TRASFORMARSI PER LA PACE

Dalla pagina Fb di Grazia Lupo Pendinelli, consulente filosofico, riprendiamo questa riflessione sulla necessità di trasformarci e non fare semplice formazione. Riprendere la propria biografia e riportarla in vita è il compito d chi si è sempre impegnato per la pace. Un ricordo anche di Michele Di Schiena.

C’era una volta una guerra, l’ennesima e una delle tante.

Era l’anno 2003, inizio di secolo fresco e già imputridito dal 2001, e in Iraq si manifestava il solito girotondo bellico con immutati attori promotori. C’erano gli Stati Uniti, niente di nuovo sul fronte occidentale.

Quella volta avevo 29 anni, un tempo bellissimo nel corpo e nella testa piena di utopia. Abitavo in un paese della provincia, particolarmente opaco a specchio di tanti altri piccoli mondi.

Esistevano le associazioni, quelle vere, con tanto di statuto, di consultazione costante dell’assemblea, di incontri lunghi e lenti attorno ai libri e alle umane fragilità, con ospiti e testimoni grandi. Michele di Schiena, magistrato, alto e gigante, dal volto buono e gli occhi grandi capace di discorsi vivi e pieni di concretezza, veniva a trovarci per accompagnarci in percorsi di trasformazione. Già oggi si chiama “formazione”, serve a non toccar nulla, a mostrare al potere erogante denaro che si fa sulla carta quel che impone e si paga un prezzolato in turno.

In quel tempo, che a fare i conti con le dita si capisce che non c’erano i dinosauri, si faceva trasformazione a partire dalle vite di ciascuna, seduti in cerchio.

Sono stati anni intensi. Ed eravamo presenti in quel presente.

Oggi, dopo 20 anni, ho cercato nella più ricca biblioteca un libro importante. Un libro nato in una casa editrice piccola, nella città di Taranto. Andai a prendere scatole di libri, caldi di stampa e feci parole visionarie con l’editore Chimienti, certi di tenerci al mondo.

Il libro ha titolo Bandiere di pace – Il mondo in costruzione.

Un libro che camminava a piedi, di mano in mano, e si leggeva pure!

Nasceva da una “campagna”. Una bella usanza quella. Non era on line era on the road, a dirla in lingua prepotente. Da Lecce a Taranto, a Milano, a Bologna, a Napoli addirittura nel mondo.

Una campagna che usava le mail, ma si nutriva di corpi sparpagliati a fare incontri. La campagna di diffusione delle bandiere di pace appese ai balconi aveva coinvolto migliaia di famiglie, numeri eccezionali per quel 2000.

Dove sono tutte quelle donne e quegli uomini? Non siamo morti tutti. Abbiamo dai 40 ai 60 anni oggi: dove siamo finiti?

Dove è finita la mia biografia?

Nell’ultima fila di libri, nello scaffale in basso?

Dove sono finiti i testimoni? E se fossimo noi testimoni della nostra biografia?

Sapevo di averla e sono andata a prenderla, una bandiera della pace vecchia di 20 anni.

Non voglio appenderla al balcone che non ho, voglio indossarla. Perché è la mia vita.

I miei colori preferiti sono il giallo e il blu, ma continuo a “sapere” da che parte voglio stare: dalla parte della pace.

Negli ultimi anni ho ricevuto l’attributo di “radicale” come un insulto, come un’accusa di disadattamento, come stigma di non conformità.

Ne ho sofferto molto.

Era una violenza che mi privava della mia biografia.

Penso che riprendere la propria biografia, portarla in vita sia un atto politico necessario.

Nei laboratori con i ragazzi, con i bambini, con le donne madri porterò la bandiera di pace. La dipingerò come tovaglia su un altare laico e nudo e, senza retorica, con il mio nome proprio finalmente ben fatto, cercheremo insieme di farci presente.

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