Antonio GRECO
Tra i cattolici di ieri, al tempo del Concilio Vaticano II, l’interrogativo più frequente era: “quale rapporto tra la chiesa e il mondo?”. C’era chi sosteneva che bisognava chiudersi e difendersi da un mondo sempre più senza Dio, chi sosteneva la necessità di un dialogo, chi quella di creare sempre più ponti e chi, invece, riteneva che l’unica risposta all’interrogativo era quella di saper leggere “i segni dei tempi” nell’unica storia dell’uomo e del mondo.
Gli interrogativi di alcuni cattolici di oggi sono ancora più profondi. Il primo dei due termini (chiesa-mondo) sembra essere stato cancellato dal secondo, per numerosi fattori. Così la domanda è cambiata: “oggi c’è spazio per la dimensione religiosa nella società occidentale?”
Nel 2019 sono stati pubblicati tre testi (non sono i soli) che tentano di rispondere a questo interrogativo:
- François Jullien, filosofo ateo e sinologo francese tra i maggiori contemporanei, ha scritto e pubblicato per Ponte alle Grazie Risorse del cristianesimo ma senza passare per la via della fede. Su questo testo abbiamo scritto nello scorso aprile: cfr. https://manifesto4ottobre.blog/?s=Jullien
- Olivier Roy, un islamista e politologo francese, ha pubblicato in questi giorni per Feltrinelli, L’Europa è ancora cristiana? Cosa resta delle nostre radici religiose. La tesi principale del libro è che il cristianesimo europeo non conta più come fede viva ma come eredità di rilevanza civile e culturale, in quanto costruttore del sistema di valori della società culturale. Proprio perché del cristianesimo è rimasta la forma dell’identità culturale, esso è facile strumento della politica populista, che lo usa come categoria per escludere lo straniero e per opporre a una società troppo secolarizzata o a un islam conquistatore una società cristiana autoritaria e nostalgica degli antichi valori di un passato che non potrà più tornare.
- Chiara Giaccardi e Mauro Magatti, due sociologi italiani, moglie e marito, insegnanti presso l’Università Cattolica di Milano, hanno pubblicato alla fine di agosto per Il Mulino, La scommessa Cattolica.
I tre testi offrono letture originali e interessanti dell’attuale situazione del cristianesimo in Europa.
Giaccardi e Magatti si pongono una domanda coraggiosa: C’è ancora un nesso tra il destino delle nostre società e le vicende del cristianesimo? Da credenti cattolici prima che come depositari del sapere specifico sociologico. Loro stessi si definiscono “militanti ma non militari” cattolici.
Non è un testo con tabelle e numeri. E’ un saggio di antropologia che incrocia, con molte intersezioni, la questione cristiana con la scienza, con la filosofia, con la letteratura, con l’esegesi biblica e con la teologia. Nel libro traspare una profonda esperienza umana e di fede dei due autori.
Il testo ha un prologo e quattro capitoli[1]. E’ un libro a grappolo pensato per dare una successione coerente ai capitoli ma anche una certa autonomia a ciascuno di essi. Alcune ripetizioni non stancano ma servono per approfondire le tesi di fondo e i contenuti. Lo stile espositivo è chiaro, lineare e molto comunicativo.
L’umanesimo esclusivo
“Oggi, il cielo in Europa sembra ormai chiuso, senza spiragli per vedere al di là, per far filtrare il desiderio di Dio…Guardiamoci attorno. Cosa vediamo? Solo l’uomo e le sue opere: manufatti, strumenti, macchine, dispositivi, artefatti. Un ambiente totalmente antropizzato…Immersi come siamo in questa grande bolla, come è possibile arrivare a porsi la domanda di Dio?” (p. 15).
L’umanesimo esclusivo, cioè l’uomo che si è messo in proprio e che ha abbattuto ogni autorità e tradizione sotto i colpi della contestazione prima e dell’innovazione poi, rende insopportabile ogni pretesa normativa esterna all’Io. Per questo mondo, davvero cambiato, la narrazione religiosa non è più necessaria per la fabbrica del sé o al massimo può essere ridotta a “merce” come le altre.
L’umanesimo esclusivo costituisce una minaccia o può essere una sfida che apre possibilità inedite per la stessa fede cristiana?
La lettura della modernità fatta dai due autori per spiegare quest’umanesimo esclusivo è quella che si ispira al teologo e filosofo Romano Guardini[2] e sul suo pensiero, oggi riscoperto e aggiornato, poggiano i principi fondamentali del ragionamento di Giaccardi-Magatti.
Una nuova antropologia positiva
- “In che mondo viviamo? …Viviamo in un mondo sempre più astratto. … In estrema sintesi, si potrebbe dire che il cristianesimo è causa – e insieme vittima – dei tanti passi che l’Europa ha percorso lungo la via dell’astrazione. Che oltre a un certo punto, rende impossibile il salto della fede. Viceversa, il contributo di umanità e libertà che il cattolicesimo può portare oggi è proprio quello della concretezza, recuperando la sua vocazione originaria” (p. 19). L’astrazione, cioè la capacità di scomporre, di rompere l’unità per capire, spiegare e così controllare e manipolare è un movimento antropologicamente fondamentale per la nostra stessa libertà e ha prodotto attraverso la scienza, la tecnica e più in generale il pensiero razionale enormi benefici per l’umanità.
- Ma l’astrazione rompe la catena delle interdipendenze, segna una perdita di dinamismo in quanto i concetti sono statici, atemporali, rigidi mentre la vita è flusso, mescolanza cambiamento, divenire; crea un canone scientifico che esclude tutto ciò che lo eccede: l’anomalia, la particolarità, la sorpresa.
L’astrazione ci separa dalla natura, dalle relazioni, da noi stessi. In fine dalla astrazione “scaturisce il tertium non datur, l’aut aut, principio cardine della modernità avanzata, da cui discende quel dualismo che tanti problemi pone al pensiero contemporaneo…così vita e morte, corpo e spirito, ragione e sentimento, forma e materia, maschio e femmina, soggetto e oggetto, bene e male, individuo e società, essere e divenire… sono termini staccati dalla rete della reciprocità e arbitrariamente contrapposti. Perdendo così l’idea che il legame è di dualità (di reciproca implicazione) e non di dualismo (mutua esclusione) (p. 22).
- L’io moderno, pensatosi distinto e autonomo da ciò che lo circonda, distaccatosi dalla tradizione familiare, sociale e religiosa, si pensa come un atomo autosufficiente e autodeterminato. Ed ecco il pullulare di “specialisti senza spirito e di gaudenti senza cuore”.
- Non solo per gli individui ma anche “per il capitalismo moderno -e le culture che lo celebrano- le tradizioni religiose appaiono solo un impiccio che ostacola il libero dispiegarsi del movimento della crescita” (p. 39).
- Persa ogni trascendenza, ogni senso del mistero, la scienza si impossessa ogni giorno di più dell’immaginario della potenza, in altri tempi nelle mani di Dio e del sovrano. “E’ alla tecnica che affidiamo oggi i nostri sogni e le nostre speranze. Da essa attendiamo oggi anche la nostra salvezza. Quella terrena, l’unica che ormai ci interessa” (p. 40).
- La scienza e la tecnica, che nella vita dell’uomo moderno hanno sostituito dio, non possono evitare di affrontare due fenomeni fondamentali quali la “mondializzazione della modernità” (scienza e tecnica fuori dalla storia occidentale e quindi cristiana) e “il transumanesimo” (sviluppo senza limiti di una tecnica in grado di “aumentare” sempre più l’essere umano al fine di allungare la vita, ampliare le possibilità, rimuovere le inefficienze…). Due fenomeni che si fanno beffa di ogni antropologia che non coincida con quella tecnico-scientifica.
Sulla base di queste premesse, la partita tra modernità e cristianesimo è chiusa? “La scienza e la modernità possono sensatamente procedere senza le premesse cristiane in cui sono nate (a partire dal valore della persona umana)? E d’altra parte, può sussistere ed essere credibile un cristianesimo che rifiuta il contributo che viene dalla conoscenza scientifica”? (p. 44)
Secondo Romano Guardini, che pur riconosce l’intima origine antropologica della tecnica (quel modo dell’operare umano che rende il mondo più bello e più vivibile), “la partita non è chiusa e (…) il cristianesimo ha ancora le risorse per giocare un ruolo importante nella storia della modernità a rischio di finire intrappolata nella ‘gabbia di acciaio’ che lei stessa tende a costruirsi. A patto, però, di una profonda conversione, di un ritorno alla luce delle nuove domande” (p. 47).
La grande sfida culturale tanto per la chiesa che per la modernità è una antropologia positiva in cui distinzione non vuol dire separazione, né dominio di uno dei due poli sull’altro, né riduzione di tutto ai desideri di fatto orientati dai mercati di un “io” disposto a usare gli altri come mezzi per propri fini.
Su questi presupposti è costruito il resto del libro.
La parabola del Figliol prodigo in versione escatologica
“Quale è il modo in cui la chiesa, pellegrina sulla terra, può stare dentro la vicenda moderna che essa ha suscitato ma che al tempo stesso la mette in difficoltà e che quasi non riesce più a comprendere? (p 63).
I due autori si servono della parabola evangelica (Luca 15, 11-32) con i suoi tre personaggi: il “figliol prodigo”, il “padre misericordioso” e “il figlio maggiore”. Definiscono la loro lettura “escatologica”, cioè una lettura capace di rilevare l’Oltre e l’Altro della vita umana rispetto al presente, al flusso del tempo e soprattutto rispetto a quella frontiera esorcizzata ma inesorabile, che è la morte. Ed è lettura molto intrigante. Il figliol prodigo è l’uomo moderno che, dopo più di mille anni di cristianità, diventato pienamente consapevole di sé stesso, si prende la responsabilità di uscire di casa e di autodeterminarsi. Passata la prima grande euforia, si ritrova smarrito, impaurito, in balia di forze che non controlla e pieno di nostalgia per la casa paterna. Il processo storico è fermo. Segna per ora solo l’allontanamento del figlio dalla casa paterna.
La lettura escatologica di questa parabola mette in guardia la chiesa (ma anche ciascuno di noi) da una tentazione: quella di sentirsi estranea e immune dai miti della liberazione rivendicata dalla modernità.
Nella parabola (osservano gli autori), di fronte ai pericoli dell’avventura della libertà che l’uomo moderno ha voluto, si fa riferimento a una voce intima che aiuta il figlio che si è perso a maturare una visione critica della propria condizione. In questa voce i due autori indicano il ruolo della chiesa rispetto a questa fase critica della modernità avanzata. La voce critica non può essere il rimpianto di un mondo che non c’è più ma la liberazione del desiderio di vera libertà rimasto imprigionato nell’ordine sociale costruito dalla modernità. “In fondo cosa è stata la modernità? Lo scontro tra un figlio (l’uomo moderno) ormai cresciuto che rivendica la propria autonomia (certo peccando di orgoglio) e una gerarchia (politica e religiosa) impreparata e dunque sconvolta da tale richiesta” (p. 149).
La storia della libertà moderna, con i suoi rischi e contraddizioni, non è un accidente ma un passaggio fondamentale del disegno della creazione. Può aprire la scatola della modernità solo chi riconosce questo passaggio come tratto costitutivo dell’essere umano.
Non la apre, né la capisce, quel modello di fede per il quale essere cristiano significa adesione a una dottrina ben precisa e a una comunità definita nelle sue forme, nei suoi riti, nelle sue regole. Ma questo modello di “fede come adesione” non è in grado di affrontare il profondo cambiamento avvenuto nella modernità. Se questo modello non cambia non solo il mondo moderno si allontana sempre più ma prelude alla fine della stessa chiesa.
Gli autori propongono un modello di “fede come affidamento”. Ai problemi dell’uomo moderno non si può dare una risposta normativa e dottrinale. Il Vangelo dà una risposta antropologica: “un modo nuovo di essere uomini e donne nel mondo”. L’insegnamento fondamentale del Vangelo è quello che “la salvezza sta nel ribaltare l’dea di vita: una vita che si può trovare davvero (…) in questa vita e non in un altro mondo, a condizione di avere il coraggio di andare al di là della prigione dell’io e della sua angosciosa e sempre insoddisfacente autoaffermazione” (p. 73). E questo in ogni campo. Per la concretezza di questa visione di fede facciamo riferimento alla interessante pagina sulla famiglia, a pag. 82.
Ma più interessante è il metodo che gli autori espongono per esplicitare meglio il modello di fede come affidamento.
Con il metodo del tertium datur (superare il dualismo in materia di umanità è possibile), in modo concreto anche se non esaustivo, indicano come alcuni nodi della modernità possono essere sciolti dal paradosso cristiano. Bastano i titoli: non astrazione o (con)fusione ma concretezza; non sacro o religione ma fede; non libertà o controllo ma affezione; non gerarchia o anarchia ma rete; non perfezione o lassismo ma incarnazione; non istituzione o massa ma popolo; non norma o eccesso ma eccedenza; non intransigenza o indifferenza ma tenerezza.
La chiesa popolare e la scommessa della concretezza
La chiesa come istituzione, affermano gli autori, è necessaria per la capacità della fede cristiana di attraversare il tempo. Ma “il rischio di ogni istituzione è quello della eterogenesi dei fini: trasformarsi da mezzo a fine, da supporto alla generatività dinamica della fede ad apparato burocratico, statico e mortifero, che afferma e riproduce sé stesso” (p. 120). Ed è così che “la Chiesa appare oggi una struttura invecchiata e piagata da alcune gravi malattie” (p. 115). Oggi la chiesa istituzione, per molti, è divenuta un fattore problematico e quasi un ostacolo per la stessa possibilità di credere.
Di fronte ai cambiamenti culturali degli ultimi anni che spingono verso una fede esclusivamente “personale” e non istituzionale, “serve un cambio di pedagogia pastorale che va pensata e soprattutto sperimentata con linguaggi nuovi e modalità nuove, senza ricette precostituite e soprattutto senza scimmiottare gli ambiti dai quali si vorrebbero prendere le distanze” (p. 117).
La crisi dell’Europa ha raggiunto una tale profondità da rendere ininfluente qualsiasi discorso, dottrina o documento che non siano innervati con l’esperienza e con la testimonianza. La strada ancora una volta è indicata dalla categoria del “concreto” di R. Guardini. La chiesa che può parlare all’uomo moderno può essere solo quella che, con la forza della testimonianza, si posiziona su due confini, sul confine di quella realtà che “la società odierna continuamente produce, cioè gli “scarti”: persone che, per una ragione o per l’altra (età, malattie, povertà, marginalità, traumi…) non sono all’altezza dello standard richiesto” (p. 133) e sul confine del mistero, della domanda e della preghiera. “E’ dal modo in cui i cristiani sapranno abitare queste due frontiere -porte verso una realtà che è altro e oltre noi, che ci interpella rompendo il nostro isolamento e rimettendoci in cammino – che l’umano potrà riscoprire quelle dimensioni che la modernizzazione contemporanea tende a censurare. E, forse, recuperare quel senso religioso che ora sembra perduto” (p. 142).
La terra vista dalla luna
Altro enorme problema è quello dell’universalismo che gli autori affrontano nell’ultimo capitolo.
La fotografia della terra scattata dal satellite spaziale negli anni ’60 ha generato una profonda rivoluzione antropologica: il pianeta è una sfera finita, un piccolo mondo, casa di tutto il genere umano, senza distinzioni di cultura, religione o razza, tutti sulla stessa barca che galleggia nel mare dello spazio. “Ritorna, così, in forma nuova, l’antica questione: come si declina la vocazione universale del cristianesimo in un mondo diventato piccolo, dove non è possibile ignorarsi a vicenda o pensare che ciascuno semplicemente possa stare ‘a casa sua’?” (p. 155).
Due le sfide per il cattolicesimo (etimologicamente cattolico significa “riferito al tutto”) in un mondo globalizzato: la sfida del rapporto con le altre chiese cristiane e con le altre religioni e la sfida antropologica.
Quest’ultima è “oggi davvero a 360 gradi: c’è la questione scientifica, con la crescente manipolazione della vita; c’è la questione del rapporto con le altre culture e le altre religioni; c’è il problema dell’individualismo radicale, che esclude ogni riferimento all’orizzonte trascendente” (p. 163).
Nel momento in cui il pianeta diventa piccolo e, per così dire, tutto ‘svelato’, alcuni elementi costitutivi della religione sono destinati a venire trasformati. “Come porsi verso chi crede in un altro Dio? Come perseguire una via ‘universale’ che non finisca prigioniera dei gorghi di un’idea di identità rigida e immunitaria?” (p. 162).
Secondo gli autori né il modo “esclusivo” dei tradizionalisti di intendere il cattolicesimo (la fede è quella della tradizione e nulla può essere cambiato) né il modo “inclusivista” dei progressisti (cattolico è solo tutto ciò che è umano) sono risposte adeguate per questi interrogativi.
Esaminata e accolta, pur con molte precisazioni, la suggestiva soluzione proposta da Panikkar[3], la risposta a questi interrogativi è offerta ancora una volta da Romano Guardini: katà olos (=cattolico) è un nuovo pensiero integrale che consideri il dualismo un peccato per esaltare invece la dualità.
Giaccardi-Magatti ritengono che “è ora di uscire, una volta per tutte, anche dallo sterile dualismo tra conservazione e progressismo. «L’assolutizzazione porta inevitabilmente a una delle due crisi: quella dinamica alla crisi d’un disordinato dinamismo o relativismo; quella statica alla crisi del duro e raggelante conservatorismo» scrive Guardini. «Tali crisi vengono superate solo in quanto all’interno delle singole direzioni di senso viene fatta affiorare, liberare ed espandere la direzione di senso opposta» (L’opposizione polare)” (p. 190).
Concludono gli autori: “dualità, tensione feconda tra polarità e non sterile mortifero dualismo…Un compito entusiasmante ci attende, dunque, al quale tutti, ma proprio tutti, possiamo dare un contributo. Il compito di tornare all’intero come relazione vitale, dinamica e plurale. Un compito cattolico” (p. 192).
Annotazioni finali
Letto e riletto il libro è lecito chiedersi se convincono le risposte date da Giaccardi e Magatti all’interrogativo del sottotitolo (C’è ancora un nesso tra il destino delle nostre società e le vicende del cristianesimo?). Molto è il materiale che offrono per la riflessione ma non mancano elementi per un dibattito e per una ulteriore ricerca. Solo qualche annotazione.
- Sembrano scomparire dai radar della ricerca di Giaccardi-Magatti le scienze cosmologiche, la fisica e la biologia che ci sembrano decisive per una risposta più puntuale all’interrogativo iniziale che hanno posto alla base del libro. Cosa hanno da dire l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo? Queste hanno sottratto l’uomo dal sentirsi il centro dell’universo e hanno ridimensionato il piccolo mondo in cui viviamo per darcene un altro incomparabilmente più grande e più ricco, più misterioso e rigurgitante di vita. Inoltre, grazie alle nuove scienze cosmologiche l’uomo moderno si è liberato (o si sta liberando) dell’antica cosmovisione geocentrica, statica, antropocentrica e androcentrica. La nuova visione cosmologica ha dato vita a un’immagine completamente nuova del mondo, radicalmente diversa da quella che ha fornito il contesto per la nascita delle tradizioni religiose abramitiche e lo sviluppo del loro patrimonio simbolico teologico, dottrinale e spirituale. Tenendo conto di questa nuova e rivoluzionaria visione cosmologica[4] la scommessa che si pone oggi è quella di andare al di là delle forme tradizionali di dualismo/duale (naturale/soprannaturale, cielo terra, …), di monismo, di teismo e ateismo. Non si tratta di deriva nichilistica, né di una fede ridotta a esperienza personale e fare evaporare la dimensione istituzionale di essa (Ulrich Beck), né il riferimento alla tesi del “cristiano anonimo”, pur molto rispettabile, avanzata da Karl Rahner. Il nostro riferimento è a quella ricerca teologica impegnata nella formulazione del cosiddetto paradigma post-religionale: “quella riflessione che, operando una netta distinzione tra spiritualità (intesa come dimensione profonda costitutiva dell’essere umano che può esistere dentro o fuori le religioni) e religione (che costituisce la forma socio-culturale concreta, storica e dunque contingente e mutevole), sostiene che le religioni così come le conosciamo siano destinate a lasciare spazio a qualcosa di nuovo e ancora imprevedibile, ma sicuramente aprono alla spiritualità umana un futuro ricco di straordinarie possibilità”[5].
- Giaccardi-Magatti sono convinti che “il conflitto” (quello nella chiesa cattolica tra progressisti e conservatori; quello tra racconto scientifico moderno e vecchia o nuova antropologia credente) non ha ragion d’essere, anzi appare deleterio. In realtà, senza conflitti, il più favorito è quel “pachiderma (d.r., ecclesiastico) che pare immobile” (p. 8) e che continua a difendersi per non cambiare con tutti i mezzi. Il rifiuto del conflitto rende velleitaria qualsiasi possibilità di un incontro tra il cattolicesimo “nuovo” disegnato dagli autori e la modernità. Secondo il teologo Giuseppe Ruggieri sciogliere il nodo del rapporto tra esistenza credente e cultura scientifica esige la lotta e la benedizione e “questa lotta/benedizione costa lacrime e sangue. E questa non è una metafora, giacché il riferimento è al sangue versato da Gesù di Nazaret, il quale sulla croce accolse i suoi crocifissori”[6].
- Sui contenuti del saggio di Giaccardi-Magatti rimane un vuoto: il problema del male, quello individuale e quello strutturale. Sulla soluzione di questi due mali il cristiano è chiamato a giocare e a scommettere. E non solo sul male ultimo, che è la morte. Il problema del male è strettamente collegato al pilastro essenziale di ogni religione, il problema della “salvezza personale”. L’uomo moderno, rispetto al problema del male individuale, non capisce più che cosa vuol dire “salvarsi o essere salvati” (“si salva un file” o “si salva una squadra di calcio dalla retrocessione in una categoria inferiore del campionato”,…). La sua impotenza di fronte al male che nasce dalle “strutture di peccato”, soprattutto quando le vittime di queste strutture sono innocenti e deboli, rende ancora di più incomprensibile che cosa vuol dire per questi mali la “salvezza religiosa”. Infine, rimane senza parole, poi, di fronte alla tenebrosa spirale: sacro, violenza e tecnoscienza. La risposta della tradizione cristiana al pilastro essenziale della “salvezza personale” è data dall’intreccio di tre dimensioni (la dimensione cosmologica: l’uomo si salva con tutta la creazione; la dimensione esistenziale: l’uomo si salva se ricostruisce in tutti i suoi termini il senso della sua esistenza; la dimensione del tempo: il presente è posto in relazione ad un altro tempo qualitativamente diverso, quello dell’eternità) e questa risposta non dice più nulla all’uomo moderno. Altrettanto incomprensibile, però, perché retorica e perché svincolata dal problema del male, sembra la proposta di Giaccardi-Magatti di scommettere in una fede che testimonia “la possibilità di sfuggire al destino di morte che la piega moderna – pur assetata di vita – ha finito di prendere, vivendo nella serena consapevolezza che, al di là di tutto, la vita è superiore alla morte” (p. 108), o quella di presentare la salvezza come “la chiamata -che riguarda ogni essere umano- a inserirsi nel grande processo della vita che ci precede e alla quale apparteniamo. Un movimento possibile a condizione di non fare coincidere la vita con la singola esistenza individuale” (p. 109).
Il saggio di Giaccardi-Magatti è l’avvio di un processo di ricerca molto serio (forse il primo fatto da laici credenti in un contesto tutto italiano). La scommessa cattolica, in Italia e in Europa, si gioca non solo sulla domanda di fondo iniziale ma anche sulla questione organizzativa della chiesa cattolica (burocratizzata, gerarchica e concordataria) che appare inadatta a stare al passo con un mondo diventato veloce e plurale, e sul problema del linguaggio (liturgie verbose e stanche, dottrine che non trasmettono esperienze di fede, “le chiese oggi sono ridotte a garage in cui è parcheggiato Dio” diceva Turoldo, rivoluzione del web e dei nuovi mezzi di comunicazione…). E lo sanno bene gli autori che indicano questi due problemi come importanti anche se non li affrontano perché non prioritari rispetto alla domanda di fondo antropologica: “oggi c’è spazio per la dimensione religiosa nella società occidentale?”, su cui hanno concentrato la loro attenzione nel testo.
Data la loro specifica competenza di sociologi attendiamo che la loro fatica sia completata con le conseguenze della loro ricerca anche sul problema organizzativo e su quello della comunicazione per una risposta completa ad una domanda coraggiosa.
24/9/2019
[1] Titoli del libro: Prologo. La sfida e la scommessa. I – Un nuovo crocevia storico. II – Perché continuiamo ad avere bisogno del paradosso cristiano. III – Con gli scarti, aperta al mistero. IV – La questione dell’universalismo all’epoca della globalizzazione.
[2] Romano Guardini (Verona, 17 febbraio 1885 – Monaco di Baviera, 1º ottobre 1968) è stato un presbitero, teologo e scrittore italiano naturalizzato tedesco, di religione cattolica. Tra le sue molteplici opere segnaliamo: Lo spirito della liturgia (1918); L’opposizione polare (1925), attualmente, Brescia, Morcelliana, 1999; Il Signore. Meditazioni sulla persona e la vita di Gesù Cristo (1937); Mondo e persona (1939), attualmente, Brescia, Morcelliana, 2000.
[3] Panikkar ha interpretato il cambiamento del ruolo dei cristiani nel mondo utilizzando una triade che nel cogliere alcune dimensioni analitiche, individua anche fasi diverse dell’evoluzione storica”: cristianità, cristianesimo, ‘cristiania’.
[4] AA.VV., Il cosmo come rivelazione, Gabrielli editore, Verona, 2018.
[5] Claudia Fanti, in AA.VV., Oltre le religioni, Gabrielli editore, Verona, 2016, pag.15.
[6] Giuseppe Ruggieri, della fede, Carocci editore, Roma, 2014, pag.14.
La Chiesa siamo tutti noi. Ognuno è chiesa che porta con se l’amore ricevuto dal battesimo e confermato. Il compito è capire, comprendere ed è il compito di tutti esercitare il CRISTIANESIMO in nome dell’amore che apre alla mente del cuore di essere cristiani. Pulirci dalla storia clericale e affermarci come seguaci di Cristo è il compito di sempre ma che oggi deve ritrovare il valore nell’uomo là dove Cristo ha riposto se stesso per amore che ha memoria della verità che il cristianesimo ha dovere di tramandare come essenza vitale.Siamo chiesa nella fede unica e universale per amore. E’ l’amore necessità e vita e compito di ogni cristiano che si riconosce di esserlo e per esserlo discerne da pellegrino la via che da Cristo porta ad amare. E’ amando che si divenda umani e cristiani. Il cristianesimo è solo amore.
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