
III
“Riflessioni sulla guerra in Palestina” (9 gennaio 2009)
Prendendo a pretesto uno sconsiderato attacco di Hamas (peraltro militarmente inoffensivo), Israele ha scatenato nella Striscia di Gaza ancora una volta la sua micidiale potenza. L’esercito israeliano, dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009 ha lanciato una campagna militare chiamata “Piombo fuso” con l’intento dichiarato di “colpire duramente l’amministrazione di Hamas al fine di generare una situazione di migliore sicurezza intorno alla Striscia di Gaza nel tempo, attraverso un rafforzamento della calma e una diminuzione dei lanci dei razzi, nella misura del possibile“.
22 giorni di conflitto, nel corso del quale sono stati uccisi circa 1400 palestinesi e nove israeliani. La maggior parte dei palestinesi uccisi dalle forze israeliane erano civili non armati e almeno 300 di essi erano bambini. I razzi lanciati dai palestinesi hanno ucciso tre civili israeliani e sei soldati, mentre altri quattro militari israeliani sono stati uccisi dal “fuoco amico”. Le forze israeliane hanno inoltre condotto attacchi sconsiderati e su larga scala, riducendo in rovina intere zone di Gaza e hanno usato palestinesi come scudi umani.
L’ 8 gennaio 2009, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, adotta una importante risoluzione, la n. 1860 (https://leg16.camera.it/temiap/temi16/risol_ONU_1860.pdf).
Con molto ritardo e finalmente, la Comunità Internazionale, attraverso la sua più alta e legittima espressione istituzionale, l’ONU, ha trovato il modo di far sentire la propria voce sul massacro in atto nella Striscia di Gaza.
La Risoluzione del Consiglio di Sicurezza, composto di 15 membri di cui 5 con seggio permanente e potere di veto, è stata approvata con 14 voti a favore. Il paventato veto degli Stati Uniti non c’è stato: al suo posto, l’astensione.
Nella Risoluzione 1860 si intima la cessazione delle ostilità, la messa in atto di una tregua, l’apertura e la garanzia di corridoi umanitari per la somministrazione di aiuti, il ritiro da Gaza di tutte le truppe israeliane.
Segue la ferma condanna di tutte le violenze e ostilità dirette contro i civili, e di tutti gli atti di terrorismo. C’è anche il riconoscimento esplicito degli sforzi intrapresi da stati arabi: si fa dunque implicitamente pressione perché l’Egitto, l’Arabia Saudita e la stessa Lega degli Stati Arabi si riscattino dalle lentezze se non addirittura dalle inerzie del passato anche recente.
Particolare sottolineatura merita il punto 8 della Risoluzione che ribadisce la preconizzazione, già espressa in precedenti Risoluzioni, di una regione in cui due Stati democratici, Israele e Palestina, “vivano fianco a fianco in pace”.
La risoluzione viene però respinta dalle due parti in conflitto.
Il giorno dopo, il 9 gennaio, Di Schiena scrive il suo terzo intervento sulla guerra in Palestina. Sarà pubblicato da Adista il 24 gennaio. Certamente l’articolo sarà stato inviato al Quotidiano. Risulterà uno dei pochissimi che il giornale leccese non pubblicherà.
Se tutte le guerre sono folli, Di Schiena ritiene che la guerra tra ebrei e palestinesi è la più folle di tutte. Due popoli semiti affini per gruppo etnico e linguistico, due culture diverse ma religiosamente accumunate, due storie intrecciate, due comunità che in nome di un principio religioso hanno occupato in tempi diversi la Palestina, due comunità che hanno seminato l’una nel campo dell’altra morte, distruzione e paura e che hanno fatto fallire tutti i tentativi di accordo ed hanno seminato l’una nel campo dell’altra morte, distruzione e paura. E ciò con costi enormemente più pesanti per i palestinesi in conseguenza della netta superiorità della potenza militare israeliana sostenuta e foraggiata dagli Stati Uniti.
Di Schiena legge la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza del giorno prima con sospetto e pone tre interrogativi:
- perché non è stato possibile fermare subito la macchina bellica israeliana che, prendendo a pretesto uno sconsiderato attacco di Hamas (peraltro militarmente inoffensivo), ha scatenato nella Striscia di Gaza ancora una volta la sua micidiale potenza?
- Quali tortuosi interessi hanno tanto ritardato il doveroso intervento del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che ha finalmente approvato, all’unanimità e con la sola astensione degli Stati Uniti, una risoluzione che chiede l’immediata cessazione del fuoco ed il ritiro completo delle forze israeliane da Gaza?
- E per quale motivo il nostro Governo non ha dato alcun apprezzabile contributo ai tentativi intesi a fermare il massacro coprendosi dietro certi rituali e vuote formule del linguaggio diplomatico?
I ritardi sono attribuibili alla politica estera americana che ha sostenuto sempre la parte più forte militarmente nel conflitto e che si è mostrata sempre ostile verso tutte le rappresentanze del popolo palestinese.
La Risoluzione è respinta, irresponsabilmente, da entrambi le parti.
Il barbaro eccidio nella Striscia di Gaza continua. Che deve fare l’Onu? Di Schiena invoca l’art. 42 dello Statuto della Nazioni Unite che attribuisce al Consiglio di Sicurezza, qualora le altre misure dovessero risultare inadeguate, «il potere di intraprendere, con forze aeree, navali o terrestri, ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace». E per evitare che l’eventuale ma necessario intervento “fisico con la forza” sia formalmente deciso dall’Onu ma di fatto guidato dagli americani precisa che i contingenti armati utilizzati dall’Onu, appartenenti a stati nazionali, devono essere posti sotto un comando internazionale facente capo allo stesso Consiglio di Sicurezza. Israele non può invocare l’art. 51 dello Statuto dell’Onu cioè il ricorso alla legittima difesa e il diritto naturale all’autotutela perché non vi sono le condizioni giuridiche, a prescindere dal fatto che la difesa deve essere sempre proporzionata all’offesa.
L’ultima parte dell’intervento di Di Schiena è una forte perorazione al movimento mondiale per la pace. Elenca alcuni fatti positivi ma anche i timori che caratterizzano l’attuale congiuntura storica. Poi conclude che è davvero il momento nel quale dovrebbero scendere in piazza e far sentire la loro voce quei movimenti pacifici di protesta e di proposta che qualche anno addietro avevano acceso tante speranze nell’intero pianeta.
L’Onu non applicherà mai l’art. 42 del suo Statuto e lo strapotere israeliano contro i palestinesi continuerà. Qualche mese dopo, esattamente il 13 aprile del 2009, il presidente della Commissione Diritti Umani fonda la Missione di Fact Finding delle Nazioni Unite per il conflitto di Gaza. Il mandato è: “indagare tutte le violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale che possono essere state commesse in qualunque frangente delle operazioni militari condotte a Gaza tra il 27 dicembre 2008 e il 18 gennaio 2009. Siano queste violazioni avvenute prima, durante e dopo”.
Il Presidente nomina a capo della missione Richard Goldstone, ex giudice della Corte Costituzionale del Sud Africa e ex Pubblico Ministero al Tribunale Penale Internazionale per l’Ex Jugoslavia e il Rwanda.
La Missione di accertamento dei fatti diretta dal giudice Goldstone, istituita dal Consiglio Onu dei diritti umani, ha reso note le sue raccomandazioni in un rapporto di 575 pagine diffuso martedì 15 settembre 2009.
Le principali conclusioni della Missione internazionale indipendente di accertamento dei fatti, così sintetizzate da un comunicato stampa di Amnesty del 16 settembre 2009 (https://www.amnesty.it/israele-gaza-rapporto-goldstone-decisivo-per-la-giustizia/), sono le seguenti:
- le forze israeliane hanno commesso violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario corrispondenti a crimini di guerra e, in alcuni casi, anche a crimini contro l’umanità. In particolare, le indagini su numerosi attacchi contro la popolazione civile od obiettivi civili hanno rivelato che questi sono stati intenzionali e che alcuni sono stati lanciati al fine di spargere il terrore tra la popolazione e senza alcun giustificabile obiettivo militare. Le forze israeliane hanno inoltre usato civili palestinesi come scudi umani;
- le forze israeliane hanno commesso gravi violazioni della IV Convenzione di Ginevra, in particolare compiendo uccisioni, torture e trattamenti inumani con intenzioni dolose, procurando volutamente gravi sofferenze e gravi danni fisici e alla salute, causando vaste distruzioni di proprietà non giustificate da necessità militari, in modo illegale e sconsiderato. Per queste azioni vanno accertate le responsabilità individuali;
- Israele ha violato l’obbligo di rispettare il diritto della popolazione di Gaza a un adeguato standard di vita, che comprende l’accesso a cibo, acqua e alloggio adeguati. Il rapporto fa riferimento, in particolare, ad azioni che hanno privato gli abitanti di Gaza dei mezzi di sostentamento, del lavoro, dell’abitazione, dell’acqua nonché della libertà di movimento e del diritto di entrare e uscire dal proprio paese e, infine, che hanno limitato l’accesso a un rimedio efficace. L’insieme di queste azioni può corrispondere al crimine di persecuzione, che è un crimine contro l’umanità;
- i gruppi armati palestinesi hanno violato il principio di distinzione lanciando razzi e mortai che non possono essere diretti con sufficiente precisione contro obiettivi militari. Questi attacchi, contro insediamenti civili che in alcun modo potevano essere considerati obiettivi militari, costituiscono deliberati attacchi contro i civili, in quanto tali sono crimini di guerra e in alcuni casi possono costituire crimini contro l’umanità;
- i gruppi armati palestinesi non hanno sempre agito in modo tale da distinguersi dalla popolazione civile e hanno esposto quest’ultima a rischi inutili, lanciando razzi da luoghi situati vicino ad abitazioni civili o a edifici protetti;
- la Missione di accertamento dei fatti non ha rinvenuto prove sul fatto che i gruppi armati palestinesi abbiano trasferito la popolazione civile verso zone poi sottoposte agli attacchi israeliani o che l’abbiano costretta a rimanere nei pressi, né sul fatto che le strutture ospedaliere siano state usate dall’amministrazione de facto di Hamas o dai gruppi armati palestinesi per nascondere attività militari, né che le ambulanze siano state usate per trasportare combattenti né, infine, che i gruppi armati palestinesi abbiano preso parte ad attività militari dall’interno degli ospedali o delle strutture delle Nazioni Unite usate come rifugi.
Il rapporto, ha ricevuto ampio sostegno tra i paesi delle Nazioni Unite, mentre i paesi occidentali si sono divisi tra sostenitori e critici. Di fatto, quest’ultimi lo hanno reso, con scarse motivazioni, non decisivo ai fini della giustizia in quella zona fondamentale del medio-oriente.
(Per una lettura approfondita del rapporto e sulle sue parziali o tendenziose letture si rinvia a: https://www.saluteinternazionale.info/2009/11/una-finestra-sulla-palestina-il-rapporto-goldstone/?pdf=3269)
Antonio Greco
Riflessioni sulla guerra in Palestina
Foto Portaluri: Gerusalemme 2010

