di Ermanno ALLEGRI (1) da http://www.adital.com.br
“Sono venuto a portare il lieto annuncio ai poveri…” (Lc 4,18-21) Parole dirette e chiare, senza inutili giri di parole. Così Gesù si presentò nella sinagoga di Nazareth, leggendo le parole del profeta Isaia. Il povero non è un’idea, è una persona, un essere umano concreto che soffre. È urgente riprendere l’annuncio di Gesù Cristo perché nell’attuale dinamica sociale il povero assume oggi aspetti nuovi, è una categoria molto ampia che va ben al di là dei dati statistici dell’economia. È vero che in alcuni paesi nell’America Latina si è determinata una nuova realtà per cui la povertà legata alla miseria ha lasciato spazio a nuove classi sociali con un certo potere di acquisto. Infatti alcuni governi progressisti sono riusciti a ridurre in parte i numeri della povertà.
La società sta dunque passando a una fase più complessa e la nostra analisi deve andare in profondità perché le persone non si possono ridurre a semplici fattori economici e di consumo, ma portano in sé aspirazioni profonde ed essenziali che si realizzano attraverso valori di genere, di etnia, di cultura. Quando questi sono negati abbiamo una nuova classe di poveri e di esclusi. Sono milioni di persone che molti settori di chiesa ignorano completamente oppure considerano semplici “effetti collaterali” di un processo sociale.
È proprio su questo aspetto che dobbiamo aprire gli occhi e riscoprire il senso del termine “Chiesa dei poveri”, con tutto ciò che questa definizione implica nell’agire concreto. Senza entrare in analisi specifiche, tentiamo di elencare quelle che si possono considerare le vecchie e nuove categorie di poveri-esclusi sapendo che non si tratta di una lista esaustiva, ma solo esemplificativa:
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I miseri: malvestiti, affamati, vittime della speculazione sul prezzo internazionale degli alimenti da parte delle banche d’investimento
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Le vittime della droga: tutti quelli che ne sono dipendenti, le loro famiglie e le persone che perdono la vita nel perverso mondo del traffico
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Le vittime della violenza: attacchi, vendette, ostilità tra bande giovanili, nelle azioni di sterminio e di “pulizia sociale”
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Le vittime della discriminazione: negri, indigeni, abitanti delle “favelas”, malati di AIDS
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I detenuti nelle prigioni
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I sequestrati in vista di riscatto
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Gli scomparsi per cause politiche e sociali
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Molti lavoratori sottopagati nelle fabbriche, nella pesca, nelle miniere…
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Le minoranze sessuali: gay, lesbiche, transessuali, travestiti
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I senza casa, che vivono e dormono nelle strade
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I torturati dalle dittature, nelle prigioni, nei distaccamenti di polizia
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Le donne vittime della violenza machista assassina, fino al femminicidio
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Le vittime del traffico di persone per lo sfruttamento sessuale, sfruttamento del lavoro e il trapianto di organi
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I migranti in fuga, espulsi dalle guerre e dai cambiamenti climatici, o alla ricerca di migliori opportunità di vita
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Quelli che scompaiono mentre attraversano mari, deserti e frontiere seguendo un sogno di lavoro e libertà (2)
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I perseguitati dalle dittature
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La moltitudine di chi vive nascondendosi, perché senza documenti legali
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Le vittime della prostituzione: donne, adolescenti, bambine e bambini
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I disabili per malattie, o per incidenti sul lavoro o sulla strada
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Malati cronici e mentali
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Persone alienate e sfruttate da ideologie o religioni: fanatismi, fondamentalismi
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Vittime dell’alcool
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I senza tetto
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Gli ingenui, vittime degli approfittatori
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I deboli e stanchi della vita, che non riescono più a reggere il peso delle difficoltà e delle sofferenze
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Gli anziani
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I disoccupati e i lavoratori precari
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Gli analfabeti e quelli che non hanno mezzi per terminare gli studi
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Gli ammalati senza assistenza medica e ospedaliera
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Le vittime delle “calamità naturali”, terremoti, tsunami, inondazioni, uragani
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Le vite distrutte dalle guerre (un mercato miliardario in crescita)
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I contadini senza terra e senza acqua
È lo specchio di un’umanità stanca, massacrata, agonizzante: per molto meno Jahveh si è mosso a compassione perché ha ascoltato un grido di disperazione ed è sceso a fianco di un popolo di schiavi (Es 3,7-8).
Ci sono delle cause per queste situazioni o “non c’è niente da fare”?
Oggi, queste povertà-esclusioni non sono causate dalla penuria di mezzi per offrire il necessario alla vita. Le risorse naturali e la tecnologia di cui disponiamo potrebbero produrre un cambiamento radicale nell’umanità. Ma l’accumulazione, la corruzione, l’assalto alle casse pubbliche, le spese inutili, il lusso e lo sperpero, il modello di sviluppo consumista che brucia le energie del pianeta sono le concause di tante miserie, dello sterminio di milioni di vite. Oggi la produzione dei beni non si fonda sulle necessità vitali della popolazione del pianeta, ma sul mercato del profitto e in vista di interessi di parte.
E lo scandalo dei paradisi fiscali? È la versione capitalista del Paradiso Terrestre, un’area esclusiva per pochi eletti: dall’inizio del mondo non si è mai rubato tanto.
La crisi del sistema che il pianeta vive dal 2008 ha incrementato di 500 milioni di persone il numero degli affamati nel mondo. È il frutto dell’illegalità globale del capitale finanziario, del denaro che produce solo denaro senza fabbricare nemmeno uno stuzzicadente. Un articolo della rivista brasiliana Carta Capital cita James Henry, specialista nell’analisi dei paradisi fiscali, che scrive: “Una élite globale ultraricca approfitta delle scappatoie nelle regole internazionali delle tassazioni per nascondere in altri paesi la straordinaria ricchezza di 21 trilioni di dollari, l’equivalente del PIL complessivo di Stati Uniti e Giappone (…), 20 trilioni di dollari, sottratti alla tassazione di decine di paesi, si sono rifugiati sotto la protezione delle leggi blindate come quella della Svizzera e delle Isole Caiman.”(3)
Questa ricchezza, continua la rivista citando lo stesso specialista, “è protetta da una banda, molto ben pagata e che lavora sodo, di facilitatori professionisti nelle industrie delle banche private, di avvocati, di contabili e di specialisti in investimenti.” … “Secondo i calcoli di Henry, 9,8 trilioni di dollari sono proprietà di appena 92.000 persone, ovvero dello 0,001% della popolazione mondiale. … Queste proiezioni rivelano un clamoroso insuccesso: la disuguaglianza è molto, molto peggiore di quanto traspare dalle statistiche ufficiali.”(4)
E le nostre chiese?
92.000 persone che saranno giudicate da Dio per la loro responsabilità nell’aver creato tanta miseria ed esclusione. A meno che non s’accorgano in tempo che le loro ricchezze stanno marcendo, come la manna che raccoglievano e accumulavano per il giorno dopo alcuni Ebrei più furbi nell’attraversare il deserto (Es 16,19-20).
Il termine ricco comprende così anche persone e gruppi che non necessariamente possiedono ingenti quantità di beni e di denaro; comprende intellettuali, professionisti, comunicatori… che vendono a caro prezzo la loro intelligenza, le loro capacità alla “belva” del sistema per creare e sostenere strutture di oppressione ed esclusione (Ap 13 e 14, 9-11).
Queste vicende determinano la morte di milioni di persone. I poveri e gli esclusi muoiono abbandonati, affamati, in condizioni disumane, senza potersi realizzare come donne e uomini liberi, figlie e figli di Dio. Miliardi di vite umane escluse dall’esistenza come se fossero scorie, rifiuti, scarti. Viene allora da chiedersi: “Un cristiano, un essere umano può mantenere un conto nei paradisi fiscali, può essere padrone o gestore di una banca, fabbricare e commerciare in armi e diamanti? Può vivere nel lusso sfrenato delle sue abitazioni, dei suoi festini ecc.?”
Convertirsi al povero (che è Cristo) e … all’economia
Di fronte all’emergenza in cui l’umanità sta vivendo perché le nostre chiese non dichiarano “lo stato di calamità pubblica” per la situazione e per le attività delle istituzioni di cui esse fanno parte? Oppure pensano che le cose non siano poi così gravi? La Carità dei cristiani (ossia l’essere a servizio dell’uomo) deve essere molto più presente nelle nostre strutture, nel nostro tempo e nelle nostre energie. Questa è la Conversione: necessaria ed urgente per TUTTE le chiese.
Perché non ci fermiamo un attimo a pensare? Per i prossimi 5-10 anni proviamo a rileggere ogni domenica nelle nostre chiese la parabola del ricco cattivo e del povero Lazzaro (Lc 16,19-51), dando al ricco e a Lazzaro i nomi che hanno nella realtà di oggi. Per non essere monotoni potremmo alternare questa lettura con il capitolo 25 del vangelo di Matteo e con le beatitudini. E parlare chiaramente della condanna che grava sui ricchi. Qualcuno potrebbe anche convertirsi (Lc 19, 1-10).
È questa la conversione al volto di Cristo oggi. Conversione anche allo studio dell’economia: sì, convertirsi all’economia vuol dire rendersi capaci di capire i meccanismi dell’accumulazione e dello sfruttamento, significa saper riconoscere chi sono i responsabili anonimi che in una riunione di poche ore decidono la morte o la vita di milioni di persone. Questi anonimi hanno un nome, sappiamo chi sono, gli indignati nelle piazze lo sanno. Così potremmo capire la perversità e il satanismo del sistema che l’Apocalisse descrive con tanta chiarezza: è una lettura a portata di mano, basta aprire “I Libri” e leggere, e ascoltare quello che lo Spirito dice alle chiese.
Il progetto dei Poveri
Le chiese devono svegliarsi per svolgere questa azione di umanizzazione globale. È una vera “rivoluzione culturale” che deve risvegliare le nostre comunità. Lo leggiamo nel Documento di Aparecida: “La Chiesa è l’abitazione dei popoli fratelli e la casa dei poveri. (5) … La peggiore disgrazia che ci minaccia è la mediocrità nella pratica della vita quotidiana della Chiesa: apparentemente tutto procede in modo normale, ma, di fatto, la fede va svuotandosi e degenerando in meschinità.” (6) … La Chiesa ha bisogno di un forte scossone che le impedisca di installarsi nel comodismo… al margine della sofferenza dei poveri del continente”(7). La 5ª Conferenza di Aparecida e il Foro Sociale Mondiale sono la Pentecoste del terzo millennio.
D’altra parte succedono cose meravigliose: le quattro Giornate Teologiche Regionali realizzate nel 2011 in America Latina e Caraibi (Guatemala per l’America centrale, Cile per il Sud, Messico per il Nord e Colombia per i paesi andini), in vista del Congresso Continentale di Teologia a San Leopoldo, nel Rio Grande do Sul, Brasile, nell’ottobre del 2012; un gran numero di settimane teologiche, simposi, corsi e giornate di studio, attività delle Comunità Ecclesiali di Base e delle Pastorali Sociali, decine di nuove teologie che sono sorte (la teologia della terra, della donna, del lavoro, del negro, la teologia india, maya, garifuna…), tutto ciò fa capire che lo Spirito di Dio parla forte all’anima di questo continente e che ci sono persone e chiese che della loro fede e della loro spiritualità fanno una luce per incarnare e costruire il Regno, il grande sogno di Gesù Cristo.
La storia recente dell’America Latina mostra che noi cristiani abbiamo la capacità di produrre questo miracolo perché abbiamo dato corso ad un nuovo tempo nel nostro continente collaborando con migliaia di gruppi e di movimenti sociali. Abbiamo perfino la parresia (= il coraggio dell’annuncio degli Apostoli) di affermare che siamo diventati un riferimento per altre esperienze nel mondo.
Ha colto nel segno la teologa colombiana Consuelo Vélez (8): “Poco a poco il nostro continente latino-americano si è affermato come un importante interlocutore nei confronti dei paesi del primo mondo e ha rafforzato la sua identità culturale e religiosa, lasciando il suo atteggiamento ricettivo di tutto quello che arrivava da fuori per offrire invece le sue proprie ricchezze. Questo risulta chiaro in campo teologico, con la cosiddetta teologia latino-americana che – partendo dal metodo pastorale: vedere-giudicare-agire – ha prodotto una teologia capace di assimilare la realtà di povertà ed esclusione che ha segnato tanto la vita del continente ed è andata oltre, cogliendo le nuove sfide che stavano emergendo, come la questione ecologica, la questione indigena, la realtà della donna afro-americana, il pluralismo culturale e religioso, ecc.”
Non dobbiamo rinunciare alla possibilità di annunciare alle chiese e al mondo quello che lo Spirito ha fatto sbocciare in mezzo a noi: è il risultato di un’esperienza evangelica viva e della sofferenza di tante vite immolate nella costruzione della giustizia e della democrazia. Ci sono milioni di persone di buona volontà che nelle nostre chiese, o nei movimenti sociali, come pure nelle iniziative e nelle strutture di governi, guardano con profonda attenzione e con coraggio a questo momento storico per mettere il progetto dei poveri al centro di un progetto di umanizzazione.
Non permettiamo che l’interesse assassino di persone e di gruppi economici domini le società del presente e del futuro. Le differenti crisi che stiamo vivendo oggi, indicano che ci muoviamo nella direzione di una trasformazione epocale. La storia non tornerà indietro. Tra pochi decenni il mondo sarà radicalmente differente da quello in cui viviamo oggi: nel bene oppure nel male. Sarà una gestazione lunga e sofferta perché un’epoca non cambia per decreto o per volontà di pochi illuminati. Non possiamo restare in disparte a guardare quello che succede. Questi profondi cambiamenti strutturali, nelle chiese e nella società, sorgeranno e si consolideranno solo se ci sarà una schiera quasi infinita di uomini nuovi e donne nuove, onesti e competenti, come protagonisti di questo processo. Cominciando da noi stessi.
Note:
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Sacerdote della diocesi di Bolzano-Bressanone, in Brasile dal 1974, oggi in una parrocchia alla periferia di Fortaleza e direttore di ADITAL: Agenzia di notizie sull’America Latina e Caraibi. http://www.adital.com.br
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Si calcola che negli ultimi 20 anni, più di 20.000 persone siano scomparse nell’attraversare il Mediterraneo nel tentativo di raggiungere l’Europa, venendo dall’Africa.
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Carta Capital, Brasile, 01.08.2012, pp. 68 e 69. Articolo di Heather Steward, citando James Henry, Il prezzo dell’offshore rivisto, divulgazione esclusiva dell’ Observer.
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Ibid.
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Documento de Aparecida, 8.
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Ibid., 12.
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Ibid., 362