DISARMARE LA PAROLA

Queste parole sono di padre Pierluigi (Gigi) Maccalli, salito alla ribalta delle cronache per il suo rapimento nel Sahel conclusosi con la liberazione l’8 ottobre 2020. Ci sono moltissimi altri ostaggi e vittime dell’odio interreligioso – quanta contraddizione in questa locuzione – nel mondo. Ricordiamo padre Paolo Dall’Oglio, gesuita rapito in Siria il 29 luglio 2013: aveva costituito un centro di spiritualità e di amicizia tra gli uomini di ogni credo.

La mia sventura di missionario rapito sequestrato da un gruppo jihadista nel Sahel è conosciuta. E ringrazio la diocesi di Padova di avermi adottato nella preghiera in questi due anni di prigionia. Da questa esperienza ho maturato una forte comunione di solidarietà con tutte le vittime innocenti che subiscono violenza e guerra, sono stato trascinato dentro un conflitto e ho subito catene e umiliazioni e ho anche sviluppato una forte sensibilità alla pace che non passa dalle armi. Nel grande silenzio del Sahara in cui ero tenuto prigioniero e ostaggio ho vissuto un travaglio interiore fatto di tante domande e di ricerca di senso su quanto vivevo e subivo mio malgrado: perché seminare bene e raccogliere tempesta? dio mio dio mio perché mi hai abbandonato? ma che senso ha tutto ciò, ho cercato una strada alternativa alla violenza, e l’ho trovata meditando le parole forti del vangelo: pregate per i vostri persecutori e amate i vostri nemici altrimenti che fate di straordinario? I miei nemici li avevo innanzi a me, non che io li considerassi tali ma loro mi vedevano con questi occhi, io rappresentavo ai loro occhi il nemico occidentale da combattere o da convertire all’islam. Ho cominciato col pregare per loro e per i persecutori della pace e poi ho detto con cuore libero: padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Sono giovani e giovanissimi la più parte indottrinati da video di propaganda che avevano sempre tra le mani sui loro telefonini, non misurano il dramma di quello che fanno, sono loro i veri ostaggi della violenza e della guerra, sì, ho provato molta tristezza nel vedere che questi giovani sprecano la loro vita per servire la guerra e la violenza. Con loro ho coltivato un dialogo al quotidiano, ho imparato i loro nomi e ho risposto ai loro bisogni che mi manifestavano, ad Auda che aveva problemi di acne giovanile ho dato il mio sapone, con Abdullah che aveva mal di denti ho condiviso il mio dentifricio alla menta, a un altro che si era ferito al polpaccio, andando in moto si era procurato una ferita con un ramo sporgente di un albero, gli ho medicato la ferita con mezzi di fortuna. Ma ho fatto anche un gesto più impegnativo, al capo dei sorveglianti, quello che rifiutava di darmi la mano per salutarmi perché mi considerava un kafir, un miscredente, il giorno che mi conduceva alla mia liberazione, gli ho detto queste parole testuali: Abunaser che Dio ci dia di comprendere un giorno che siamo tutti fratelli, gli ho offerto la mia fraternità umana. Sono convinto che solo il perdono e la mano tesa di fraternità crea il ponte della pace, si tratta di un cambio di sguardo che è possibile solo se facciamo nostro davvero il linguaggio del vangelo. Da quando sono libero l’8 ottobre 2020, sono particolarmente allergico a parole armate che ascolto in televisione nei giornali nello sport in politica e nelle nostre stesse famiglie, e oggi ancor di più in questo tempo di guerra in Ucraina con tutte le opinioni di esperti e analisti a favore delle armi. Da uomo libero dico e ripeto: disarmiamo la parola, la parola è la scintilla che incendia ogni conflitto, dalla parola si passa alle mani, ai pugni e se queste mani sono armate si arriva all’omicidio, al femminicidio o alla guerra. Disarmiamo la parola per disarmare lo sguardo per imparare a vederci non da nemici ma da fratelli. Disarmiamo la parola per disarmare il cuore ed imparare ad amare e ad accogliere tutti, i profughi dall’Ucraina e i profughi dal Mediterraneo perché davanti a Dio padre non esistono figli di serie A o di serie B. Non dico niente di nuovo, ribadisco semplicemente il vangelo. Se preghiamo Dio padre impariamo a vedere accanto a noi dei fratelli, io non sono stato torturato o maltrattato, catene a parte, ma ho ricevuto insulti come schiaffi, e le parole feriscono fanno male. Una volta sono stato anche minacciato esplicitamente, uno mi ha detto: alla prima occasione ti pianto una pallottola in fronte, ma ho perdonato e sono in pace, non provo odio o rancore per ciò che ho subito e sono in pace. Oggi dico a tutti: non incateniamo mai nessuno né con catene di ferro né con etichette di pregiudizio, il mistero di ogni persona è ben più grande dei suoi sbagli, la pace non si fa con le armi, solo il perdono apre alla vera pace, a cominciare dalla pace dei cuori. Tutto comincia col disarmare la parola per imparare a guarda tutti con sguardo di complicità umana e a perdonare tutti con cuore libero, di questo sono profondamente convinto.

(trascrizione dell’intervento del 29 maggio 2022 all’incontro on-line della diocesi di Padova DALLA PAURA ALLA PACE https://www.youtube.com/watch?v=p3OoqV9Gt0o)

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