Maurizio Portaluri
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 23 del 19/06/2021
La mattina del 1° giugno è giunta notizia delle ventisei condanne decretate, per un totale di 299 anni di reclusione, dalla Corte d’Assise di Taranto, chiudendo così il primo grado di giudizio del processo “Ambiente Svenduto”, principalmente per il reato di disastro ambientale che acciaierie e cokerie sono accusate di aver scatenato in quella città durante la gestione Riva, con emissioni industriali di sostanze inquinanti e nocive. Veleni indicati come i responsabili dei livelli inquietanti di malattie oncologiche, respiratorie e cardiovascolari registrati nel capoluogo jonico.
«Quella sentenza è il frutto di una lunga lotta a cui abbiamo dato il via nel febbraio 2008, portando in un laboratorio specializzato un pezzo di pecorino contaminato dalla diossina. Il latte di quel formaggio proveniva da pecore e capre che avevano brucato nei pascoli attorno all’ILVA». È quanto scrive Alessandro Marescotti il 5 giugno 2021 sul sito dell’associazione pacifista Peacelink, la cui attività principale è condividere in rete i segreti dell’industria degli armamenti, in Italia e nel mondo, per educare le persone «alla pace, alla non violenza, ai diritti umani». «Tre anni prima, nel 2005, avevamo scoperto che a Taranto c’era la diossina. Nessuno aveva mai parlato prima della diossina… ci imbattemmo nella diossina scandagliando i dati di un database europeo nel quale c’erano le sigle PCDD e PCDF» (www.peacelink.it/editoriale/a/48510.htm).
Il 12 gennaio 2011, scoppiava a Taranto l’emergenza “cozze alla diossina”. In quella data, con un comunicato del Fondo Antidiossina, costituito da Fabio Matacchiera e PeaceLink, veniva convocata una conferenza stampa per annunciare che in un campione di frutti di mare erano state rintracciate elevate concentrazioni di diossina.
Purtroppo dopo la lettura della sentenza del processo “Ambiente Svenduto” nei media ha fatto più scalpore la condanna dell’ex presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, per concussione aggravata, dei 386 morti in dieci anni attribuiti alle emissioni ILVA dagli studi disposti dal GIP dott.ssa Patrizia Todisco nel 2011 e alla base della tesi accusatoria sostenuta dal gruppo di quattro pubblici ministeri guidati da Mariano Buccoliero.
La pubblicazione negli anni scorsi di intercettazioni telefoniche avevano velato l’immagine ambientalista del presidente Vendola colto a ridere con Archinà, il responsabile delle PR del Gruppo Riva, di un giornalista che chiedeva all’imprenditore cosa ne pensasse delle morti attribuibili alle emissioni di ILVA. Nello stesso periodo dalle indagini emergevano le offerte, diecimila euro ogni Natale e Pasqua, all’arcivescovo Benigno Papa che ne ammette l’esistenza quando viene ascoltato dai magistrati come persona informata dei fatti. Niente di penalmente rilevante, ma si tratta di una brutta storia che getta ombre sulla posizione assunta per decenni dalla Chiesa locale sulla vicenda del siderurgico!
In questi anni di episcopato mons. Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto, ha cercato di riscattare l’immagine di contiguità della Chiesa locale con il gigante siderurgico. In una intervista apparsa il 1° giugno su Famiglia Cristiana (https://www.famigliacristiana.it/articolo/sentenza-ex-ilva-l-arcivescovo-di-taranto-santoro-grati-alla-magistratura-la-politica-non-ha-preso-decisioni-per-tutelare-la-salute.aspx), Santoro ha dichiarato: «La magistratura ha stabilito che la situazione sarebbe andata diversamente se la politica si fosse preoccupata della salute dei cittadini. Io sono qui dal 2012 e ho sempre visto un procrastinare, un rimandare le decisioni, un temporeggiare sulla pelle dei tarantini. Un giorno c’era un intervento della magistratura e il giorno dopo la politica bloccava quello che la magistratura indicava. Se la politica si fosse occupata della salute dei tarantini si poteva trovare una soluzione».
A ottobre 2021 Taranto ospiterà la Settimana Sociale dei cattolici italiani. Mons. Santoro sul da farsi sposa la linea della riconversione ecologica del siderurgico: «Questo è il momento in cui bisogna cambiare rotta e fare due cose: ripartire con le bonifiche, attese da tanti, troppi anni, per porre rimedio ai disastri fatti e rivedere radicalmente il processo di produzione dell’acciaio utilizzando metodi non inquinanti. All’estero si fa, perché qui no? Il Il 1° agosto 2012 un folto gruppo di cattolici, laici e preti, avevano indirizzato ai vescovi pugliesi una lettera aperta sulla grave situazione ambientale nella regione. L’impianto di Taranto era stato sequestrato da qualche giorno. I vescovi discussero la lettera nella loro assemblea per ben due volte. Un gruppo di rappresentati dei firmatari, tra i quali Alessandro Marescotti e Etta Ragusa, incontrarono il presidente mons. Cacucci, l’allora arcivescovo di Bari, qualche mese dopo ed egli confermò che la CEP non intendeva esprimersi per non essere strumentalizzata (www.adista.it/articolo/51927). l rischio è che la gratitudine dei cittadini verso la magistratura si trasformi in disincanto e sconforto, come a dire: “tanto non cambierà mai nulla”». Una posizione che rompe anni di silenzio ma che deve fare i conti con la compatibilità economica di un’acciaieria che non usi altoforni. Mentre sul modello di sviluppo sostiene che «bisogna diversificare le imprese produttive, questa è la vera questione, non concentrare in una grossa fabbrica, con metodi obsoleti, tutto». Una tesi che non affronta il nodo dell’incompatibilità della economia neoliberista con il rispetto dell’uomo e dell’ambiente. Il 1° agosto 2012 un folto gruppo di cattolici, laici e preti, avevano indirizzato ai vescovi pugliesi una lettera aperta sulla grave situazione ambientale nella regione. L’impianto di Taranto era stato sequestrato da qualche giorno. I vescovi discussero la lettera nella loro assemblea per ben due volte. Un gruppo di rappresentati dei firmatari, tra i quali Alessandro Marescotti e Etta Ragusa, incontrarono il presidente mons. Cacucci, l’allora arcivescovo di Bari, qualche mese dopo ed egli confermò che la CEP non intendeva esprimersi per non essere strumentalizzata (www.adista.it/articolo/5192)