di Jean Housset
pubblicato in “www.baptises.fr” del 21 maggio 2018 (traduzione: http://www.finesettimana.org)
«Battezzati», che cosa significa? Nel corso della celebrazione organizzata giovedì 17 maggio dalla CCBF al Forum 104 a Parigi, ognuno era invitato a dire in quale momento della sua vita era avvenuta la sua conversione a Cristo. Nessuno ha indicato il momento in cui ha ricevuto il sacramento del battesimo. Allora, non è forse la conversione il vero battesimo?
(I numeri indicati tra parentesi rinviano alle pagine corrispondenti alle citazioni del libro Esprit, Église et Monde di Joseph Moingt).
Il battesimo è riservato a coloro che hanno conosciuto Cristo?
No, tutti gli uomini sono chiamati al battesimo, compresi quelli che non possono conoscerlo o che sono nati prima di lui.
«Il battesimo è intelligibile come la realizzazione dell’atto di Dio di venire a noi, della sua attività immensa dall’inizio dei tempi per venire ad abitare nella sua creazione … grazie alla santificazione della sua creatura umana» (p. 40).
Ciò implica l’universalità della salvezza, cosa che, fin dall’origine, è stata oggetto di controversie.
«Dio può considerare “giusti” e degni della sua salvezza coloro che si escludono dalla sua alleanza non praticando la sua legge – che è il caso dei pagani convertiti a Cristo?». Paolo risponde a questa grave difficoltà in Gal 3 poi in Rom 4.
«La presa di posizione di Paolo in questo dibattito è stata di un’importanza decisiva sull’orientamento del cristianesimo, e continua ad esserlo, se ci rifiutiamo di escludere dalla resurrezione coloro che non hanno e non avranno ricevuto il battesimo. … Paolo si basa su questo testo: “Abramo credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia” (Gn 15,6 + Gal 3,6 e Rom 4,3), notando che Abramo non è stato dichiarato giusto a causa della sua pratica della legge, che sarà data molto più tardi a Mosè (Gal 3,17), né della sua circoncisione», che ricevette solo dopo (p. 45).
Noi possiamo «dar credito all’argomentazione di Paolo ed essergli grati del legame forte che tesse tra l’Antico e il Nuovo Testamento …, tra la preistoria della credenza in Dio e la storia presente in cui minaccia di spegnersi. … [Questa] argomentazione sulla fede di Abramo non può che confermare la fede nell’irradiamento universale attraverso tutti i tempi e tutti i luoghi dell’energia dispiegata dall’amore di Dio nella resurrezione di Gesù» (p. 47).
«Mettendo insieme tutti questi insegnamenti di Paolo relativi al battesimo, ci sentiamo autorizzati ad estendere l’appartenenza a Cristo a tutti gli uomini che non hanno creduto in lui perché non lo conoscevano o che non credono al vero Dio il cui nome si è cancellato dal linguaggio comune degli uomini di oggi» (p.48). «Una folle speranza sostiene l’umanità fin dagli inizi» (p. 49. È bello il testo delle pagine 46-48 sulla fede di Abramo come prototipo dello scontro di ogni uomo con la propria morte).
Che cosa pensare del battesimo dei bambini alla nascita?
Questa pratica altera il senso del battesimo che è un impegno che non può essere demandato a una persona che non è in grado di decidere liberamente.
Come conclusione di una analisi critica della pratica attuale del battesimo dei bambini, l’autore si domanda: «Siamo sicuri che la trtadizione storica del cristianesimo ci abbia fedelmente trasmesso la fedeltà originale del battesimo?». Il sospetto si basa su questo: «Nel VI secolo della nostra era, il battesimo ha cessato di essere amministrato generalmente a degli adulti in regioni già cristianizzate, per essere conferito obbligatoriamente alla nascita» (p. 30): un cambiamento di pratica considerevole che ha avuto gravi ripercussioni sul significato dell’atto sacramentale. «Si sostituiva alla volontà del bambino, che non ne era capace, quella dei genitori. Dov’era la libertà della fede sostenuta da San Paolo?» (p. 58).
Allora, come stupirsi:
- «che un atto battesimale, che ha rotto il rapporto con il discorso vivo e la pratica viva della fede nella Chiesa non sia più in grado di mantenere la vita cristiana dei giovani?»
- «che un sacramento ridotto a rito perda il significato della fede che dovrebbe dare e assuma quella di un atto magico?» (p. 62). In occasione del battesimo alla nascita, «immaginare la grazia come una sorta di fluido divino che scorrerebbe dalla parola e dai gesti del ministro nell’acqua battesimale e si diffonderebbe da essa allo spirito del battezzato attraverso il suo corpo, significa negare la libertà voluta da Dio stesso nell’opera della salvezza» (p.64).
Ma «la Chiesa ha preferito affidare la trasmissione della fede all’automaticità dei suoi riti che ha definito nel Concilio di Trento … con i risultati che vediamo ai nostri giorni» (p. 69). «Il battesimo ha cessato di significare la conversione a Cristo da quando è stato reso obbligatorio il più presto possibile dopo la nascita» (p.450).
Perché una tale regressione?
«La Chiesa aveva reso il battesimo dei bambini obbligatorio per paura che essi, se fossero morti prima di averlo ricevuto, andassero all’inferno ad espiare la maledizione ereditata dalla colpa di Adamo». Ma commetteva un doppio errore:
- «un errore che non insegna più – ma a cui forse crede ancora – che il bambino potrebbe essere responsabile davanti a Dio e sporcato da una colpa che ha ereditato senza averla commessa»;
- «un errore che continua ad insegnare – ma a cui forse non crede davvero – che il battesimo produce esso stesso la fede di cui è segno» (p. 451).
Il battesimo dei bambini è stato rimesso in discussione nel Concilio Vaticano II e ci si aspettava che dopo il Concilio fossero introdotti dei cambiamenti significativi, in particolare la scelta di spostare in avanti l’età del battesimo. «Gli avvenimenti del maggio 1968 misero fine a queste speranze» (p. 61).
Quali rimedi a questa situazione?
«Tornare alla pratica antica o, almeno, spostare sensibilmente l’età del battesimo? Inutile pensarci: quando fu proposto di spostarla in avanti anche solo di pochi anni, alcuni vescovi, mossi principalmente dalla preoccupazione delle statistiche, si lamentarono che si disprezzava la “religione popolare”, presto chiamata “fede dei poveri”» (p. 62).
Ci sarebbe una possibilità di venirne fuori: fare «della cresima la ratifica solenne della fede professata un tempo da altri in nome del bambino sotto il segno dell’acqua». Questo cambiamento è interessante, ma non abbastanza innovativo da cambiare radicalmente il corso delle cose (p. 63). Dove sta il problema di fondo?
«Solo una parola viva è portatrice di fede».
«L’iniziazione sacramentale è stata portata fuori dal campo della predicazione della fede, portata fuori dalla comunità di coloro che la attestano e ne vivono, e confinata nel campo rituale». «L’errore è stato confondere la parola rituale e quella che costituisce la comunicazione».
Un tempo «il rito era portatore di una grazia di fede perché era esso stesso sostenuto da un discorso di fede la cui intelligibilità entrava nella mente del bambino e lo spingeva a rispondervi liberamente. Ma questa simbiosi è cessata». Non si è tenuto conto dell’affermazione di Paolo secondo cui «la fede viene dalla predicazioen (Rom 10,17)» (p. 63-64).
Allora, che fare? Nelle prospettive attuali, Joseph Moingt esita:
«Non ne concluderei che è inutile continuare a battezzare i neonati».
Innanzitutto la Chiesa «non può più rinunciarvi» (è una consuetudine culturale);
«Inoltre è un primo passo verso la fede, una promessa dell’assistenza che i bambini riceveranno dalla comunità che li ha accolti, se le restano fedeli»;
«Ma non si può contare su questo battesimo per portare il Vangelo al mondo di domani. Ormai è solo un segno del passato della fede» (p.452).
Conclusione: quale futuro per il battesimo?
Come per tutti gli altri sacramenti, fare dei riti l’occasione di una parola di fede libera.
Lo studio sul battesimo impone delle distinzioni:
«È fuori discussione che la predicazione del battesimo, identificata con quella del Vangelo, è l’origine stessa della Chiesa a cui conferisce il dono santificante dello Spirito Santo; la cosa è diversa per il rito battesimale in sé, che Gesù non ha mai praticato né lasciato in eredità durante la sua vita, che Pietro dimenticava di proporre a Cornelio, per l’amministrazione del quale Paolo non si riteneva inviato da Dio, e che gli apostoli di Gerusalemme esitavano a conferire ai convertiti pagani che rifiutavano la circoncisione» (p. 177).
L’urgenza quindi non è analizzare il battesimo in quanto pratica sacramentale alla ricerca di un atto fondatore, ma «collegarlo alla missione di Gesù … prolungando la missione di Gesù in quella dello Spirito Santo» (p. 36).
Ma questo percorso deve inscriversi in una riflessione d’insieme sui sacramenti.
«La soluzione dei mali presenti non è rimediare all’amministrazione dei sacramenti, ma alla configurazione stessa della Chiesa che si è modellata nel corso dei secoli in vista di trasmettere una religione che Cristo non aveva istituito, con l’intenzione sicuramente di trasmettere così il Vangelo, ma dimenticando troppo presto che la parola evangelica, come ogni altra, si comunica attraverso il colloquio, il dialogo vivo che suscita nella comunità dei credenti e non attraverso i soli riti che la rappresentano. … Il rimedio ai nostri mali non può essere altro che ridare alla comunità dei credenti il libero uso della parola di fede e, per questo, costruire luoghi di Chiesa come luoghi di dialogo e di circolazione della predicazione evangelica» (p. 65).
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(*) Il padre Joseph Moingt s.j. occupa un posto considerevole nello spazio teologico francese che gli vale la stima dei suoi colleghi e un’ampia influenza oltre le frontiere della Francia. Questa stima e questa influenza sono il frutto del suo insegnamento, dei suoi lavori personali e, allo stesso tempo, del suo stile nell’animare e dirigere per lunghi anni una delle principali riviste teologiche di lingua francese: le Recherches de Science Religieuse.
Nato nel 1915 e entrato nella Compagnia di Gesù nel 1938, padre Moingt ha insegnato storia dei dogmi e teologia dogmatica alla Facoltà di Lyon-Fourvière dal 1955 al 1968. Trasferitosi a Parigi nel 1968 per assu- mere la direzione delle Recherches, egli ha accettato parimenti un impe- gno alla Facoltà di teologia dell’Institut Catholique di Parigi, dove doveva garantire un insegnamento superiore nel nuovo ciclo di teologia per laici. A partire dal 1975 vi aggiunse la direzione del ciclo di licenza in teologia. Nel 1981 riprese l’insegnamento e l’assistenza pedagogica alla Facoltà di teologia della Compagnia di Gesù, stabilitasi dal 1974 al Centre Sèvres, a Parigi; responsabilità che egli assolse fino a tempi recenti, tanto era apprezzata la qualità della sua presenza accanto agli studenti.
Se durante il primo periodo la riflessione di Joseph Moingt era rimasta racchiusa all’interno della tradizione cristiana, queste numerose ricerche e relazioni nuove gli insegnano che la presa di distanza e la critica sono la condizione primaria di una scrittura della storia e che occorre aver imparato a dubitare per fare della buona teologia, che sia, come egli dice, vera- mente credente: «Le domande a cui io cercavo di dare risposta erano certo le mie domande, quelle che si ponevano alla mia fede e anche quelle che nascevano dalla mia fede», scrive nel 1993, guardando agli anni tra- scorsi dal suo arrivo a Parigi. «Io ho imparato a dubitare, perché è necessario conoscere per dubitare, e a credere, perché è necessario dubitare di ciò che si sa per conoscere ciò che si crede. Avevo imparato a credere e a parlare del Cristo accogliendo la tradizione della Chiesa; ho dovuto reimparare l’uno e l’altro interrogando direttamente il vangelo, con la preoccupazione di cercare la verità più che di ripetere una verità già data»2.
1 Christoph Theobald, dalla Prefazione all’Edizione Italiana di Dio che viene all’uomo (J. Moingt Quriniana 2005)
2 Joseph Moingt, L’homme qui venait de Dieu, coll. ‘Cogitatio fidei’, n. 176, Le Cerf, Paris 1993.