PER UNA GIUSTIZIA DI GENERE

Paola Cavallari

Il 29 luglio 2023 Paola Cavallari, cofondatrice dell’ “Osservatorio Interreligioso contro la Violenza sull Donne”, ad Assisi nel Convegno del SAE (Segretariato Attività Ecumeniche) PER UNA GIUSTIZIA DI GENERE, ha svolto una relazione articolata su tre parole-chiave (uguaglianza/differenza, Storia/memoria, Sessismo). Di seguito la parte riguardante uguaglianza/differenza. La suddiviosione in paragrafi e i relativi titoli sono redazionali.

Come pensa la differenza dei sessi/generi la chiesa cattolica?

Differenza come imperfezione

Ci sono due modi per intendere la Differenza:

1. quando il modello del quadro di riferimento è l’Uno, e allora la parola ha un senso negativo; “x” è differente perché non-eguale al modello dato, quindi inferiore, imperfetto. Esempio: questo tè è differente da quello che volevo. È una differenza verticale, esclusiva e gerarchica. 

2. quando il modello non è più l’Uno ma il molteplice: allora il lemma ha un senso positivo: “x” è differente, sì, ma non per questo difettoso, piuttosto di ugual valore/qualità; “x” ha caratteristiche proprie, eccedenti a Una misura egemone data apriori.  Esempio: il colore rosa è differente dal verde. È una differenza orizzontale inclusiva. 

Nella cultura che abbiamo ereditato, a partire dalla filosofia greca, la donna è stata detta differente nel senso di imperfetta. Anche la psicanalisi, che è cultura contemporanea e a cui dobbiamo molto, in questa materia non si è discostata gran che. Per fare solo un accenno di sfuggita, per la femmina (imperfetta) vigeva l’invidia penis, cosa non reciproca per il maschio.

La rivoluzione del pensiero delle donne

Il pensiero delle donne ha rivoluzionato questo impianto logico/metafisico: intende Differenza nella accezione del secondo significato; scardina l’Uno (il Soggetto, il Medesimo), e predilige il Due, o il Molteplice. Dal Pensiero della Differenza scaturiscono i concetti di Parzialità e di Relazione.

Celebre il titolo di un libro della nota femminista francese, Luce Irigaray, che recitava. Ce sexe qui n’en est pas un (1977), tradotto con Questo sesso che non è Un sesso. Il titolo italiano sbiadisce la prorompente carica simbolica racchiusa nel titolo originale. 

Uguaglianza è parola trabocchetto, da disambiguare. Uguaglianza, nel pensiero femminista, non è egualizzazione, e soprattutto non è assimilazione. Le donne non devono dunque essere solamente integrate nella cittadinanza, frutto storico di un contratto sessuale tra uomini, cittadinanza pattuita e definita quindi senza di loro; devono poter partecipare alla sua definizione a tutti i livelli.

Il magistero professa la differenza? E come pensa la differenza dei sessi/generi la chiesa cattolica?

Risposta: Sì. In quale chiave ermeneutica?  Nel primo significato, sostanzialmente; ma fingendo e spacciandolo per il secondo.

Riguardo il campo delle dinamiche uomo/donna (che si ramifica in mille aspetti) all’interno della Chiesa cattolica, con parole prese a prestito da Ivan Illich, userei l’espressione Corruptio optimi quae est pessima, tanto il fallologocentrismo del magistero cattolico ha deformato, guastato, quel nutrimento spirituale e corporale che era la Parola del Maestro, e si è insinuato, travestendosi di sacro, in tutte le pieghe e fessure dell’area religiosa.  Sull’ordinazione delle donne non mi trattengo. Ma osservo solo che Gesù non ha mai ordinato sacerdote nessuno, uomo o donna che fosse, dicono le fonti senza ambiguità. La questione di accesso femminile al sacerdozio è la più frequentata, ma non la più significativa a mio parere. La monaca benedettina Antonietta Potente osservò – a un convegno che organizzammo con altre associazioni- che non si tratterebbe di ammettere le donne cattoliche a un ministero ordinato da cui sono interdette; ma di convertire il ministero stesso in ministero disordinato, dentro la vita e non avulso da lei.

La gerarchia fra i sessi, per il magistero cattolico, è essenziale per l’ordine, mondano e oltremondano. L’egemonia (autoritaria o paternalistica) di un sesso – cioè di uomini celibi che però si sono occupati ossessivamente di morale sessuale – è talmente imponente che non posso non definirla costitutiva.  Mostrandosi per lo più non esplicitamente ma dissimulandosi. C’è solo l’imbarazzo della scelta per evocare le innumerevoli attestazioni e manifestazioni di tale primazia, assunta come principio d’ordine nonché divino, e le ancor più frequenti espressioni latenti. Non sono solo, infatti, i codici scritti o orali a parlare la lingua misogina. Parla forse ancor di più ciò che viene alluso e sottointeso, performando implicitamente valori patriarcali.  I linguaggi non scritti, che popolano la produzione iconica/ gestuale (ad esempio tutte le meravigliose opere d’arte commissionate da papi e autorità ecclesiali) – non sono affatto secondari nella trasmissione dei messaggi: l’efficacia performativa si attua soprattutto nel semeiotico, nel subliminale e nelle risonanze che si riverberano nell’immaginario.

Il tradimento delle premesse/promesse evangeliche

Nei secoli si è consumato il tradimento delle premesse/promesse evangeliche, snodatosi fino a noi, attuatosi quanto più le comunità cristiane divenivano monocratiche; quanto più assumevano il volto dell’ortodossia, tanto più espellevano l’eresia – da loro definita tale- e con essa il contributo essenziale delle donne.

Nella realtà odierna siamo ancora in un assetto di ancillarità femminile, di depotenziamento, di assegnazione di spazi recintati- decisi da una autorità maschile- in un quadro teologico che però rinnega la primazia maschile, poiché si rifà alla diade “principio petrino- principio mariano, dove ogni genere vivrebbe i propri  specifici carismi.

Tale dualità potrebbe quindi indurre a pensare ad una iscrizione nel regime del Due. Ma uno sguardo critico ne scorge l’inganno.

Il magistero degli ultimi papi

a) Affidamento

Esso è in auge con gli ultimi quattro papi; trova una formulazione compiuta nella Mulieris Dignitatem (agosto ‘88). In occasione della sua rivisitazione, 25 anni dopo l’uscita, con l’allocuzione del 12 ottobre 2013, “Dio affida l’essere umano in modo speciale alla donna” (MD, 30), papa Francesco si sofferma sulla parola affidamento: su essa verteva il seminario organizzato dal Consiglio per i laici, orientato a interpretare il ruolo della donna, nella chiamata fondamentale e ontologica alla maternità. Così afferma Francesco:  

Avete approfondito in particolare quel punto dove si dice che Dio affida in modo speciale l’uomo, l’essere umano, alla donna [Sic]… Che cosa significa questo speciale affidamento? Mi pare evidente che il mio Predecessore si riferisca alla maternità… tante cose possono cambiare…, ma rimane il fatto che è la donna che concepisce, porta in grembo e partorisce i figli degli uomini [Sic], chiamando la donna alla maternità, Dio le ha affidato in una maniera del tutto speciale l’essere umano [Sic].

La donna qui incarna i caratteri della super-woman, non appartenente alla categoria “essere umano”, ne è estranea.   Evoca la figura della Madonna della misericordia, stupendamente rappresentata in molti affreschi: visione sublime, mitica, gigantesca, che abbraccia la comunità; con il suo mantello amplissimo accoglie i fedeli devoti, li protegge.

Ma da quale punto di vista è immagine consolatoria? Dell’uomo che si affida, appunto! E non avverte per nulla quanto in tale rappresentazione trapeli un indizio di infantilizzazione.  Gli uomini che si immedesimano nei personaggi “protetti” non si relazionano a donne, ma a un fantasma femminile onnipotente, che ora li accoglie, ma potrebbe anche annientarli. Per cui non si può non diffidare delle donne, come sosteneva S. Agostino.    

Dal punto di vista di una donna quale io sono, questa figura sovrastante ha qualcosa di inquietante; non posso trovare alcuna consolazione! Vivo invece la prepotenza della proiezione maschile su di me; da questa immagine mi sento sovracaricata, schiacciata dal compito che mi è stato assegnato, oberata di responsabilità…, mi sento sola, tremendamente sola.   

Quale nostalgia per le parole di Pacem in terris, di papa Giovanni 23 sulla dignità della donna!

b) La vocazione alla maternità e il genio femminile

Nell’idea della vocazione alla maternità come cifra ontologia, come specifico imprescindibile del femminile si annidano i tratti di un irrisolto legame di attaccamento da parte del chierico (uomo celibe, peraltro), un convitato di pietra che nelle dottrine cattoliche è stato rimosso.

Inoltre, offende le donne che, pur essendo madri, non si riconoscono in tale simbolica. La maternità è valore superbo, è funzione nobilissima, ma ridurre una persona, nell’infinito del suo mistero, a ciò e rappresentare la maternità come IL sigillo della chiamata/discepolato femminile non è né evangelico, né biblico, né ispirato alla giustizia.

Non abbiamo nei quattro vangeli la celebrazione del materno, gli esempi sono parecchi; voglio qui solo evocare la frase di Lc 11,27-28.

Mentre diceva questo, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: “Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!”. Ma egli disse: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!

La differenza femminile si sostanzierebbe nel genio femminile, nella vocazione all’amore oblativo e al servizio gratuito. Ma se poi ci si riferisce non solo alla maternità fisiologica ma a tutta la costellazione di sensi che ad essa sono associati (l’oblatività, la misericordia), rilevo che essi dovrebbero costituire non tanto il destino della donna, quanto il nocciolo dell’identità cristiana, e quindi dovrebbero valere per ogni cristiano, maschio e femmina.  

Si potrebbero riempire biblioteche con i commenti che teologhe consapevoli e avvedute hanno prodotto sulla esaltazione della figura femminile -che è il cuore della retorica del genio femminile- e su come l’idealizzazione e la magnificazione delle virtù femminili corrispondano simmetricamente alla sua esclusione da ogni riconoscimento ministeriale.

 «Qual è allora il genio maschile?» chiede la teologa americana Sr. Sara Butler. E la teologa Anne Soupa: «Signori, siete spogliati della vostra retorica verbale abituale, così laudativa della dignità della donna. Ah…. quante omelie, quanti discorsi magisteriali, quante esortazioni apostoliche avete “commesso” a proposito della “donna eterna”, di quel famoso “genio femminile”!». 

Non sfugge alla captazione del genio femminile il nuovo prefettodell’ex Santo Uffizio, l’argentino Victor Manuel Fernandez; intervistato da Repubblica (9 luglio 2023) egli afferma: “Si tratta di approfondire e spiegare molto meglio il posto specifico delle donne, il loro contributo più proprio”.

Di nuovo domanderei “E allora, ci dica Sua eminenza: qual è il posto specifico degli uomini, il loro contributo più proprio”? E ancora: qual è il sesso specifico che decide tali posti specifici e chi li ricopre?

Infine, concludendo: si è mai vista una organizzazione sociale che elegge a parole determinate persone come vertice da cui tutto discende (“nella Chiesa il principio petrino dell’autorità è sempre secondario e subordinato rispetto a quello mariano”) e poi le esclude nella prassi?

Tale polarità, scrive la teologa Lilia Sebastiani, rappresenta in senso tecnico uno “scandalo”, per donne e uomini che non possono più concepire la differenza sessuale in termini gerarchici.

One Reply to “”

  1. Pingback: SESSISMO

Lascia un commento