I CARDINALI PIÙ CASTI

José María Castillo

I cardinali Walter Brandmüller e Raymond Burke pochi giorni fa hanno scritto una lettera a tutti i cardinali del clero cattolico, esprimendo la loro profonda preoccupazione per la minaccia che rappresenta per l’intera Chiesa il prossimo Sinodo sull’Amazzonia, che si celebrerà a Roma nel prossimo mese di ottobre. La preoccupazione più grande di questi eminenti porporati è che, a fronte della crescente penuria di preti che soffre la Chiesa, il Sinodo possa permettere l’ordinazione presbiterale delle donne o in alcuni casi possa abolire la legge del celibato.

A giudizio dei suddetti cardinali, secondo le informazioni delle agenzie di stampa, i due problemi citati (l’ordinazione presbiterale delle donne e l’abolizione della legge del celibato) sono questioni di una gravità equiparabile niente meno che ai dogmi fondamentali della cristologia, che la Chiesa ha dovuto risolvere nei concili ecumenici dei secoli IV e V.

Confesso che questa notizia mi ha colpito. Più che per il contenuto della notizia in sè (il problema delle donne e del celibato), soprattutto per quello che la notizia evidenzia o fa capire. Ma davvero i due problemi più preoccupanti, che in questo momento ha la Chiesa, sono la possibile ordinazione presbiterale delle donne o l’ipotetica abolizione del celibato dei preti? E non è più preoccupante il fatto che migliaia di cristiani non possano partecipare all’Eucaristia per la semplice ragione che non hanno preti che si occupino della loro fede e della loro vita sacramentale?

Inoltre, i due insigni porporati (già citati) non hanno ancora scoperto che i due problemi, che tanto li preoccupano, non sono e non possono essere “dogmi di fede”? Si sono mai letti il fondamentale capitolo terzo della Costituzione sulla Fede del Concilio Vaticano I (Denz.-Hün. 3011), nel quale si definisce quello che si deve credere come Fede divina e cattolica?

Parlando tecnicamente, la prima decisione solenne del Magistero della Chiesa sul celibato è stato l’“anatema” del canone 9 di Trento nella sessione 11, nell’anno 1563 (Denz.-Hün. 1809). Ma si consideri che un “anatema” di Trento non definisce una questione di Fede. Nella sessione 13 del concilio si dice che sia “anatema” colui che afferma che il prete non può dare la comunione a sé stesso (Denz.-Hün. 1660). Questo non può essere una questione di fede. È una mera norma disciplinare. Quindi lo stesso valore ha quello relativo al celibato dei preti di Occidente. Nella Chiesa cattolica orientale non è esistita e non esiste alcuna legge sul celibato dei preti.

Ebbene, se la dottrina della Chiesa è quella che abbiamo, qual è lo scopo della preoccupazione di questi due cardinali sull’ordinazione presbiterale delle donne ed il celibato dei preti? Cosa vogliono questi due porporati? Difendere la Fede della Chiesa o complicare il pontificato di papa Francesco? Cosa hanno messo in luce questi due uomini? Ciò che sembra chiaro è che ci sono chierici importanti che si sono dati da fare perché tutto continui come va, sebbene del Vaticano si possa dire che è Gomorra; o perché più di mezzo mondo muoia di fame.

Con porporati così, dove andiamo?

 

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Articolo pubblicato il 6.9.2019 nel Blog dell’Autore in Religión Digital (www.religiondigital.com )

Traduzione a cura di Lorenzo TOMMASELLI

 

 

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One Reply to “I CARDINALI PIÙ CASTI”

  1. La chiesa tutta deve meritarsi di avere tanti più operai per la messe abbondante che resta “giacente”. E’ certamente questa la preoccupazione che deve testimoniare la verità: il nutrimento a tutte le genti. Altre preoccupazioni non hanno fondamento.

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