Giovanni Seclì
Nel giorno di Pasqua del 1995 veniva ucciso in Pakistan I. Masiq, di soli 12 anni. Già era diventato testimone-simbolo mondiale della lotta contro lo sfruttamento schiavistico di centinaia di milioni di bambini solo in Asia. La sua uccisione lo ha trasformato in martire: sia per il suo impegno sociale a favore dei bambini dall ‘ “infanzia negata” e contro sfruttamento dei lavoratori; sia per la sua confessione cattolico-caldea.
Sicuramente questa legata alla sua educazione familiare, professata in situazione di emarginazione socio-religiosa (la comunità cristiana è soprattutto composta da persone delle caste inferiori , dal lavoro più umile) ha alimentato e sorretto la sua indignazione contro le ingiustizie , la eroica lotta per l’emancipazione umana di bambini strumenti-schiavi della produzione ; probabilmente la sua testimonianza cristiana è stato una concausa delle dinamiche che favorirono l’assassinio.
In quel giorno di Pasqua di 25 anni fa (15 aprile 1995) dopo la Messa -così si tramanda – Iqbal fu strappato dalla terra : per risorgere nella memoria e nel cuore di miliardi di esseri umani, rigenerando in essi il messaggio universale di liberazione umana .
La sua condizione di vita sfruttata –a partire dai 4 anni in una fabbrica di mattoni, per proseguire in una di tappeti , venduto dalla famiglia indigente- si era trasformata a 10 anni in denuncia e in testimonianza, smuovendo l’opinione pubblica internazionale e favorendo alcuni provvedimenti politici nel Pakistan (e non solo) di limitazione delle pesanti condizioni di lavoro schiavistico, a danno soprattutto di schiavi-bambini, secondo una prassi secolare perpetrata da proprietari di laboratori tessili di tappeti e di altri settori di lavoro ancor più duro.
Il conseguente risentimento nei suoi confronti probabilmente è stato accentuato dal clima di intolleranza religiosa prevalente in Pakistan (soprattutto con l’introduzione della Sharja nel 1991) verso la minoranza cristiana, presente in particolare nella regione del Punjab; situazione purtroppo perdurante anche nel XXI sec., con il rigurgito di fondamentalismi, risposta perversa anche alla violenta ingerenza politica e militare perpetrata dall’Occidente in diverse regioni soprattutto del terzo mondo.
Il suo martirio si inquadra all’interno di tale contesto; per questo I. Masih va riproposto come testimone di giustizia, di solidarietà, di costruzione di una comunità fraterna, di attuazione del messaggio evangelico all’interno della sua nazione, dalle perduranti drammatiche criticità sociali: miseria e sfruttamento, mancanza di diritti elementari all’istruzione e alla sanità , conflitti etnici , intolleranza religiosa a danno della minoranza cristiana – riesplosa nella persecuzione di Asia Bibi, per fortuna sottratta alla pena di morte, grazie all’impegno internazionale e anche alla resipiscenza della giustizia del Pakistan.
Per tali motivi, in occasione dei venticinque anni del martirio di Iqbal Masih, la Chiesa cattolica deve riproporne un forte e ricco ricordo, rivivificando il suo messaggio : un’onda lunga figlia di una vita breve ma senza tempo. Monito e modello insieme per un cammino di giustizia sociale, da Masih testimoniato in modo coraggioso, consapevole e insieme spontaneo e “ingenuo”.
I.Masih ha compiuto ad appena dodici anni il ” miracolo” di aver trasformato, con il suo messaggio incarnato nella sua vita, leggi e pratiche ataviche cause del male sociale dello sfruttamento schiavistico minorile, liberando, almeno in parte, milioni di bambini da una condizione di miseria umana e materiale. Una missione di testimonianza del Vangelo, riproposto anche da lui quale strumento di conversione e di liberazione umana; un messaggio vissuto, importante e profetico non meno di quello di altri martiri, immolati per la confessione dei valori umani e cristiani.
Per la comunità cristiana del Pakistan, dalla tradizione plurisecolare e dalla presenza non esigua, seppur minoritaria , la riscoperta e la valorizzazione del messaggio di I. Masih potrebbe essere uno strumento di promozione di forti valori sociali da essa testimoniati e rappresentare anche un percorso di dialogo tra fedi e culture in quella nazione e civiltà antica , nobile, ma anche lacerata.
Il presente testo, parzialmente rimaneggiato, è stato pubblicato con richiamo in prima pagina su “Avvenire” del 15 aprile 2020, accompagnato da un intervento del direttore Tarquinio
Ancora un martire per imparare ad amarci. Ma quando impareremo ad amarci. Sbrighiamoci. “Alla sera della vita saremo giudicat sull’amore”. San Giovanni Della Croce”.
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