del testamento spirituale di Ratzinger, pubblicato subito dopo la sua morte, datato 6 agosto 2006.
“Non lasciatevi confondere! Spesso sembra che la scienza — le scienze naturali da un lato e la ricerca storica (in particolare l’esegesi della Sacra Scrittura) dall’altro — siano in grado di offrire risultati inconfutabili in contrasto con la fede cattolica. (…) Sono ormai sessant’anni che accompagno il cammino della Teologia, in particolare delle Scienze bibliche, e con il susseguirsi delle diverse generazioni ho visto crollare tesi che sembravano incrollabili, dimostrandosi essere semplici ipotesi: la generazione liberale (Harnack, Jülicher ecc.), la generazione esistenzialista (Bultmann ecc.), la generazione marxista”[11].
Non ritrovare nessuna parola di apprezzamento per le scienze bibliche, nulla che sia rimasto in piedi del lavoro svolto da eminenti esegeti anche cattolici, per cui per Ratzinger non rimarrebbe altro che affidarsi alla lettura tradizionale della Bibbia, indica la enorme distanza tra chi vuol rendere l’uomo moderno, sia laico che credente, adulto e indipendente nel trovare risposte alle sue domande fondamentali e chi, invece, si erge a magistero unico da cui l’uomo moderno, ancora infante, deve dipendere.
Per un concilio di “madri” e di “padri”
Oltre alla sconfitta del CCEE e della visione di chiesa di Martini, andrebbero studiate anche le sconfitte e l’emarginazione di tante esperienze che germogliarono nel decennio 1976-1986, cioè dall’ultimo Paolo VI al primo Giovanni Paolo II, in Europa, in Italia e anche nelle nostre chiese locali. Periodo di grande vivacità, rinnovamento, testimonianza evangelica e tanta speranza, che avevano la loro fonte particolarmente nei corsi biblici. E andrebbe anche capito quali frutti, se ci sono, per l’Europa ha dato l’impostazione teologica e pastorale sostenuta con ogni mezzo dalla curia romana.
La Chiesa di Papa Giovanni Paolo II era convinta che per una pace europea e globale duratura bastava sconfiggere il comunismo. La caduta del muro di Berlino e l’attuale “terza guerra mondiale a pezzi” ci dicono quanto sbagliata fosse questa convinzione.
La Chiesa di Ratzinger riteneva che, dopo la caduta delle ideologie, per curare la modernità e l’Europa, accusate di apostasia, per la sua malattia letale del relativismo, bastava dare alle chiese europee una identità chiara con demarcazioni evidenti e favorire la stabilità della pratica religiosa. La storia di questi ultimi trent’anni ci consegna prevalentemente un cristianesimo tradizionalista e intransigente che confina i cristiani europei, numericamente sempre meno, in un “ghetto sociale”, affascinati dalla illusione di offrirsi al mondo con l’appoggio del potere politico, ovviamente quello di destra.
Con Giovanni Paolo II, con Ratzinger e con Ruini, la dialettica interna non doveva esistere, il dibattito andava spento, il disagio taciuto. Alla “Dichiarazione di Colonia”, del gennaio 1989, sottoscritta da 163 professori di teologia, uomini e donne, di lingua tedesca[12], così come alla “Lettera ai cristiani” di un gruppo di 63 teologi, storici, e filosofi italiani del maggio 1989[13], la risposta data dai vertici ecclesiastici fu una rappresaglia, con censure e sabotaggi, anche dopo anni, o il silenzio. Come conseguenza più visibile c’è il ritorno ad una pietà fideistica e ad una teologia idealistica lontana dalla storia e, in generale, il ritiro nella propria fortezza individuale.
I successivi trent’anni anni sono stati difficili. Il mondo è profondamente cambiato. Alle vulnerabilità economiche e sociali strutturali della globalizzazione si sono aggiunti gli effetti deleteri delle crisi sovrapposte dell’ultimo triennio: la drammaticità del problema migratorio, la pandemia perdurante con una sanità in forte difficoltà, la guerra cruenta alle porte dell’Europa, l’alta inflazione, la morsa energetica. E la paura straniante di essere esposti a rischi globali incontrollabili.
Anche per i vertici della chiesa cattolica sono stati anni difficili. La rinuncia al papato di Benedetto XVI può essere considerato l’epilogo di una lunga traversata nel deserto in cui era stata trascinata la Chiesa cattolica dal 1985. C’è chi legge queste dimissioni come un paradossale atto di speranza. Solo il futuro dirà se è così. Per ora, il contrasto, gli attacchi, il rigetto, l’insulto al pontificato di papa Francesco e alla sua figura umana da parte di alcuni cardinali tradizionalisti e ultraconservatori, lasciano sgomenti per la violenza e per la continua minaccia di uno scisma, con le quali questi soggetti intendono contrastare qualsiasi tentativo di riforma strutturale della Chiesa. Appare del tutto evidente che un eventuale scisma è un problema che non riguarda il popolo di Dio ma alcuni episcopati legati alla ideologia tridentina.
La storia della chiesa ha conosciuto momenti più difficili del tempo presente, ma quanto diversa è la vicenda dei contrasti al vertice della Chiesa raccontata dalla Perugi con la sua ricerca! Che stile nel dibattere e nel contrapporsi tra cardinali! È vero sono stati contrasti dolorosi, con posizioni inconciliabili ma nobili, sempre improntati alla parresia e al rispetto reciproco.
Terminata la lettura della Perugi ci si chiede se la storia del gruppo di San Gallo non abbia anche dei limiti. Un limite appare evidente: la esperienza del CCEE è rimasta chiusa negli spazi angusti dei vertici della struttura ecclesiastica e non ha coinvolto per nulla la base del popolo cristiano.
“Una Chiesa trasformata dal popolo”, titolo di un testo di Harvè Lagrand[14], protagonista del gruppo San Gallo, più volte citato nel testo di Perugi, indica la via da percorrere per uscire dalla tempesta che sta attraversando i vertici della chiesa mondiale. Perché questo avvenga occorre capovolgere la piramide ecclesiale, senza retorica, con una profonda revisione delle categorie ministeriali. Ma dove sono “le chiese di popolo”? In Germania, in Francia, in Svizzera, in Italia… sempre più persone voltano le spalle alla chiesa istituzionale, per motivi diversi. La grammatica della secolarizzazione si fa sempre più profonda e nessuno sa che cosa può accadere.
La via del Sinodo del 2023-2024 sulla sinodalità della Chiesa (anche questa via, purtroppo, villanamente sbeffeggiata da un cardinale che ha definito tale Sinodo «un incubo tossico»), avviata da papa Francesco, potrebbe darci qualche bella sorpresa, almeno su temi non dogmatici. Ma se occorre revisionare gli attuali ministeri e se la domanda sul ruolo della donna nella Chiesa è quella decisiva per il futuro (come sosteneva il documento finale dell’assemblea di Basilea) e, comunque, se – come ha recentemente sostenuto Luigi Sandri – spetta alle donne, non ai “padri”, decidere “se” e “quali” ministeri ecclesiali loro possono accogliere o rifiutare, “tutto porta a ritenere che, al di là del Sinodo, occorre un Concilio di “padri” e di “madri” per affrontare temi dottrinali irrisolvibili stando al magistero vigente. Impresa asperrima che graverà su più pontificati”[15].
25 gennaio 2023
Scheda n. 1
Il testo di F. Perugi, Storia di una sconfitta, ha una introduzione e un epilogo ed è strutturato in 5 capitoli.
1. Il Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa dall’ideazione alla presidenza di Carlo Maria Martini: temi e protagonisti
- L’ideazione
- I primi passi
- Alcune peculiarità del gruppo di San Gallo
- Le colpe della Chiesa / 1.3.2. Un’Europa unita e plurale / 1.3.3. Il ruolo della Chiesa europea / 1.3.4. Il significato di “secolarizzazione” / 1.3.5. L’accento su ciò che unisce
- Il dialogo ecumenico
- I due polmoni dell’Europa
- L’incontro con la Chiesa ortodossa russa: il millesimo anniversario del battesimo della Rus’ di Kiev
- Il futuro del dialogo ecumenico: il CCEE e la KeK
- Le questioni ecumeniche aperte: la Chiesa uniate in Ucraina
- L’assemblea ecumenica di Basilea
2.5.1 Le difficoltà iniziali / 2.5.2 La discussione assembleare / 2.5.3 Conclusioni
- L’evangelizzazione dell’Europa
- Significato della formula
- Una “nuova evangelizzazione” o un’ “evangelizzazione nuova”?
- La nascita e la morte: un’occasione di evangelizzazione
- Un’Europa dall’Atlantico agli Urali
- Questioni di moralità
- La collegialità della Chiesa
- Il dibattito sulla natura delle conferenze episcopali
- Il CCEE e gli incontri informali tra i vescovi
- Le organizzazioni continentali dei vescovi a San Gallo
- Martini e la collegialità episcopale
- Il sinodo per l’Europa: la prova decisiva
5.1. La preparazione
5.1.1. L’esclusione del CCEE dalla preparazione del sinodo / 5.1.2. Il documento preparatorio ufficiale e quello del gruppo di San Gallo / 5.1.3. Il ruolo di Martini nella fase preparatoria / 5.1.4. La preparazione ufficiale
5.2. Lo svolgimento
5.2.1. L’assenza della Chiesa ortodossa al sinodo a Roma / 5.2.2. La partecipazione della Chiesa ortodossa all’incontro del CCEE a Santiago de Compostela / 5.3.2. La discussione sinodale / 5.2.4. La dichiarazione finale del sinodo
5.3. La conclusione
5.3.1. La reazione di Martini e del gruppo di San Gallo / 5.3.2. La riforma del CCEE
CRONOLOGIA
1965 Roma, R. Etchegaray scrive le Note sulla collaborazione fra le conferenze episcopali d’Europa
1967 Noordwijkerhout (Olanda), I simposio del CCEE su Le strutture diocesane postconciliari
1969 Coira, II simposio del CCEE su Il prete nel mondo e nella Chiesa
1971 Roma, elaborazione degli statuti ad experimentum del CCEE e R. Etchegaray diventa presidente
1975 Roma, III simposio CCEE su Il ministero del vescovo al servizio della fede
1977 Roma, approvazione degli statuti del CCEE
1978 Chantilly, I incontro ecumenico CCEE-KEK
1978 Giovanni Paolo II riceve a Roma per la prima volta la plenaria CCEE
1979 Roma, IV simposio del CCEE su I giovani e la fede
1979 Roma. B. Hume viene eletto presidente del CCEE
1980 Subiaco, Celebrazione per il quindicesimo centenario della nascita di san Benedetto
1980 Giovanni Paolo II elegge i santi Cirillo e Metodio compatroni d’Europa con la lettera apostolica Egregiae virtutis
1981 Logumkloster (Danimarca), II incontro ecumenico CCEE-KEK
1982 Roma, V simposio del CCEE La responsabilità collegiale dei vescovi e delle conferenze episcopali d’Europa nell’evangelizzazione del continente
1984 Riva del Garda-Trento, III incontro ecumenico CCEE-KEK
1985 Roma, VI simposio del CCEE su “Secolarizzazione” ed evangelizzazione
1985 Roma, Sinodo per il XX anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II
1986 Lettera di Giovanni Paolo II ai presidenti delle conferenze episcopali d’Europa
1986 Varsavia, Carlo Maria Martini viene eletto presidente del CCEE
1987 Dieburg, prima riunione dei presidenti delle conferenze episcopali convocata dal CCEE
1988 celebrazioni per il millesimo anniversario del Rus’ di Kiev
1988 Erfurt, IV incontro ecumenico CCEE-KEK
1989 Basilea, assemblea ecumenica su Pace, giustizia e salvaguardia del creato
1989 Triuggio (MB), Incontro europeo per i vescovi di nuova nomina
1989 VII simposio su L’atteggiamento odierno di fronte alla nascita e alla morte
1990 San Gallo, riunione dei rappresentanti delle organizzazioni continentali
1990 Roma, riunione dei presidenti delle conferenze episcopali europee sui temi di morale
1991 Santiago de Compostela, V incontro ecumenico CCEE-KEK
1991 Roma, Sinodo speciale per l’Europa
1992 Roma, Ruini convoca i presidenti delle conferenze episcopali europee per comunicare il progetto di modifica del CCEE
1992 Hume invia una lettera a Giovanni Paolo II
1993 Sodano comunica la definitiva riforma del CCEE
1993 San Gallo, Martini convoca l’ultima assemblea plenaria del CCEE
1993 Roma, riunione dei presidenti nella nuova plenaria del CCEE, Miloslav Vlk eletto nuovo.
[1] Francesca Perugi, Storia di una sconfitta, Carlo Maria Martini e la Chiesa in Europa 1986-1993, Carocci, Roma, 2022.
[2] Francesca Perugi, cultrice della materia in Storia del cristianesimo nel Dipartimento di Scienze religiose dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, collabora con la Fondazione Carlo Maria Martini ed è membro del Consiglio d’indirizzo dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri. Si occupa di storia del cristianesimo contemporaneo e nel 2021 ha vinto il premio biennale Lorenzo Bedeschi per la migliore tesi di dottorato sul riformismo religioso in età contemporanea.
[3] Il risultato della votazione ufficiale della costituzione fu: su 2391 votanti, placet: 2309; non placet: 75. Cfr. Giovanni Turbanti, Un Concilio per il mondo moderno, Il Mulino, Bologna 2000.
[4] Con la seconda Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, il 24 novembre-8 dicembre 1985, in occasione del ventesimo anniversario della conclusione del Concilio Vaticano.
[5] Giovanni Miccoli, La Chiesa dell’anticoncilio, I tradizionalisti alla riconquista di Roma, Laterza, Roma-Bari, 2011.
[6] G. Miccoli, Una storiografia inattuale?, in G. Battelli, D. Menozzi (a cura di), Una storiografia inattuale? Giovanni Miccoli e la funzione civile della ricerca storica, Viella, Roma 2005, p. 17.
[7] Giovanni Turbanti, op. cit., pagg. 806-807.
[8] idem
[9] cit. In Perugi, pagg. 30-31.
[10] Il WCC si descrive come una «comunità fraterna di Chiese che confessano il Signore Gesù Cristo come Dio e Salvatore, secondo le Scritture» (Costituzioni del CEC, art. 1). Il WCC è stato fondato nel 1948 e ha sede a Ginevra, in Svizzera. Al momento conta 349 membri di tutte le principali tradizioni cristiane, in gran parte protestanti, anglicane e ortodosse. La Chiesa cattolica partecipa come “osservatrice”.
[11] https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2022/12/31/0966/02044.html
[12] Cfr. https://www.viandanti.org/website/la-dichiarazione-di-colonia-gennaio-1989/
Il documento condensa in brevi tratti riserve e interrogativi sull’allora situazione ecclesiale riguardanti la nomina dei vescovi, l’autorizzazione ecclesiastica all’insegnamento per i professori di teologia, lo scarso riconoscimento della dignità di coscienza dei fedeli.
[13] La lettera indirizzata ai cristiani di fronte al disagio per le spinte regressive che attraversano la chiesa cattolica, si può leggere in: https://www.viandanti.org/website/lettera-di-63-teologi-italiani-maggio-1989/
[14] H. Legrand-M. Casmdessus, Una Chiesa trasformata dal popolo, Ed. Paoline, Milano, 2020. Cfr. Recensione in: https://manifesto4ottobre.blog/2022/03/03/la-chiesa-popolo-di-dio-un-richiamo-perentorio/
[15] In https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202301/230117sandri.pdf.