
Antonio Greco
“Non ha alcun senso dire, con il cardinale Martini, di essere, allo stesso tempo e secondo lo stesso significato, “credente e non credente”. Così in “Riflessioni” dal titolo “Le verità e le critiche tra fede e religione” sul Nuovo quotidiano di sabato 7 giugno u.s. 1
Con un sottile argomentare filosofico il vescovo Vito Angiuli mette sotto accusa, fra l’altro, uno dei pilastri del magistero del card. Martini, morto nel 2012. Sembra finito il disturbo della profezia di quel grande cardinale ma anche di quella di papa Francesco. Ora sarebbe il tempo di far rivivere la prospettiva dell’antico cristianesimo consolatorio e paternalista: quello delle “verità definite” e, forse anche, dei “valori non negoziabili”.
L’altra prospettiva, quella di un cristianesimo inquieto in cui, oggi, molte/i laiche e laici cattoliche/ici, ma anche alcuni presbiteri e suore si riconoscono, dovrebbe essere ignorata, normalizzata o espulsa dal quadro della ortodossia istituzionale.
Annaspiamo in un mare di ansia, violenza, guerre, senza pace né senso. Allo smarrimento di senso dell’umanità contemporanea la prospettiva teologica costruita dalla vecchia teologia risponde con l’annunzio delle certezze dottrinarie elaborate in secoli di storia (va indietro solo sino al IV secolo!): Dio c’è e ne conosciamo gli attributi principali; si è incarnato nell’uomo Gesù di Nazareth; il quale ha fondato una Chiesa che, retta solo da vescovi e preti, insegna tutte le verità assolute necessarie alla serenità terrena.
La Chiesa con questa prospettiva conservatrice ha inteso e intende esercitare un Magistero rassicurante perché “vero”, in quanto garantito dalla Verità stessa. I dogmi, per questa prospettiva, continuano ad essere presentati come verità sovra-razionali ma non come ir-razionali.
Chi può negare che questo plesso dottrinario abbia esercitato un fascino per la sua coerenza logica interna e ancor più per il conforto che offre davanti allo spettacolo della storia che sembra il racconto di un ubriaco?
La costellazione dei dogmi cattolici, però, indubbiamente consolante, ha il difetto di non essere “vera”. Per secoli è bastata che fosse confortante, anche se poco convincente.
Da un secolo a oggi il suo statuto veritativo si è incrinato: molte intelligenze cattoliche – studiando con impegno e sincera disposizione alla ricerca – sono pervenute alla conclusione che la corona dei dogmi cattolici risulta insostenibile al vaglio delle analisi filosofiche e scientifiche, anzi quasi sempre addirittura in contraddizione con la stessa Bibbia.
Ma l’alternativa all’ortodossia tradizionale deve necessariamente essere la rinuncia al cristianesimo? Un’altra possibilità costruttiva è quella di sviluppare l’autocomprensione nella direzione suggerita dal Vangelo e dalla nuova coscienza globale del nostro tempo.
L’ampia prateria dei tanti credenti inquieti osserva che, se il messaggio cristiano fosse, originariamente ed essenzialmente, una proposta dottrinaria, l’impossibilità di giustificarla con argomenti plausibili dovrebbe condurre, per coerenza, ad abbandonare lo stesso messaggio di Gesù all’archeologia mitologica. Ma proprio l’analisi “scientifica” dei testi biblici attesta che la fede, secondo Gesù e i suoi primi discepoli, non è accettazione cerebrale di tesi metafisiche, non è un catalogo affidato al lavoro dei filosofi, quanto un modo di giocarsi l’esistenza terrena per far fiorire la vita in sé stessi e nelle altre creature. Non offre risposte teoriche al male, ma propone un impegno concreto a contrastarlo.
Oggi la Chiesa, almeno in occidente, è in crisi. Si parla di “agonia” del cristianesimo.
Ma anche se non fossimo in una fase storica “postreligionale”, a che servirebbe “salvare” la Chiesa cattolica dall’autodissoluzione tornando a parlare di “misteri” e ignorare le esigenze evidenti dell’uomo moderno? Che non sono solo esigenze sociali, economiche e politiche ma anche spirituali. Ed è proprio sul piano della ricerca spirituale che l’ironia di chi sostiene che la “Cattedra dei non credenti” si è trasformata nei “non credenti in Cattedra” ha un fondo di verità.
«Lo Spirito Santo è invisibile ed è dappertutto, pervade ogni cosa ed è al di là di ogni cosa», così il cardinale Carlo Maria Martini. Lo Spirito non è prerogativa, o peggio, proprietà di vescovi e preti. Sta anche fuori dalle sacrestie.
Constatando i fallimenti che le religioni (ma anche alcune concezioni filosofiche, etiche e scientifiche) portano in eredità, Romano Màdera, filosofo e psicoanalista, si è posto la domanda se sia possibile vivere la vita spirituale al di fuori di una religione. Vi risponde con un saggio: Una spiritualità laica. La vocazione a essere finalmente umani. È solo un esempio -fra tanti- di laici che intravedono la possibilità di una rinascita di una spiritualità non dogmatica, aperta al confronto, radicata nell’esperienza umana, e libera dai peccati strutturali dell’autoritarismo e dell’antropocentrismo.
- pubblicato su Nuovo Quotidiano di Puglia il 12 giugno 2025 col titolo La Chiesa e la spiritualità non dogmatica in risposta all’articolo del vescovo di Ugento, Vito Angiuli che si riporta alla nota 1.
(1) LE VERITÀ E LE CRITICHE TRE FEDE E RELIGIONE
Sulle pagine de “La Stampa”, Vito Mancuso ha richiamato il duplice principio della “continuità-discontinuità” e della “complexio oppositorum”. Il primo principio indica un’azione con elementi di novità e di differenza. Più complesso, invece, è il secondo principio, quello della “complexio oppositorum” che Mancuso indica come «un concetto peculiare del cattolicesimo».
Se si accetta questa formula, si deve però precisare il valore e il significato dei termini che si oppongono e chiarire se si tratta di contrari o di contradditori. Aristotele definisce come contrari i termini massimamente distanti nel medesimo genere. La contrarietà è quindi una delle forme di opposizione, ma meno radicale della contraddizione, perché ammette termini intermedi o comuni. L’opposizione per contrarietà si distingue da quella per contraddizione almeno per due motivi. In primo luogo perché i contrari hanno termini intermedi o comuni, mentre i contraddittori non ne hanno. In secondo luogo, perché due contrari possono essere entrambi falsi o entrambi veri, mentre di due contraddittori uno è necessariamente vero e l’altro falso.
In virtù di questa precisazione, preferisco parlare di principio antinomico, radicato nella dottrina cristologica che, da verità di fede, assurge a principio metafisico. Continua a pag.11
Il concilio di Nicea (325 d.C.) e quello di Calcedonia (451 d.C.) stabiliscono il dogma cristologico affermando la “consustanzialità” del Verbo con il Padre (contro Ario) e l’unità delle due nature, umana e divina, nell’unica persona del Verbo (contro Eutiche). In particolare, la definizione di Calcedonia stabilisce il principio antinomico in senso cristologico in quanto afferma l’unità in Cristo delle due nature, divina e umana, «senza confusione, immutabili, indivise, inseparabili». Traducendo questa verità teologica in principio metafisico, si deve affermare l’unità dei contrari non dei contraddittori. I contrari si rapportano in unità senza annullarsi e senza mescolarsi. I contraddittori affermano la coesistenza di verità differenti come uguali e compossibili.
Il principio antinomico è alla base del pensiero di illustri autori. Romano Guardini mette in guardia dal pericolo di identificare l’opposizione (Gegensatz) con la contraddizione (Widerspruch). Considerando il principio antinomico come noto da lungo tempo, egli afferma la consistenza oppositiva di tutto l’essere. In tal modo «le coppie di opposti sono unità. Non meccanica, ma vivente. Non nel senso che l’uno venga appiattito, assimilato all’altro. Ognuno resta nella sua forma particolare . L’unità non consiste nell’esistenza, poniamo, giustapposta dei due opposti, nel loro essere legati fra loro. Si tratta di reale unità, talmente stretta e intima che nessuna delle parti può esistere o essere pensata senza l’altra. Ognuna coesiste, non solo, ma inesiste nell’altra. Proprio questa è l’unità vivente». Anche per Pavel Florenskij «le antinomie sono l’essenza stessa delle esistenze vitali. Così è nella religione: le antinomie sono elementi costitutivi della religione».
Se, pertanto, si considera la “complexio oppositorum” nel senso del principio antinomico cadono tutte le affermazioni di Mancuso. Non si può, infatti, ritenere che Gesù sia Dio e non-Dio, nel senso della non consustanzialità con il Padre perché in questo caso i due termini sarebbero contradditori. Allo stesso modo, non ha alcun senso dire, con il cardinale Martini, di essere, allo stesso tempo e secondo lo stesso significato, “credente e non credente”. Si tratta, infatti, di due termini contradditori che metafisicamente non possono coesistere e si elidono a vicenda.
Sul piano esistenziale si può essere credente e avere dei dubbi, ma non essere credente e contemporaneamente non-credente. Avere dei dubbi non vuol dire essere non credente. Anche gli apostoli, all’inizio, avevano dei dubbi di fronte a Cristo risorto. Non riuscivano a credere tanto grande era il mistero che si presentava davanti ai loro occhi. Poi gli occhi si sono aperti ed essi hanno creduto. E allora i dubbi sono scomparsi. Sarebbe del tutto assurdo pensare che dopo l’illuminazione della fede fossero rimasti credenti e non credenti.
In riferimento alle verità di fede occorre ribadire che i pronunciamenti conciliari hanno un valore dogmatico vincolante e, pertanto, hanno una maggiore autorità e autorevolezza rispetto alle opinioni di alcuni teologici e scrittori ecclesiastici. Non si può dunque proporre una sorta di equiparazione. Le definizioni dogmatiche stabiliscono la “retta fede”, mentre le riflessioni teologiche sono e rimangono opinioni personali non vincolanti che si possono sostenere prima del pronunciamento dogmatico della Chiesa, dopo però devono necessariamente sottomettersi alla “regula fidei”. Infatti, Eusebio di Cesarea, che prima era simpatizzante di Ario, dopo Nicea accettò il termine “consustanziale” riferendolo al Verbo.
Scambiare i contrari per contraddittori sembra essere diventato “il gioco à la page” del nostro tempo. E così la “Cattedra dei non credenti” si è trasformata nei “non credenti in Cattedra” i quali, parlando “ex Cathedra”, intendono insegnare ai credenti il “vero” contenuto di una fede che essi non sono disposti a credere. Naturalmente non si nega a nessuno la libertà di criticare il cristianesimo, la Chiesa e i cristiani. Bisogna però tener presente che i dogmi cristiani non sono favole o miti, ma verità e simboli che danno a pensare al credente e al non credente.
Mons. Vito Angiuli, Vescovo di Ugento-S.M. di Leuca

