“LA CHIESA CATTOLICA SI SCHIERI CONTRO LE AGGRESSIONI MOTIVATE DA OMOTRANSFOBIA”

Ha scritto alla Conferenza Episcopale Pugliese (CEP) un gruppo di genitori cattolici di figli omosessuali della stessa regione per chiedere alla Chiesa di schierarsi dalla parte delle vittime di aggressioni omotransfobiche. Nelle settimane scorse associazioni di genitori cristiani e gruppi di LGBT cattolici avevano levato la loro protesta per il comunicato con cui la presidenza della CEI aveva paventato limitazioni alla libertà di opinione di chi ritiene l’unica unione possibile quella tra le persone di diverso sesso se la legge che prevede l’aggravio di pena per aggressioni dettate da omotransfobia in discussione in Parlamento fosse stata approvata. In Italia sono numerosi ed attivi i gruppi di genitori e figli omosessuali che si definiscono cattolici. Di seguito pubblichiamo il testo della lettera aperta indirizzata a mons. Donato Negro, presidente della CEP con due testimoniante di un giovane omosessuale cattolico e di una madre.

Eccellenza Re.ma Mons. Donato NEGRO,

Il 10 giugno scorso la Presidenza della CEI ha diffuso un comunicato per intervenire nella discussione parlamentare sulla proposta di legge in materia di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere. La CEI ritiene che “per questi ambiti non solo non si riscontra alcun vuoto normativo, ma nemmeno lacune che giustifichino l’urgenza di nuove disposizioni. Anzi, un’eventuale introduzione di ulteriori norme incriminatrici rischierebbe di aprire a derive liberticide, per cui – più che sanzionare la discriminazione – si finirebbe col colpire l’espressione di una legittima opinione, […]. Per esempio, sottoporre a procedimento penale chi ritiene che la famiglia esiga per essere tale un papà e una mamma – e non la duplicazione della stessa figura – significherebbe introdurre un reato di opinione. Ciò limita di fatto la libertà personale, le scelte educative, il modo di pensare e di essere, l’esercizio di critica e di dissenso”.

Come genitori cattolici di figli omosessuali la predetta presa di posizione ci ha lasciato molto perplessi perché non comprendiamo come alla Presidenza della CEI sia potuto sfuggire il gran numero di aggressioni verbali e fisiche di cui sono fatte oggetto coppie omoaffettive, persone omosessuali e transessuali nel nostro paese. Nel 2019 le associazioni per i diritti delle persone LGBT ci ricordano che in Italia si sono registrate 84 aggressioni e di queste 5 in Puglia. Non sarà difficile comprendere che questo numero rappresenta la punta di un iceberg e che chissà quanti sono i casi non denunciati per timore di ritorsioni.

Ci limitiamo a menzionare alcuni recenti episodi. Novembre 2019: Daniele, 25 anni di Barletta, viene pestato da un collega sul luogo di lavoro. Settembre 2019: una coppia omosessuale viene cacciata da un lido di Gallipoli. Agosto 2019: una ragazza transessuale viene portata via, ancora da un lido di Gallipoli, da un buttafuori. 10 agosto 2019: un 43enne viene pestato due volte, sempre a Gallipoli, da un gruppo di turisti che gli staccano un lobo dell’orecchio.

Qui non si discute se la morale cattolica attuale debba accettare o meno una unione tra persone dello stesso sesso, ma semplicemente se commettere o istigare a commettere atti di discriminazione, di violenza o di provocazione alla violenza ai danni di persone omosessuali o transessuali debba essere punito con aggravio di pena come crimini d’odio, così come avviene nell’attuale legge per motivi razziali, etnici, nazionali o, non ultimo, religiosi. Non dimentichiamo che l’omosessualità è considerata un reato in molti paesi soprattutto di tradizione islamica e che gli omosessuali furono internati e sterminati durante i regimi fascisti e nazisti e durante il comunismo stalinista.

Nel merito della proposta legislativa, non si comprende come si possano verificare «derive liberticide», come sostiene il comunicato della CEI. A ben vedere, infatti, la proposta di legge 569 in discussione non inserisce alcuna norma incriminatrice «ulteriore» ma si limita a introdurre, in articoli già esistenti, degli elementi e delle aggravanti ulteriori con riferimento ai motivi alla base di reati di discriminazione già esistenti. Detto altrimenti, l’intervento legislativo non amplia la tipologia di azioni sanzionabili, ma inasprisce la pena per reati che sono già sanzionati, per l’ipotesi

che la discriminazione sia fondata sull’orientamento sessuale o di genere. Non si capisce dunque quale sia la connessione con i reati di opinione – nulla pare venga eccepito sulla sussistenza di detti reati quando la motivazione è religiosa.

La questione meriterebbe una riflessione più approfondita da parte della Chiesa cattolica anche per la presenza tra i presbiteri ed i fedeli di persone omoaffettive la cui incolumità andrebbe tutelata come quella di tutti; un approfondimento che consideri l’assenza di ogni riferimento negativo sull’omosessualità nei Vangeli e la vocazione al rispetto ed all’accettazione di ogni diversità da parte delle comunità dei credenti per preannunciare la fraternità del Regno. Soprattutto in una società secolarizzata, omofoba e patriarcale ci aspettiamo dalle comunità modelli di vera fraternità e non riproduzioni delle discriminazioni presenti nella società che si vuole evangelizzare e moralizzare. Nella Dichiarazione di Abu Dhabi sulla Fratellanza Umana firmata dal papa e dalla massima autorità musulmana nel 2019 si parla della diversità umana – persino di quella tra le religioni – come di un fatto provvidenziale che va rispettato riconoscendo le diverse forme di cultura, di vita e di comunità.

Siamo consapevoli di provenire noi stessi genitori da una cultura della paura per la diversità ma abbiamo deciso di metterci in ascolto dei nostri figli e di imparare alla scuola del rispetto delle differenze che ci danno l’opportunità di frequentare. Perciò crediamo che solo dalla conoscenza reciproca le comunità cristiane potranno superare la paura ed il pregiudizio verso le persone omosessuali e transessuali che le attanaglia.

In Puglia è nato un gruppo di genitori cristiani di figli LGBT e alcuni di essi sottoscrivono la presente lettera. Non tutti, ma una parte a dimostrazione di come le paure di stigma e discriminazione siano concrete. Alleghiamo alcune testimonianze di genitori e ragazzi pugliesi perché quanto qui narrato sia sostanziato da storie di vita vissuta.

Distinti saluti,

Albarosa Sanzo e Maurizio Portaluri di Brindisi, Maria Ippolito e Pietro Camardo Leggieri di Massafra (TA), Dora Bianchi e Vincenzo Costantini di Massafra (TA), Maria Rosaria Di Spirito e Antonio Pepe di Foggia.

29.06.2020

per la corrispondenza: albarosa.sanzo@gmail.com

Appendice

AGNELLO DI DIO CHE TOGLI I PECCATI DEL MONDO DONA A NOI LA PACE

Sono Fabio Trimigno, quarantaduenne, cristiano cattolico e unito civilmente con Roberto da due anni, ma con il quale vivo ormai da tredici anni.
La mia condizione di omosessuale mi ha portato a non avere più una vera famiglia di sangue, ma una piccola comunità che, con l’aiuto dei Camilliani Ministri degli Infermi, mi ha accolto tra gli ulivi e le onde di una contrada molto difficile e segnata dalla mafia: Macchia di Monte Sant’Angelo ai piedi del Monte Gargano. Viviamo in una piccola casa tra gli ulivi e il mare, e che spesso accoglie lacrime e racconti di altri figli e figlie di Dio, che credono di non essere amati e amate perché gay o lesbiche.

In una sera di un freddo novembre del 2010, Roberto ed io passeggiavamo lungo il viale Aldo Moro di Manfredonia, quando ad un certo punto siamo stati derisi e aggrediti verbalmente da un giovane ragazzo con a seguito un gruppo di altri dieci ragazzi che erano lì a godersi lo spettacolo, senza rendersi conto di ciò che stava accadendo sotto i loro occhi.

Nel giro di pochi attimi l’aggressione verbale (con richiami forti alla nostra condizione di omosessuali) si è trasformata in un’aggressione fisica nella quale Roberto ha riportato delle ferite sulla nuca. Dopo l’intervento di altri giovani che passavano di là per caso, Roberto ed io siamo riusciti a liberarci e ad allontanarci dal luogo.

Tornammo a casa senza neanche passare dal pronto soccorso, non avevamo la forza di guardarci negli occhi, avevamo paura ed eravamo cosi scossi che quasi non credevamo a ciò che era successo. Andammo a coricarci sul letto e a riposare (se riposo si può chiamare), senza neanche darci la “buona notte” che eravamo soliti scambiarci. L’indomani, quando sembravamo più lucidi, andammo prima al pronto soccorso (perché ormai le ferite alla nuca erano più doloranti e gli ematomi più evidenti) e poi dai carabinieri a denunciare l’accaduto. Nell’arco di una settimana fu rintracciato l’aggressore e da allora poi seguì un semplice processo, senza ovviamente nessun aggravante sull’accaduto.

Io, in cuor mio e da cristiano che sono, sapevo che non potevo fermarmi solo alla denuncia, mancava qualcosa: il perdono.
Roberto ed io riuscimmo a guardarci negli occhi e a capire che, nonostante la denuncia fatta all’aggressore e la conseguenza delle sue azioni, dovevamo fare qualcosa perché si creasse una possibilità di dialogo e confronto, una possibilità di riscatto per cui un reato non fosse solo punito, ma fosse anche compreso. Decidemmo di invitarlo a cena, invitammo il nostro aggressore a cenare con noi: un atto che fece parlare tutti, anche i nostri più cari amici che non furono d’accordo sulla nostra scelta.

Ecco, come è possibile il perdono e la riconciliazione, deve essere possibile la libertà di camminare per strada in una fredda sera di novembre. Ecco, come è possibile che un agnello possa togliere i peccati del mondo, deve essere possibile anche donare la pace e donarsi la pace.
Ecco, come è possibile che ci sia un aggravante per l’incitazione alla violenzae alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali, deve essere possibile riconoscere un atto di violenza e di discriminazione omotransfobica.

Credo che saremo veramente una comunità con senso civile, quando riusciremo a prendere un martello tra le mani e iniziare ad abbattere le mura delle nostre chiese e dei nostri palazzi, e saremo capaci di celebrare questa vita dentro la storia umana, tra le persone che sono fatte di carne, come lo era il Cristo e come lo è il Vangelo. Nel momento in cui ci verranno tolte le nostre sicurezze, i

nostri spazi, luoghi, palazzi, usanze, ci sentiremo più persi o più uomini? Ci sentiremo più persi o più donne? Credo che per essere davvero chiesa e corpo di un Cristo che piange ogni uomo e donna abbandonati e feriti dalla discriminazione a causa del proprio orientamento sessuale, la nostra comunità deve imparare a spogliarsi della propria religione e cominciare a cercare la fede per danzare la vita nella sua diversità.

Se oggi ci sono tanti omosessuali che credono ancora in Gesù e nella potenza del Vangelo è grazie al Papa che ha mostrato misericordia, grazie a quei pochi sacerdoti che si fanno portatori della buona novella tra gli ultimi, grazie a quei religiosi veri uomini evangelici, che hanno saputo e continuano a “ri-generare” il Verbo di Dio facendo discernimento sui propri fratelli e sulle proprie sorelle. Il concetto di “generare e ri-generare” a cui spesso alcuni uomini di Chiesa fanno cenno è un concetto pieno di speranze e futuro: un’operazione che purtroppo la Madre Chiesa fa fatica a fare. La Chiesa, la mia Chiesa, la nostra Chiesa, la Chiesa di Cristo spesso purtroppo è madre a metà: genera ma non “ri-genera”.

Se la mia fede oggi non è crollata, è solo grazie allo Spirito che agisce attraverso famiglie, sacerdoti e amici. Oggi io posso dire apertamente di vivere una fede più matura e di sforzarmi di migliorare la Chiesa di cui sento di essere figlio.
Io ho un desiderio: una Chiesa Madre di cuori che generano relazioni d’amore.

Fabio Trimigno Gruppo Zaccheo Puglia

LA TESTIMONIANZA DI MARIA ROSARIA

Sono Maria Rosaria, insegnante elementare in pensione. Mio marito Tonino Pepe, docente di religione in pensione, impegnato sin dall’adolescenza in parrocchia e in associazioni di volontariato. Abbiamo avuto tre figli: Elena, Daniela e Alessandro. Lui è nato quando le sue sorelle avevano 15 e 13 anni e, per tutti noi, è stata una gioia immensa. All’età di 7-8 anni, giocando in cortile con i suoi coetanei, affermò che non gli piaceva il calcio, ma fare il ballerino… questa affermazione diede il via ad una discriminazione continua, violenta e sempre più aggressiva che lo ha portato, in seconda media, a pensare di farla finita buttandosi dalla finestra del secondo piano della sua scuola. Per miracolo non si fece assolutamente nulla esternamente, ma la sua anima era dilaniata… dopo un lungo percorso psicologico anche come famiglia, prendemmo coscienza della sua omosessualità. Proprio gli amici più cari, cattolici, ci isolarono. Ogni giorno un nuovo episodio di violenza entrava nella nostra casa e avvelenava le nostre vite. Alessandro si allontanò da Foggia perché sembrava l’unico modo per sfuggire alle aggressioni e noi vagavamo senza meta fino all’incontro quasi casuale con l’AGEDO, Gabriele Scalfarotto e don Michele de Paolis. Ho imparato a capire questo mondo a me sconosciuto e ho deciso che posso fare la mia parte per combattere l’omofobia girando per le scuole e offrendo informazioni scientifiche e testimonianze ai ragazzi e continuo la mia “missione” da 10 anni negli istituti superiori di Foggia. Come cattolica lavoro all’interno dell’istituzione chiesa per aiutare i genitori ad accogliere ed amare i propri figli così come sono, e i giovani ad avere rispetto delle diversità di ogni persona.

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