Riprendiamo con il medesimo titolo un post (1) su Fb pubblicato dal prof Mauro PESCE, biblista e storico del cristianesimo all’Università di Bologna, con una nostra introduzione.
L’unica opinione sul fenomeno religioso cattolico e cristiano di oggi (non solo europeo) condivisa da tutti gli studiosi, sia progressisti che conservatori, è che c’è una crisi, il cristianesimo è in crisi. E non certo da oggi. Persino gli ultimi due papi concordano su questo: a dicembre 2019, di fronte alla curia romana, papa Francesco aveva ammonito che «non siamo più nella cristianità, non più!», ed erano parole pari soltanto al gesto dimissionario del suo predecessore Benedetto XVI.
Poi cominciano le differenze.
La differenza fondamentale è su quali siano le cause della crisi e, conseguentemente, su quali riforme siano necessarie per uscire da essa e quali strumenti utilizzare (un nuovo concilio, i sinodi locali…). Alcuni dicono che la radice è interna alla Chiesa: il celibato, il non accesso delle donne al diaconato e al sacerdozio, lo scandalo degli abusi sessuali e finanziari. Altri invece affermano: no, le cause sono la secolarizzazione, il consumismo, l’individualismo, le scienze che mettono in discussione la dottrina cattolica.
Mauro Pesce, biblista e storico del cristianesimo all’Università di Bologna, con un post su https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=10222263328402342&id=1539626880&anchor_composer=false del 3 aprile, dal titolo “E’ l’ora delle riforme”, spiega il perché “si può ricominciare a lottare per alcuni epocali obiettivi di riforma” e ne indica, in modo molto chiaro e semplice, sei.
Mauro Pesce è autore di molti libri, l’ultimo dei quali, quello del 2020, ha per titolo “Gesù e i suoi seguaci. Identità e differenze”, 2020, edito dalla Morcelliana. E’ sposato con Adriana Destro – www.adrianadestro.net– (Prof. di Antropologia Culturale, Università di Bologna), con cui ha scritto molti testi dedicati alla figura di Gesù, alla sua morte in particolare, e alle origini del cristianesimo. L’autore ritiene fondamentale per una vera riforma strutturale del cristianesimo il primo punto: il “Ritorno a Gesù”. Il recupero della figura storica di Gesù “permette anche di avere le basi per risolvere i seguenti problemi” e ne indica cinque. Per avere “una visione straordinaria di ciò che potrebbe essere una religione ispirata a lui” per l’uomo d’oggi, conclude Pesce, “per tutto ciò, ripeto, abbiamo bisogno di una lettura nuova della figura di Gesù”.
Concordo con Pesce sul fatto che tutti i grandi momenti di riforma della Chiesa si sono espressi nella forma di un ritorno a Gesù. Anche oggi c’è interesse scientifico intorno alla ricerca storica su Gesù di Nazareth. Però non va dimenticato che anche la ricerca storica intorno alla figura di Gesù ha dei risultati divergenti e non univoci. E non facciamo riferimento alla teologia cattolica, che dopo la breve stagione post conciliare, tende a mettere in secondo piano la ricerca storica rispetto ad una lettura spiritualizzante dei Vangeli, né al dato che in Italia la gerarchia ecclesiastica tende ad opporsi, a volte anche maldestramente, a questa ricerca storica. Faccio riferimento alla segnalazione di studiosi che, pur accettando una rigorosa e scientifica indagine storica sui testi dei vangeli canonici, allargata anche agli “apocrifi” (che già a partire dal II sec. d. C. la chiesa ha progressivamente rifiutato come divinamente ispirati), giungono a ritenere avere molti limiti la conclusione di un Gesù tutto giudaico e reputano “eccessiva” la ebraicità della figura di Gesù come emerge dagli studi di Pesce. (Penso, solo per citare un nome, al nostro (leccese) Franco Tommasi, “Non c’è Cristo che tenga”, ed. Manni, 2014) Questo per dire: “Ritorno a Gesù storico”. Va bene. Ma, con una ricerca storica in movimento, quale Gesù storico?
Detto questo ai cinque punti di riforma ci permettiamo di aggiungerne un altro, che riteniamo essenziale: la forma del potere nella struttura ecclesiastica cattolica. I temi della collegialità sinodale (tanto importante nell’agenda di papa Francesco) e il tema del rapporto tra comunità locali e nomine episcopali. Ha ragione Pesce nel sostenere che è questo un momento opportuno per «prendere il largo» e cercare una nuova identità per il cristianesimo in un mondo che cambia radicalmente sotto i nostri occhi. Senza dimenticare che, purtroppo, Francesco non è eterno, che gli avvoltoi conservatori sono molto agguerriti, che i tempi del cambiamento sono lenti e con tanti tornanti e soprattutto che i tanti (per fermarci solo al secolo scorso) che hanno intravisto la necessità di una riforma strutturale della chiesa per essere fedeli al Vangelo, che l’hanno teorizzata e che l’hanno testimoniata, sono stati profeti inascoltati e alcuni hanno lasciato “le penne” ecclesiastiche e anche umane. Penso a E. Buonaiuti, a I. Illich, a P. Mazzolari…e a tanti altri.
75 anni fa (fra tre giorni), il 9 aprile 1945, quando il mostro nazista si dibatteva nei suoi ultimi sussulti violenti, nel lager di Flossenbürg il teologo protestante Dietrich Bonhoeffer veniva impiccato a 39 anni. Ci piace annoverare anche Bonhoeffer tra coloro che ci possono aiutare, con il suo pensiero, a non arrenderci davanti alle difficoltà della riforma epocale, sintetizzata da Pesce nei suoi sei punti, e a confidare che possa essere davanti a noi non lontana, con almeno qualche piccola luce in fondo al tunnel.
6 aprile 2020
(1) Testo del post.
Si può finalmente dire che nella chiesa cattolica è finita l’età ratzingeriana. La svolta è già alle nostre spalle. Lo si vede dalla pubblicazione di libri (ne cito solo uno: quello di Brunetto Salvarani, Teologia per tempi incerti), lo si vede dalle proposte di riforma del nuovo Papa, e dal respiro di molti parroci finalmente liberi di esprimere la propria sensibilità cristiana.
Il mutamento si è verificato perché Bergoglio non ha preso di petto l’impostazione ratzingeriana negandola punto per punto. Chi fa così non crea novità, ma solo polemica e si attarda su ciò che vecchio. Bergoglio ha lanciato tematiche nuove: il lavoro, la giustizia sociale, la povertà, una pastorale attenta al bisogno di conversione (e non al fatto che si sia abortito o divorziato). Ha indicato mezzi di soluzione diversi da quelli ratzingeriani: una chiesa povera, la modestia e povertà della pratica di vita degli alti prelati e dei sacerdoti in genere.
In questo nuovo clima si può ricominciare a lottare per alcuni epocali obiettivi di riforma.
1. Ritorno a Gesù. Abbiamo bisogno di ricuperare la figura storca di Gesù: la sua pratica di vita e le sue concezioni etiche e umane fondamentali. Ciò apre una visione straordinaria di ciò che potrebbe essere una religione ispirata a lui. E ci permette anche di avere le basi per risolvere i seguenti problemi.
2. Riforma della preghiera. Senza una riforma radicale della preghiera individuale non ci sarà mai un nuovo cristianesimo (non parlo della preghiera istituzionale della messa e del breviario, e delle feste ricorrenti o delle funzioni sacramentali). Parlo del modo esistenziale, fisico e culturale del disporre il proprio essere di fronte a quello che i credenti con termine antiquato chiamano Dio.
3. Sacerdozio alle donne. Lasciamo perdere le parole, sia che parliamo di sacerdozio, o di presbiterato o di funzione ministeriale, la cosa rimane identica: bisogna che anche le donne abbiano la possibilità di celebrare la messa, di amministrare i sacramenti, di avere una funzione magisteriale e di docenza nella chiesa. Dobbiamo mostrare che Gesù non si è mai opposto a tutto ciò e che chi si oppone lo fa – alla fine – solo per motivi di maschilismo. Bisogna che siamo convinti che la più grande svolta nella storia dell’umanità (svolta nei rapporti sociali, nel modo di pensare e nel sistema concettuale e politico) consiste nella parità assoluta tra femmine e maschi. Dobbiamo porre fine a quest’orrore culturale per il quale la più grande organizzazione religiosa mondiale (la chiesa cattolica) è gestita solo da un gruppo sterminato di maschi.
4. Sacerdozio agli uomini sposati. Si tratta di declericalizzare il sacerdozio. Dobbiamo porre fine a questa figura maschile desessualizzata (in via teorica) che diffonde un modello autoritario maschile nella società.
5. Povertà nella chiesa istituzionale. Si tratta di vendere la maggior parte dei beni ecclesiastici che sono palazzi maestosi e sontuosi che esprimono il potere economico e politico e sociale del clero. Bisogna che l’istituzione in quanto tale sia ricondotta nella condizione di non poter vivere dignitosamente in modo autonomo, ma che debba dipendere solo dall’elemosina non tesaurizzabile del prossimo.
6. Fine del sistema concordatario tra Santa Sede e singoli stati per assicurare libertà e potere alla chiesa nei singoli paesi. La situazione di ogni singola chiesa deve dipendere esclusivamente dai rapporti reali dei cristiani del luogo nel proprio ambiente statuale. Anche il relativo sistema della diplomazia vaticana va eliminato.
Per tutto ciò, ripeto, abbiamo bisogno di una lettura nuova della figura di Gesù.
Ho più familiarità con la parola conversione che riforma. La seconda mi riporta alle polemiche, la prima mi fa guardare il passato e confrontarlo nel silenzio dell’insegnamento Cristiano. Conversione a Gesù avendolo confuso come un burocrate, un dirigente, un moralista. Dimenticando il CUORE dell’AMORE dove trovare nel silenzio la luce continua della e per la vita.
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Sono Tommasi e mi vedo citato in questo articolo. Ringrazio per l’interesse e credo che l’autore volesse dire che qualcuno giudica eccessivo il mio richiamo alla probabile ortodossia giudaica di Gesù (naturalmente è senz’altro vero e suppongo che l’energico rifiuto dipenda dal fatto che accettarla fino in fondo significherebbe mettere in radicale discussione l’intero impianto della cristianità). Mi permetto però di suggerire che, se questo fosse il senso della citazione, non è chiarissimo (pare che sia io a contestarla e non a rimarcarla). Se mi sbaglio e non è così chiedo scusa.
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Grazie al prof. Tommasi. Preciso: il senso del periodo in cui si cita il testo del prof. Tommasi è legato al successivo: ” Questo per dire: “Ritorno a Gesù storico”. Va bene. Ma, con una ricerca storica in movimento, (…)”. La citazione di Tommasi non è per dire che il suo pensiero è contrario alla tesi di Pesce né per dire che ne conferma la tesi, ma solo per dire che c’è una ricerca storica in movimento.
Lettura diversa da questa non era nella mia intenzione.
A.G.
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