ITALIA-VATICANO: ACCORDO SUI TITOLI DI STUDIO. Un commento ad un articolo su La Repubblica

In attesa di leggere il testo della firma dell’accordo tra il ministro Bussetti e il cardinale Versaldi sul concordato delle lauree tra Vaticano e Governo italiano (non ancora disponibile su siti ufficiali), l’articolo di A. Melloni apparso il 16 febbraio scorso su La Repubblica pone inquietanti interrogativi per alcune imprecisioni storiche e per le omissive implicazioni.

Melloni sostiene che è caduto un muro ma è rimasto un muretto sulla anomala situazione della formazione accademica religiosa.

Sulla narrativa storica, necessariamente molto sintetica, fatta da Melloni dell’intera vicenda, dal 1873, data della soppressione delle Facoltà di teologia dell’Università statale, deve osservarsi:

  • per la soppressione definitiva della Facoltà di Teologia dalle Università statali, scrive Melloni, il primo responsabile fu il positivismo risorgimentale. E i vescovi furono sotto sotto contenti di rinchiudere nei seminari una formazione teologica controllata”. La lettura del dibattito parlamentare, dal 25 aprile al 10 maggio del 1872, però dimostra che la soppressione delle facoltà di teologia è un fenomeno assai complesso, di portata europea e, come sostenuto da storici qualificati, fu il risultato di un lungo e laborioso processo storico, le cui radici affondano molto lontano nei secoli XVI e XVII, fino al concilio di Trento. La votazione del 1873 chiuse un’agonia, senza alcuna speranza, durata ben 13 anni, anche per mancanza di alunni (in tutte le facoltà teologiche italiane da 67 alunni del 1859 si era passati a soli 10 del 1870). Agonia e morte voluta e assistita dalla stessa Chiesa;

  • del riconoscimento dei titoli ecclesiastici fatta dal concordato del 1929 non si servirono solo alcuni (pochissimi) ex preti, come sostiene Melloni, ma anche, in seguito, molti preti e vescovi ancora oggi in sede;

  • fino al 1929, cioè fino al Concordato di Mussolini, la separazione e la lotta della Chiesa agli studi statali dei chierici e laici ecclesiastici è netta e condotta con ogni mezzo. “Il concordato Gasparri-Mussolini congelò questa reciproca estraneità e riconobbe i “titoli ecclesiastici”: cosa che premeva solo agli ex preti”. In realtà premeva più alle autorità ecclesiastiche per spingere fuori dalla chiesa chi aveva autonomia di ricerca e di giudizio dopo la stagione di condanna dei tanti preti modernisti. Emblematico, drammatico e fra i più conosciuti, è il caso di Ernesto Buonaiuti, prete e insegnante di storia del cristianesimo, vincitore di normale concorso pubblico statale, nella Facoltà di Lettere dell’Università di Roma. Pluriscomunicato solo per le sue idee moderniste, senza essere mai sentito né processato, fino alla “scomunica vitando”. Nonostante il suo esemplare amore, dichiarato e riconosciuto, alla Chiesa che lo ha per anni perseguitato, ciò che gli veniva chiesto per la sua integrazione sacerdotale ed ecclesiale era la rinuncia alla cattedra universitaria statale. Nota a parte richiede la incredibile stesura del comma 5 del Concordato del 1929 scritto per escluderlo come ecclesiastico dalla cattedra di Storia del Cristianesimo di Roma;

  • non è vero che dopo l’accordo Casaroli-Craxi di Villa Madama con un impegno solenne (“l’Italia riconosce…”) questo “non fu mai attivato”: Il riconoscimento dei titoli accademici ecclesiastici è frutto di una disciplina pattizia di doppio livello: un accordo principale e di vertice nel quale è fissato il principio della riconoscibilità dei titoli accademici ecclesiastici (accordo Villa Madama del 1984) ed una successiva intesa non di vertice che stabilisce la regolamentazione concreta delle tipologie dei titoli riconoscibili e delle modalità di riconoscimento. Questa seconda intesa, in Italia, è stata già realizzata nel 1994 e opportunamente chiamata “di prima attuazione”. (APPROVAZIONE DELL’INTESA ITALIA-SANTA SEDE PER IL RICONOSCIMENTO DEI TITOLI ACCADEMICI PONTIFICI (Estratto dalla GAZZETTA UFFICIALE DELLA REPUBBLICA ITALIANA Serie generale – n. 62 del 16-3-94, p. 4);

  • è vero che il fossato che da secoli ha separato gli studi superiori ecclesiastici da quelli statali sembra ridursi con il Vaticano II e, operativamente, con l’adesione del Vaticano al Processo di Bologna, ma il Vaticano ha aderito al Processo durante il vertice di Berlino del 2003. Non “quando salì sul trono di Pietro un professore tedesco, fiero del suo essere teologo…”.

Ancora più problematiche appaiono le tre implicazioni conclusive esposte alla fine dell’articolo.

Non si capisce quale conseguenza abbia la affermazione di Melloni che “l’accordo mostra che l’Italia si va convincendo che perché una società resti plurale e pacifica” non basta “un’oretta di “religioni” da bambini: ma (occorre) una conoscenza specialistica di tradizioni, dottrine, diritti, prassi, culti”.

Anche dopo questo accordo gli studi della formazione religiosa rimangono sotto il più stretto controllo confessionale e clericale. Nulla cambia per l’insegnamento della religione monopolista. Anzi sembra rafforzarsi la posizione ecclesiastica, nonostante siano trascorsi 35 anni dal 1984 e moltissimo sia cambiato nella società, sia da un punto di vista religioso che civile. Melloni, solo qualche anno fa, ha scritto che l’attuale insegnamento della religione, “anche se liberato dal cattolicesimo di stato ma ancora sotto la tutela dei vescovi, non è un antidoto all’analfabetismo religioso, ma un suo ingrediente: a scuola non s’impara né la bibbia, né la storia della chiesa, né il catechismo, né la teologia: ma si fa per lo più della psicosociologia religiosa, legata alla quotidianità1. Preparare insegnanti per un cattolicesimo monopolista sembra produrre, sul piano della conoscenza, pochi vantaggi per la cultura religiosa. Allora o Melloni ha cambiato idea o gli saranno sfuggite altre due implicazioni di cui sembra non esservi traccia nella sua riflessione:

quella sul piano ecclesiale: nel gennaio 2018 è stato pubblicato un documento di alto valore magisteriale: la Veritatis Gaudium di papa Francesco. C’è una discrasia tra proemio e testo del documento. Ma il proemio di questo documento indica la necessità di una rivoluzione culturale” degli studi ecclesiastici superiori chiesta dal Papa ed una “una revisione globale in conformità al paradigma evangelico, ma capace di esprimere in forma di novità la proposta evangelica nell’oggi” (presentazione del prof. Coda). L’accordo del 13 febbraio non è certamente in questa direzione;

il riflesso sul panorama universitario laico statale: l’attuale momento è di forte crisi dell’Università italiana, un tempo pubblica oggi semi-privata, e anche in conseguenza di ciò, sulla strada di un rapidissimo declino. L’accordo Vaticano-Governo accentua la privatizzazione di un aspetto importante del sapere umano. Con la saturazione del mercato dell’insegnamento della religione e con la ipotetica supplenza da parte della chiesa cattolica di altri ambiti della formazione universitaria per mantenere in piedi gli attuali ISSR, esso non aiuterà certamente l’Università italiana a uscire dalla crisi.

Contrariamente a quanto Melloni sembra ritenere, il recente accordo sui titoli accademici continua a esiliare la teologia dal sapere e il sapere dalla teologia, lasciandoli in recinti chiusi e controllati, e, anzi, aggrava la situazione per le ragioni dette sopra. Più provinciali di così non si può.

17.02.2019

Antonio GRECO e Maurizio PORTALURI

1 A. Melloni, Il concordato con l’Italia e gli ultimi vent’anni di rapporti tra Stato e chiesa, in “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 1(2004), pag. 12, citato da Marco Ventura in RAPPORTO SULL’ANALFABETISMO RELIGIOSO IN ITALIA, a cura di A. Melloni, il Mulino, Bo, 2014, pag. 252.

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