GLI ABUSI E I RAPPORTI STATO-CHIESA DA RIVEDERE

Articolo di Maurizio Portaluri pubblicato su Quotidiano di Puglia del 10 gennaio 2023

Marko Rupnik è un prete cattolico, gesuita, affermato artista autore di mosaici che ha decorato importanti edifici di culto nel mondo e nel cuore dello stesso Vaticano. Tra quelli a noi più vicini vi è la cripta nella chiesa nuova di San Pio a San Giovanni Rotondo i cui mosaici dorati sono stati realizzati tre il 2009 e il 2013. Ma è anche un riconosciuto esperto delle tradizioni cristiane orientali e dunque richiestissimo predicatore di esercizi spirituali. Due suore che lo avevano denunciato anni fa per abusi sessuali e di potere, hanno parlato di recente con i media, rendendo in questo modo nota al pubblico una questione grave che era stata accuratamente tenuta sotto silenzio. Nonostante il processo avviato dai gesuiti per verificare le accuse avesse concluso che il comportamento di Rupnik era effettivamente stato quello denunciato dalle religiose.
Esprimiamo vicinanza alle vittime degli abusi, quelle note e quelle ignote, siamo interessati alle ragioni strutturali che favoriscono gli abusi in vista di una riforma della chiesa cattolica e riteniamo che la forma giuridica e i contenuti della relazione tra Stato e Chiesa cattolica in Italia rappresentino un ostacolo alla ricerca della verità ma anche alla missione della stessa chiesa cattolica e agli interessi dei cittadini italiani.
Le accuse contro Rupnik sono state indagate dalla Congregazione della Dottrina della Fede, ex Sant’Uffizio, che le ha ritenute credibili al punto di scomunicarlo, decisione assunta nel maggio del 2020 e annullata dopo pochi giorni, possibilità di esclusiva pertinenza papale. La scomunica era stata comminata per aver assolto in confessione una suora considerata complice delle trasgressioni sessuali, colpa che comporta automaticamente una tale sanzione. Tra il 2020 e il 2021 una seconda indagine svolta sempre dalla Congregazione non ha sortito nessuna sanzione canonica riconoscendo l’avvenuta prescrizione dei reati. Il preposto generale dei gesuiti Arturo Sosa in una recente conferenza stampa ha sostenuto che sarebbero in atto «misure di restrizione del ministero del padre Rupnik», che «egli è a Roma, e continua il suo lavoro come artista, negli ambiti non toccati dalle misure restrittive a suo carico». La sua teologia ha precisato Sosa «non viene messa in questione, ma il suo comportamento come prete nell’esercizio del ministero sacerdotale».
Benché il personaggio sia conosciuto e rilevante, la notizia ancorché tardiva i fatti risalgono agli anni 90 è stata riportata in Italia da pochi giornali. I racconti dimostrano che un clima di omertà e condizionamento ha ritardato le denunce delle vittime, pare ventuno religiose. Sorprende anche che le vittime non si siano rivolte alla magistratura italiana sia perché una violenza e un abuso sono prima di tutto un reato sia perché nella chiesa cattolica non esiste la separazione dei poteri che è garanzia di imparzialità della amministrazione della giustizia.
È anche vero che abusi e violenze vengono svelati anche in altri ambienti dove la struttura gerarchica del potere è particolarmente pronunciata come negli ambienti polizieschi, militari e carcerari, ma qui siamo in un ambito in cui si professa la fratellanza, l’amore reciproco, il servizio vicendevole. Sarebbe un errore considerare il caso Rupnik un fenomeno legato alla singola persona senza mettere in discussione la struttura gerarchica e la concentrazione di potere della organizzazione in cui è avvenuto. La sacralità del sacerdozio, la patriarcale esclusione delle donne dallo stesso, il potere indiscutibile concentrato nella gerarchia che si autogenera sono le radici dei tanti «casi Rupnik».
Sarebbe altresì un errore considerare la questione puramente interna alla chiesa cattolica, come gran parte del mondo laico è incline a fare di fronte alle questioni ecclesiastiche. Secondo la Costituzione del 1948 mentre «le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano», lo Stato e la chiesa cattolica «sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani». Quando il mondo laico e il mondo cattolico comprenderanno l’anacronismo di queste norme, anche il rapporto concordatario tra Stato e chiesa cattolica cesserà. Sarebbe intanto molto utile abolire il comma 4

dell’art.4 del Concordato secondo il quale gli ecclesiastici non sono tenuti a dare a magistrati o ad altra autorità informazioni su persone o materie di cui siano venuti a conoscenza per ragione del loro ministero.
Ma nel frattempo e prima sarà forse la società correttamente informata a comprendere che strutture autoritarie, fratellanza e sorellanza non vanno mai d’accordo.

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