RACCONTI FUORI DALLE NICCHIE: CI SALVERANNO I SANTI RIBELLI?

Antonio Greco

Nel luglio 1977 David Maria Turoldo, a proposito di un servizio del telegiornale su don Milani, fatto apparire “quasi un santino da prima comunione naturalmente ‘prete obbedientissimo’, quasi peggio di sant’Antonio (…)”, scriveva: “Guarda cosa ti hanno fatto di sant’Antonio: un santo per fidanzate, una specie di efebo che se la gioca con quel Gesù bambino sulle mani”. E commentava: “bisognerebbe certamente aprire un capitolo sulla patologia degli agiografi e sul destino dei santi (…)”[1].

Al sostantivo “santi” ho trovato associato quasi sempre l’aggettivo “canonizzati”. Questo aggettivo pone il tema teologico-ecumenico della “fabbrica dei santi”, che divide i cristiani cattolici dai fratelli cristiani protestanti.  Ed è una fabbrica di beati e santi che difficilmente andrà in crisi perché c’è forte domanda di santi (la gente ha bisogno di un santo protettore e intercessore, come in cielo così in terra, a cui rivolgersi e la chiesa glielo dà) e perché rende bene: i santi sono il business delle parrocchie e dei noti santuari, dei tanti che ci lavorano attorno (cosiddetti organizzatori), tra processioni, luminarie, bancarelle, vendite di cianfrusaglie varie. Pur comprendendo alcuni aspetti positivi della religiosità popolare, l’essenza del cristianesimo non si basa sui santi ma sull’unico mediatore tra l’uomo e Dio, Gesù il Santo.

Ho trovato, invece, un aggettivo che associato a “santi” genera un ossimoro. Non avrei mai letto il libro di Leonardo Tondelli, Catalogo dei santi ribelli, se non fossi stato attirato dall’aggettivo “ribelli” e dal sottotitolo “storie di immigrati, ladri e prostitute che hanno cambiato la chiesa[2].

Finito di stampare nel giugno 2022 dalla Utet, non è un catalogo ma è la selezione da “un infinito corpus di agiografie” (pag. 283), di “ogni epoca e categoria umana” (p. 7), di 46 storie di uomini e di donne “interessanti”: due papi, un cardinale, due vescovi, due preti francescani, diciassette donne, tre dal “sesso ambiguo” e venti laici. Storie non studiate ma raccontate.

Le 46 storie sono divise in 9 capitoli, ciascuno con una pagina o poche righe tematiche introduttive sulla scelta e sulle problematiche che le figure del capitolo pongono:

  1. Cinque evangelisti e un fico (Marco, il leone; Matteo, l’esattore; Luca, il progressista; Giovanni, il primo e l’ultimo; Natanaele e la questione del fico; Tommaso, apostolo doppio);
  2. Alla corte di Gesù: tre donne e un ladrone (Maddalena -non era una prostituta-; Marta e la “parte peggiore”; Fotina, la samaritana; Disma il buon ladrone);
  3. Pietro Paolo &co. (Figure di Pietro; La figlia di Pietro -che non lo era-; Paolo l’infiltrato; Le profezie di Agabo; Onesimo, lo schiavo fuggitivo);
  4. Tre padri della Chiesa (più una mamma) (Girolamo, il ciceroniano; Ambrogio nel mondo dei bambini; Agostino e le pere del male; Monica non molla mai);
  5. Il sesso ambiguo dei santi (Marina e l’invidia del saio; Sergio e Bacco: soldati e sposi?; Sebastiano, l’icona gay; Sebastiano contro i gomorrei);
  6. I santi neri (Uno, mille, centomila Calogero; Benedetto, il moro lombardo in Sicilia; la vergine atzeca; Martin de Porres, infermiere e taumaturgo);
  7. I poveri di Cristo (Alessio, il falso mendicante; Francesco, lo specchio; Chiara, più francescana di Francesco; Che farai, Pier da Morrone?; Ciccio, eremita alla corte di Francia; Benedetto Labre, il mendicante vero);
  8. Autorecluse e autolesioniste (Felicità di Felicita e Perpetua; Maria, la prostituta nel deserto; Rita dei miracoli; I diavoli in Angela; Caterina, l’anoressica di Dio; Giovanna era bellissima; Le cinque vite di Veronica; Kater, il giglio dei Mohawk; Gemma);
  9. I santi del Novecento (Massimiliano, un santo ad Auschwitz; Wojtyla, santo e subito; Teresa di Calcutta, Madonna Povertà; Padre Pio, l’ultimo taumaturgo).

Dai semplici titoli dei 9 capitoli e dei 45 selezionati con un semplice attributo (questo manca solo a Gemma Galagani) è facile evidenziare che il libro di Tondelli affronta temi di grande attualità culturale e religiosa, conosce molto bene tutte le problematiche esegetiche che ruotano intorno ai “santi” selezionati, indica con chiarezza che l’idea di “santo” è poliedrica ed è facile capire, dopo aver letto tutto il libro, perché la ribellione è il punto di vista principale dal quale Tondelli guarda i 46 selezionati.

Si può davvero parlare di “santi ribelli”?

L’attributo “ribelle” applicato a un santo può essere solo un paradosso letterario. La ribellione e la disobbedienza dal magistero ecclesiastico non sono state considerate virtù da imitare. Erano virtù quando venivano esercitate verso il potere politico e chi le praticava pagava con la vita. In questi casi la santità coincideva con il martirio. Erano ritenute virtù quando i soggetti che le praticavano si ribellavano ai limiti morali della società del tempo e ai costumi correnti del mondo ritenuti contrari o devianti dall’etica e dalla dottrina cattolica. Quando, invece, la ribellione è categoria da applicare al potere ecclesiastico, questa non è più una virtù.  Le ribellioni al potere ecclesiastico, quelle fatte in nome del Vangelo, presto o tardi, sono state riassorbite dalla Chiesa. Nella fabbrica dei santi canonici “l’etichetta di santo non designa altro che il ribelle sconfitto e riabilitato” (pag. 9).

Sostiene Tondelli che anche alcune sconfitte di profeti in vita, contestatori della struttura gerarchica e umana del potere clericale, depotenziati in vita e poi integrati in morte, meritano di essere raccontate.

La forza del racconto

Il libro è “una raccolta di leggende, estesa su venti secoli ma senza profondità. È come una mappa, non del tutto autentica di un mondo che magari grazie a questo libro qualcuno scoprirà – dopodiché, se l’argomento davvero gli interessa, farà bene a disfarsene e a procurarsi cartine più professionali e dettagliate” (p.8).

Ma non è così. Certo all’autore interessano il racconto e le storie che hanno modificato la sua idea di “santo”, ma ai racconti sono sempre sottintesi la filologia, gli ultimi studi della ricerca biblica, della ricerca storica e delle scienze umane al servizio dell’agiografia. Nel libro vi sono pochissime citazioni e riferimenti bibliografici: Jovine, Carrère, Luzzato e, soprattutto, Chiara Frugoni a cui è dedicato il libro: “vorrei poter dire che molte idee qui contenute le ho rubate a lei, ma anche come ladro ero troppo inesperto. Non importa quanti scrigni lei abbia lasciato spalancati a chiunque volesse goderne: tante perle non le ho sapute comunque trovare. Ma sono ancora lì: leggete i suoi libri” (pag.9).

Italo Calvino teorizzava nelle Lezione americane[3] il valore della leggerezza nella sua letteratura: “mi sembrava che il mondo stesse diventando tutto di pietra: una lenta pietrificazione più o meno avanzata a seconda delle persone e dei luoghi, ma che non risparmiava nessun aspetto della vita (…) ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio”.

Tondelli toglie peso “ai santi” e racconta storie leggere e attraenti, quasi sempre sconosciute anche se soggette a diverse interpretazioni e a diverse ipotesi. Accanto a quella prevalente aggiunge le altre, in modo semplice, con la formula “oppure al contrario”.

I racconti di Marco, il più conservatore, e di Luca il più progressista, non hanno peso. Si leggono tutti d’un fiato. Ma anche le altre storie narrate sono piccole fiction tratteggiate con un linguaggio spumeggiante, anche se Tondelli precisa che “per fortuna non scrivo fiction” (pag. 233).

Ne segnalo alcune, e rinvio per le altre alla lettura del libro.

Oltre il rigido confine del santino

Dopo la storia di Disma, il buon ladrone, per cui c’è stato il processo più rapido di canonizzazione della storia, Tondelli affronta le storie dei due fondatori della Chiesa, Pietro, un gaffeur violento e risoluto, e Paolo di Tarso, che “non ha mai conosciuto Gesù ma lo spiega meglio di tutti, viene da una famiglia ebraica di Siria ma ha la cittadinanza romana. Una spia?” (pag. 73). Di Saulo-Paolo Tondelli scrive:

Dopo una caduta “fonderà una religione. Lo hanno suggerito in tanti, da Nietzsche in poi: la confessione religiosa che Gesù, quando eventualmente tornerà nella gloria, farà un po’ fatica a riconoscere, l’ha fondata Saul, in seguito chiamato Paolo. Senza di lui non avremmo nemmeno il nome “cristianesimo” – i primi a definirsi cristiani saranno i credenti di Antiochia, una delle comunità dove Paolo ha predicato. Prima di Saul c’era una cosa che si chiamava “la Via”, predicata perlopiù da ex apostoli di Gesù di Nazareth, a cui aderivano in forme diverse alcuni ebrei sparsi tra Gerusalemme e Damasco. La Via era imperniata sugli insegnamenti di Gesù tramandati in forma orale: uno dei primi a buttare giù qualcosa di scritto sarà appunto Saulo. Le sue lettere (non tutte davvero sue) fissano diversi punti della teologia cristiana che dai vangeli non sapremmo desumere; del resto, anche i Vangeli sono stati scritti dopo e almeno due sono attribuiti a persone che in momenti diversi collaborarono con Saulo stesso: Marco e Luca. Col primo Saulo litigò, per motivi che non conosciamo. La sensazione è che tendesse a litigare con tutti, alla lunga.

 È difficile affezionarsi a Paolo. Gran parte delle critiche che gli si muovono negli ultimi tempi sono abbastanza ingenerose: è vero, era misogino (…). È vero, considerava l’omosessualità contro natura. Insomma, aveva le idee di un predicatore dei suoi tempi. Nel Concilio di Gerusalemme Saulo però è all’estrema sinistra: nessuno più di lui vuole farla finita con i progetti della vecchia Legge. Gli altri sono più tradizionalisti (…). Ma è lecito domandarsi: se non ci fosse stato lui, ci sarebbe oggi ci sarebbero oggi dei cristiani? Forse la setta degli adoratori di Gesù sarebbe rimasta una curiosità dei libri di storia tardoantica, un’eresia nata in seno all’ebraismo ed estintasi in seguito alla distruzione di Gerusalemme del 70.

Saulo è il tipico personaggio che arriva per ultimo e in qualche modo la sa più lunga di tutti” (pagg.90-91).

Di Girolamo è noto solo che ha tradotto la Bibbia in latino ma pochi sanno che la dieta vegetariana che lui praticava e per cui una sua giovane seguace ci restò secca, lo costrinse, per lo scandalo, a fuggire da Roma e riparare a Betlemme. Per questo esilio durato anni ebbe il tempo per darci la Bibbia in latino. Girolamo è rimasto “un filologo. Classico. Ciceroniano. Se oggi leggiamo la Bibbia e ci troviamo i migliori argomenti per non dare sempre retta ai preti lo dobbiamo a lui (…). Tra l’amore alla Chiesa e quello per la lettera del testo, Girolamo scelse il secondo” (pag. 133).

Fra le donne sante ribelli, sorprendono la storia di Monica, quell’ubriacona madre di Agostino. La madre che non molla mai il figlio, convertito al manicheismo, che si era fatta una concubina e ci aveva fatto un figlio.  Per lunghi 15 anni Monica fu una acerrima nemica di questa concubina: “pecca pure con chi vuoi ma non con quella” dice Monica al figlio. Alla fine, vince lei che rimane con Agostino. Tondelli sostiene: “Il sospetto è che più che suo figlio il cristianesimo lo abbia rifondato lei. Una religione di mamme sollecite e soffocanti (…) Puoi studiare, fare carriera, tutte le storie che vuoi, ma loro sono lì che ti aspettano al varco, al primo cedimento, col biberon pronto, non hanno mai smesso di riempirlo, di scardarlo” (pag. 128).

 E poi incuriosisce la storia di Marina, vergine della Bitinia, orfana di madre, che si nascose nel saio per restare vicina al padre. Il travestimento fu così efficace che la santa fu accusata di aver messo incinta una cameriera. Singolare è anche la storia deprimente di anoressia di Caterina, patrona d’Italia.

Forse di tutti i santi, i poveri di Cristo sono i più sconfitti. E i più ammirati. “Dalla fondazione della Chiesa, ogni secolo ha avuto i suoi pauperisti che hanno tentato di riportarla al suo stato di povertà originale. Non hanno avuto vita facile (anzi, quasi mai)” (pag. 170). Infatti, la storia di Francesco d’Assisi è stata completamente cancellata e riscritta qualche decennio dopo la sua morte. Ciccio da Paola, “un santo attualissimo”, perché “essere eremiti di successo è complicato”. Alessio, il falso mendicante, è “il santo leggendario più stronzo che conosco” (pag. 175), sostiene Tondelli.

Dei i santi ribelli del Novecento, Tondelli ne sceglie quattro: Massimiliano Kolbe, Wojtyla, Teresa di Calcutta e padre Pio. “Sono figure più controverse che in passato” (pag. 261), riconosce Tondelli.

Ritengo che proprio quest’ultima parte sia la più debole e la più problematica di tutto il libro.

Il risultato complessivo del libro è che leggerezza dei suoi 46 racconti brevi è da considerare un valore anziché un difetto.

Chi è Tondelli?

È un insegnate. Ha “già avuto mezzo migliaio di alunni” (pag. 255). Insegnante, aggiungo io, anche lui “ribelle”, se nel narrare la storia di Ambrogio, l’unico in Milano che “sapeva leggere senza parlare, senza nemmeno muovere le labbra!” (pag. 114), non battezzato, organizzatore di un’orgia in casa sua con amici e prostitute per sottrarsi alla volontà popolare milanese di essere nominato vescovo senza però riuscirci, Tondelli scrive di sè: “di mestiere insegno italiano ai bambini. E ci credo, sono convinto che saper leggere e scrivere sia fondamentale. Eppure, a volte ho nostalgia di quando erano tutti bambini, nel mondo, quando la società era un enorme asilo, e bastava saper compitare qualche riga per fare il fenomeno” (pag. 114).

Si autodefinisce “una persona mediamente onesta, che senza aver fatto nulla di straordinariamente cattivo nella vita, non ha nemmeno fatto nulla di particolarmente buono” (pag. 284).

È anche giornalista. Da dieci anni cura una rubrica sul santo del giorno sul “Post” diretto da Luca Sofri. Di santi non è un esperto ma si ritiene “in diritto di parlarne, da bravo italiano, perché come il calcio e la pasta, i santi da sempre fanno parte del mio paesaggio” (pag. 7).

Si definisce un “miscredente superficiale” (pag. 7). Dopo aver letto il libro Catalogo dei santi ribelli, “si sarà capito – scrive Tondelli – che parla di santi ma è scritto dalla prospettiva di una persona che non crede alla santità; che la considera un fenomeno umano e non divino. Volevo scrivere una serie di storie interessanti e divertenti, non certo deridere una religione e i suoi credenti. Per i santi di questo libro nutro un grande affetto: sono sempre stati parte del mio paesaggio e da qualche anno sono anche parte di me. Non posso dire di credere in loro, ma strada facendo mi capita di invocarli sempre più spesso” (pag. 9).

Per concludere

Il destino dei santi canonizzati è segnato dalla patologia degli agiografi, per dirla con Turoldo. Tondelli non soffre di questa patologia.

L’uomo secolarizzato è portato a guardare e seguire le eccellenze, a imitare e inseguire chi ha potere e successo e non se ne importa dei santi.  Anche il credente adulto non può più essere uno per cui Gesù sia un optional. Le tante, le troppe agiografie che hanno riempito finora le biblioteche parrocchiali possono diventare carta da macero.  Il credente ha in Gesù il mediatore perfetto e nessun battezzato può fare da mediazione rispetto ai suoi fratelli, anche se tutti possono e debbono intercedere per gli altri.

Ma ben vengano, senza assolutizzare, vite straordinarie segnate da atti eroici o da totale abnegazione e da amorevole dedizione per il prossimo. Ben vengano i veri riformatori, quelli che cambiano, quelli che trasformano, che sviluppano e risuscitano il cammino spirituale. Personaggi che illuminano. Figure affascinanti, ribelli allo status quo del mondo e della Chiesa. Figure umane, non sacre, e per questo fortemente amate.

Di “santi ribelli”, capaci di un’incalzante provocazione a quel «gigante addormentato» – appunto il 997 per mille dei battezzati – affinché cominci a risvegliarsi, ha tanto bisogno oggi la Chiesa cattolica che, purtroppo, lì dove lo Spirito li suscita, ha la tentazione di riassorbirli, inglobarli e normalizzarli.

Le storie narrate nel testo di Tondelli tolgono dalla nicchia alcuni santi canonizzati e li restituiscono alla loro dimensione umana.  Le 46 narrazioni aneddotiche diventano idealmente una sola e danno vita ad una ideale comunità di ribelli credenti. Non saranno queste narrazioni a far superare il duro momento in cui si trova il cattolicesimo.  Ma, con la certezza che la strada della santità per l’uomo d’oggipassaattraverso la ribellione, perché non possiamo parafrasare l’assioma agostiniano, “si isti et illae, cur non nos?” (trad.: se questi e quelle, perché non noi?).


[1] D.M. Turoldo, Il mio amico Don Milani non era come dite voi, in «La Domenica del Corriere», 7 luglio 1977.

[2] Leonardo Tondelli, Catalogo dei santi ribelli, Utet, Milano, giugno 2022, pp. 285, € 18,00.

[3]https://www.liceogalvani.edu.it/wpext/download.php?ckbackend&doc=/account_53_documenti/1P%2520storia/5P/Italo_Calvino_Lezioni_americane.pdf

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