LA CITTA’ DI FERRO E FUOCO

Antonio Greco

Foto di Malcolm Lightbody su Unsplash

Il 25 luglio scorso, L’ANSA – Bari ha lanciato la notizia dei risultati preliminari di uno studio condotto da Emilio Gianicolo e Maria Blettner dell’Istituto di Biometria, Epidemiologia ed Informatica Medica dell’Università di Mainz (Germania), Susi Epifani e Luca Convertini della Asl di Brindisi, Federico Scognamiglio dell’Università di Padova, e Maurizio Portaluri dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo: “tra i 1.756 lavoratori del petrolchimico di Brindisi, quelli più esposti al cloruro di vinile monomero (Cvm) hanno perso due anni e mezzo di vita, rispetto ai colleghi non esposti o meno esposti”.

A distanza di giorni la reazione a questa interessante notizia, pur avendo ottenuto un’ottima copertura giornalistica, sembra che non abbia scalfito più di tanto le istituzioni locali, regionali e nazionali responsabili della tutela della salute pubblica dei brindisini.

Andrea Ostuni, giovane ricercatore e scrittore, esperto di storia del lavoro e studioso di storia dell’impresa, è autore del libro “La città di ferro e fuoco” Sottotitolo: “Intervento straordinario, lavoro e ambiente al petrolchimico di Brindisi (1959-1985)“, edito da Rubbettino nel dicembre 2024. Il volume delinea la lunga parabola del polo petrolchimico di Brindisi. “È il frutto di diversi anni di ricerca” (pag. 23). Si tratta della rielaborazione della tesi di dottorato, discussa nel corso interateneo in Studi storici, geografici e antropologici erogato dalle Università di Padova, Venezia e Verona. Perfezionata mediante un assegno di ricerca annuale presso l’Università di Catania.

Struttura della ricerca

Dopo la prefazione di Salvatore Adorno, professore ordinario di Storia contemporanea presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania, dove insegna Storia contemporanea, Storia dell’ambiente e Didattica della storia, e dopo una lunga introduzione, il testo è composto da 5 capitoli:

  1. Antefatto. «Brindisi è in marcia»con quattro paragrafi (Lo sguardo rivolto a Oriente e i piedi ben piantati sulla terra: Brindisi dall’Unità alla Seconda guerra mondiale. Il nuovo meridionalismo e il «primo tempo» dell’intervento straordinario. La riforma agraria e le trasformazioni nelle campagne brindisine. Il destino del porto tra abbandono e rilancio).
  2. «Come se fossero arrivati i marziani»con quattro paragrafi (La chimica tra il boom economico e il «secondo tempo» dell’intervento straordinario. L’arrivo della Montecatini; il piano Cegos-Sofred: tra programmazione economica e pianificazione territoriale. Le voci critiche).
  3. La città-fabbricacon quattro paragrafi (L’impatto socioeconomico e i cambiamenti urbanistici. Una moderna classe operaia. La contestazione a Brindisi. Un bilancio di fine decennio: lo Studio di verifica del Piano regolatore).
  4. Tra nuovi assetti e ripensamenti: chimica, sindacato e modelli di sviluppocon cinque paragrafi (La fusione Montedison, il Piano chimico nazionale e i rapporti con l’Eni. Dalle lotte contro la nocività in fabbrica al rinnovo del 1972. Tra fabbrica e società: contrattazione aziendale e modelli e nuovi modelli di sviluppo. La crisi petrolifera, l’annuncio di nuovi investimenti e il rinnovo del 1976. La questione ecologica Brindisi).
  5. La lunga «vertenza Brindisi»con sei paragrafi (Dalle lotte per l’appalto al riconoscimento di «grave crisi occupazionale». L’esplosione. L’industria chimica verso la ristrutturazione. La rottura di un equilibrio e le difficili trattative. Una nuova stagione delle relazioni industriali. Lo spacchettamento del petrolio amico tra pubblico e privato).

Chiudono il libro le Conclusioni. I nodi irrisolti.

La ricerca integra, con equilibrio e competenza storiografica, società, economia, territorio e ambiente di Brindisi, città industriale. Il lavoro di Ostuni è insieme una storia della città di Brindisi e del suo territorio. E’ una storia dell’industrializzazione del Mezzogiorno, vista da una delle periferie meridionali, ed è una storia della parabola chimica italiana declinata su un territorio e una città.

La ricostruzione di un quarantennio di storia repubblicana, seppur in scala ridotta, ha richiesto un lavoro particolare a livello di fonti. Ha comportato la consultazione archivistica e bibliografica dei protagonisti delle vicende descritte: forze politiche e sindacali, enti e amministrazioni, ministeri e commissioni parlamentari, istituti di credito e autorità monetarie, imprese e singole personalità. L’impossibilità di poter avere accesso a documentazione aziendale proveniente dall’archivio Montecatini-Montedison (ora di proprietà Edison Spa, che ha sempre rifiutato la richiesta di accesso) è stata colmata attraverso la consultazione di fonti conservate dall’Archivio Storico della Banca d’Italia, dagli archivi del gruppo Intesa Sanpaolo e dall’Archivio storico dell’ENI. La bibliografia è riportata in 23 fitte pagine. Il libro, documentatissimo, ha più di 1000 note a pie’ di pagina. Appartenente al genere del saggio, è scritto in modo piano e leggibile, pur se il linguaggio è puntuale e tecnicamente ineccepibile. 400 pagine di ricerca non si leggono come un romanzo.

Il titolo della ricerca, “La città di ferro e fuoco”, non è immediatamente intuibile. A detta dello stesso autore, il titolo arriva «dai versi della ballata “Li Terre Mei” di Sandro Tuminelli inserita nel film-documentario di Giovanni Cecchinato che la Montecatini aveva commissionato per propagandare l’arrivo del Petrolchimico. Si chiamava “Quattro volte Brindisi” per sottolinearne la grande estensione».

Il processo di industrializzazione di Brindisi

Con la posa della prima pietra dello stabilimento della Montecatini, avvenuta l’8 marzo 1959, avviene una sorta di ingresso di Brindisi e della sua provincia nella moderna società industriale.

Fu una scelta «imposta» dall’alto al territorio? Ed è questa la causa del fatto che Brindisi ha subito forme di “sviluppo senza autonomia”?

La vicenda del petrolchimico di Brindisi è da inserire all’interno della vasta cornice delle politiche meridionalistiche e nel contesto del miracolo economico degli anni ’60, ma il petrolchimico, sostiene Ostuni, fu anche fortemente voluto da forze politiche, sindacali e dalle amministrazioni locali.

Ostuni dimostra che la interpretazione di una scelta compiuta altrove, fuori dal territorio, “non tiene sufficientemente conto del fatto che lo sviluppo industriale della provincia fu fortemente auspicato dalle sue classi dirigenti, le quali negli anni precedenti alla costruzione del petrolchimico avevano formato un blocco di pressione compatto nel rivendicare la creazione di un’area industriale gravitante attorno al porto, unica opportunità per superare le ataviche vocazioni agricole che facevano permanere il territorio in uno stato di arretratezza” (pag. 16).

L’assunto da cui si è partiti è che quel filone interpretativo tendente a liquidare l’intervento straordinario del Mezzogiorno come un generale fallimento – e riassunto dall’icastica locuzione delle «cattedrali nel deserto» – non consenta di recuperare la complessità delle profonde trasformazioni indotte dal passaggio da un’economia agricola a un’economia industriale” (pag. 18).

L’elaborato di Ostuni nella prima parte scandisce una ricostruzione a grandi linee del quadro socioeconomico della Brindisi tra l’Unità e la Seconda guerra mondiale.

Nel secondo capitolo viene delineato il perché e il percorso che portò alla scelta della Montecatini di localizzare proprio a Brindisi il suo insediamento.

Il terzo capitolo è dedicato al rapporto instauratosi tra la fabbrica e la città.

Con l’arrivo degli anni ’70 l’industria chimica -e in particolare la Montecatini, fusasi nel frattempo con la Edison – entrò in un duro periodo di crisi, con gravide conseguenze anche per Brindisi. Il processo di ristrutturazione e ammodernamento della fabbrica, mediante una riduzione e un uso molto flessibile della manodopera, fu fortemente contestato dalle rappresentanze sindacali. Nella seconda metà del decennio anni ’70 si impose con una centralità inedita a livello nazionale la questione ecologica, che investì Brindisi con decisione, vista la presenza sul territorio di una grande industria di base dal forte impatto ambientale.

Nell’ultimo capitolo si ricostruiscono le lotte all’interno delle ditte appaltatrici avvenute nella prima metà del 1977 e si analizzano le vicende che interessarono il petrolchimico in seguito all’esplosione dell’impianto di cracking, avvenuta l’8 dicembre dello stesso anno, in cui morirono tre operai e vi furono diversi feriti. Quest’evento segnò la storia del petrolchimico e innescò una durissima crisi sociale e occupazionale del territorio. Solo una lunga vertenza dei lavoratori brindisini scongiurò la chiusura totale della fabbrica.

I nodi irrisolti del polo chimico brindisino e la tesi della ricerca

Nonostante i forti ridimensionamenti, i numerosi passaggi di proprietà, le alterne vicende legate ai mutamenti dei mercati internazionali (…) oggi la chimica continua a rappresentare un settore rilevante per la complessiva economia della provincia di Brindisi e il polo chimico si pone come uno dei più competitivi nella geografia di quelli sull’Adriatico” (pag. 393).

Ostuni conclude la sua ricerca annotando come la presenza industriale e il rapporto controverso tra fabbrica e società brindisina ha lasciato in eredità “diverse questioni e dibattiti irrisolti”. Ne indica tre:

La prima riguarda le cosiddette “morti sospette del petrolchimico, quelle legate all’azione cancerogena del cloruro di vinile” (pag. 394). E fa riferimento alla costante opera di Luigi Caretto, operaio ammalato di tumore e poi morto: grazie alla sua costante opera veniva avviata un’azione giudiziaria che non ha reso giustizia ai lavoratori deceduti e alle loro famiglie. La ricerca di Ostuni, in una paginetta del quinto paragrafo del quarto capitolo dal titolo “La questione ecologica a Brindisi”, affronta la questione del Cvm per dimostrare come matura nel tempo la consapevolezza dei rischi per la salute umana derivanti da tale sostanza chimica e come solo a partire dalle ricerche del professor Cesare Maltoni, per la prima volta nel 1969, furono ipotizzati gli effetti cancerogeni sull’organismo umano.

La seconda questione irrisolta attiene “più in generale al futuro incerto dei dispositivi di bonifica, decontaminazione, messa in sicurezza e riconversione delle aree industriali dismesse e dei siti inquinati, (…), che continuano a procedere con lentezza e sottolineano agli occhi dell’opinione pubblica i danni ambientali prodotti dall’industria nel lungo e nel breve periodo specie in un momento in cui matura tra di essa una maggiore consapevolezza ecologica” (pag. 394)

Infine, il nodo inestricabile rimane quello che lega l’impatto del fenomeno di industrializzazione alla sua memoria, o forse alla rimozione della memoria della stagione industriale. Malgrado il fatto che la deindustrializzazione abbia avuto effetti dirompenti sulla città e sulla sua società, sembra che di quella stagione non sia rimasto molto nella memoria della città. Ostuni riporta il pensiero di Antonio Maria Pusceddu, un militante sindacale, che nel 2022 scrive: sembra che il petrolchimico «sia un segnatempo imprescindibile della memoria cittadina» ma al contempo «il segno tangibile della sua smemoratezza – un richiamo costante all’oblio».

L’autore del saggio, nel concludere, fa riferimento a una ricerca antropologica del 2017 fatta da M.R. Perrone (Memoria e modernità a Brindisi), in cui nelle testimonianze raccolte non emerge per nulla il contributo che la fabbrica del petrolchimico ha fornito alla identità sociale e alla cultura del lavoro, alla partecipazione alla vita pubblica in una città che era uscita dalla guerra in una condizione di estrema difficoltà. Emerge, invece, forte la frattura tra le vocazioni economiche tradizionali (agricoltura, pesca, terziario delle botti) e le nuove forme di produzione imposte dall’alto. L’avvento dell’industria avrebbe disperso quel patrimonio di competenza che per secoli avevano retto l’economia locale. Perché? La spiegazione finale di Ostuni, timidamente accennata, è che “ciò è riconducibile in parte alla lunga stagione liberista che ha contagiato anche la penisola e che si è prolungata dagli anni Ottanta fino alla crisi economica del 2008” (pag.396). Il suo auspicio, in un contesto di crisi globale in cui il divario tra le due parti del Paese, nord e sud, riprende ad ampliarsi e comincia a venir meno la coesione sociale e territoriale, è quello di tornare a una lettura meno preconcetta e più libera dell’intervento straordinario dell’industrializzazione del Mezzogiorno e della programmazione. E magari orientare il dibattito in questa direzione.

A mo’ di conclusione

Il quadro storico descritto da Ostuni racconta un pezzo (1959-1985) della complessa storia di una città scandita da torti subiti (molti) e da vantaggi ricevuti (pochi), da soprusi e da ribellioni, da sofferenze e da speranze.

Alla storia dei “morti al petrolchimico”, di cui si è in passato dolorosamente parlato per indicare quell’insieme di sofferenze personali e di drammi sociali che le famiglie colpite dai lutti e il comune buon senso ascrivono a responsabilità legate alla mancata adozione di misure a tutela della salute dei lavoratori (ma i cui processi non hanno portato all’accertamento di colpevolezze con conseguenti risarcimenti, per inadeguatezze normative e difficoltà processuali di vario genere), lo studio dell’università di Mainz e Asl Brindisi, presentato in questi giorni, aggiunge un pezzo di un’altra verità, altrettanto dolorosa. Non lascia spazio per fraintendimenti: tra i 1.756 lavoratori del petrolchimico di Brindisi, quelli più esposti al cloruro di vinile monomero hanno perso 2 anni e mezzo di vita rispetto ai compagni di lavoro meno o per nulla a contatto con il gas dal quale, attraverso la polimerizzazione, si ottiene il Pvc, una delle plastiche più utilizzate al mondo.

Se prima gli organi preposti potevano rispondere alle preoccupate istanze dei cittadini rilevando che non erano disponibili né dati scientifici né strumenti legislativi, oggi non è più così. La mole dei dati prodotti dovrebbe mettere le istituzioni in condizione di assumere misure preventive a tutela della salute pubblica.

Al termine della lettura del libro di Ostuni ma più ancora dopo la lettura dei dati della ricerca di ostinati ricercatori, in gran parte brindisini, mi pongo una domanda, che è drammatica perché riguarda il diritto alla salute e alla vita di tante persone, destinata forse anche questa volta a restare senza risposta: quale attenzione è posta a questi dati da parte della politica e delle istituzioni locali e nazionali?

L’assenza di una volontà politica nel prendere sul serio questi dati e questi studi, rivolta a non scomodare chi doveva vigilare sulla salute pubblica e sul corretto esercizio delle attività economiche, si incrocia, per fortuna, con una storia fatta anche di intuizioni lucide, di testimonianze coraggiose e di impegni meritori, quasi sempre ad opera di singole persone e di gruppi minoritari.

29 luglio 2025

Lascia un commento