Don Milani e Michele Di Schiena
Antonio Greco
28 giugno 2023: tre anni fa moriva Michele Di Schiena. Tre anni di vuoto, che il tempo trascorso non sana.
Molti di noi si chiedono: cosa direbbe oggi Michele sulla guerra in Ucraina, sulla transizione ecologica, sul PNRR, sul vento di destra nella politica europea, sul governo Meloni, sulla fine di Berlusconi, sulla grave crisi della sinistra italiana, sulla politica regionale e sulle ultime amministrative a Brindisi? E ancora, sul pontificato di papa Francesco, sulla chiesa italiana, ecc.
Per come lo conosciamo, non c’è alcun dubbio che avrebbe avuto molto da dire e sarebbe bellissimo leggere e ascoltare le sue parole perché significherebbe averlo ancora tra noi. Per Michele la scrittura era una didascalia di fatti ed eventi.
“Leggere Michele” per il nostro drammatico oggi non basta. Occorre “leggere a partire da Michele”.
La sinistra di coscienza
Il 2 e 3 dicembre 1997 Raidue trasmette una fiction su Don Milani: Il priore di Barbiana, girata dai fratelli Frazzi e interpretata da Sergio Castellitto[1]. Il successo è enorme. Fu vista da quasi otto milioni di telespettatori. L’11 dicembre Michele Di Schiena, sul Quotidiano[2], scrive:
“La televisione nei giorni scorsi ha avuto un momento di grazia e, fra i consumati ritornelli e le logore banalità, ci ha offerto con Raidue un condensato della “lezione” di don Milani, uno sceneggiato di buona fattura che è stato seguito da otto milioni di spettatori fra la sorpresa e talvolta lo sconcerto dei tanti esperti ormai convinti che agli italiani vanno dati solo “panem et circenses”, il primo con la crescente parsimonia imposta dalla logica di Maastricht e i secondi con la studiata abbondanza decisa dai mercanti delle distrazioni e delle immagini.
Ma attenzione: il priore di Barbiana non è stato solo un cristiano dalla fede “senza confini” ed un grande riformatore che ha visto nella scuola e nella cultura lo strumento indispensabile per la crescita umana e l’emancipazione sociale dei deboli e degli esclusi; egli è stato anche un sacerdote che ha letto il Vangelo senza glosse e senza adattamenti; è stato ed è una delle più autentiche incarnazioni di una giustizia che fa proprie le ragioni dei poveri e contesta lo strapotere e lo sfruttamento dei ricchi; è stato ed è “un ribelle per amore” che smaschera l’ipocrisia di ogni ammiccante “buonismo”, che si schiera non per dividere ma per lottare contro ciò che divide e che investe il suo patrimonio di sensibilità umana in una solidarietà non utilizzata come valvola di sfogo dello “status quo” ma restituita alla sua funzione politica di liberazione e di trasformazione. Don Milani non ha lasciato trattati educativi né “opere” di alcun genere ma il suo testamento è costituito dalla memoria della sua vita e della sua piccola scuola di Barbiana con le quali ha dato un prezioso contributo a quella “sinistra di coscienza” che in questo tormentato secolo ha avuto grandi maestri e grandi profeti da Gandhi a Martin Luther King, da Raul Follereau a monsignor Romero, da Don Minzoni a padre Chenu, da don primo Mazzolari a Giorgio La Pira.
Questa “sinistra di coscienza” non ha fondato partiti né gestito istituzioni ma è stata la testimonianza disarmata ed indomabile della domanda di giustizia che sale dai diseredati dei paesi poveri e dagli umiliati dei paesi ricchi che il capitalismo del mercato totale domina e sfrutta a piacimento. Si tratta di una sinistra che si colloca sempre a prudente distanza dall’area del potere non per le suggestioni di un vago anarchismo ma per la persuasione che il potere, almeno quello che la storia ci ha fatto finora sperimentare, è sempre percorso da tentazioni egemoniche e corre sempre il rischio di tradire la sua ragion d’essere e di ripiegarsi su se stesso. Ed è per questo che Don Milani scriveva così nel 1950 ad un giovane comunista: «Hai ragione, si, hai ragione, fra te e i ricchi sarai sempre te povero ad aver ragione… Ma il giorno che avremo sfondato insieme la cancellata di qualche parco ed installato insieme la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordatene Pipetta, non ti fidare di me, quel giorno io ti tradirò. Quel giorno io non resterò là con te. Io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio Signore crocifisso».
E sì, la “sinistra di coscienza” non considera “normali” il capitalismo e i paesi delle democrazie occidentali perché non è normale un sistema economico che condanna alla miseria tre quarti dell’intera umanità e concentra il potere nelle mani di pochi emarginando dai grandi centri decisionali la maggioranza dei cittadini. Di questa “sinistra morale” oggi ha bisogno più che mai la sinistra politica se non vuole trasformarsi completamente in una destra capitalista e liberista dal volto appena più addolcito di quello della destra con denominazione di origine controllata”.
L’articolo prosegue con la citazione del Cardinal Martini a sostegno della sua tesi che “da noi destra e sinistra si somigliano sempre di più perché si assiste ad una preoccupante «omologazione dei baricentri sotto la spinta di una comune logica individualistica dei diritti privati e della conservazione dei privilegi di quelli che li hanno già»”.
Il 1997 di Michele Di Schiena e il trentennale della morte di don Milani
Per capire che l’articolo di Michele sulla “sinistra di coscienza” non è legato a un fatto di cronaca o semplicemente estemporaneo ma è un frammento della formazione di Michele, sin dal suo servizio giovanile nelle ACLI di Lecce, occorre leggere lo studio, molto qualificato storicamente e godibilissimo nella lettura, di Fulvio De Giorgi, La Buona Battaglia del radicalismo evangelico, Michele Di Schiena nella sinistra cattolica, Manni editore, del 2021.
In questo articolo lo sguardo è solo ai suoi scritti del 1997. Prima dell’articolo su don Milani, sono 15, quasi tutti pubblicati sul Quotidiano. Non sarà facile fare una sintesi. Ci provo.
Il quadro politico nel 1997
Michele, nel febbraio 1997 si pensiona dalla Magistratura. Il Governo dell’Ulivo, presieduto da Romano Prodi, è alle prese con la riforma dello stato sociale, con la Bicamerale per la riforma della Costituzione, con il problema dei migranti, in particolare con quelli albanesi, con la candidatura di Di Pietro per la elezione di un senatore nel Mugello (quindi anche a Barbiana), proposta dal DS di D’Alema. Nello stesso anno, ad agosto, Michele, “da credente, con rispetto ma con ruvida franchezza”, pubblica una lettera aperta[3] a mons. Ruppi, arcivescovo di Lecce, sul problema dei migranti albanesi e, a ottobre, una interessante polemica con Scalfari, direttore di Repubblica, su “sinistra e profeti”[4].
I processi involutivi dell’Ulivo
Michele, definendosi modesto osservatore, sostiene, in questi articoli, che:
Il neoliberismo è diventato una ideologia totalitaria che si dichiara priva di alternative, che considera i poveri un ostacolo alla crescita economica e all’espansione del mercato totale, e che di fatto tenda all’esclusione. Il pensiero politico unico uccide il pluralismo, mortifica la democrazia e prepara la peggiore delle dittature, quella sulle coscienze e sulle intelligenze. Non è vero che non si può uscire dal neoliberismo perché fuori di esso c’è il nulla. I limiti del neoliberismo sono sotto gli occhi di tutti. Il libero mercato non è la panacea di tutti i mali. Stato sociale e riforme costituzionali sono due facce della stessa medaglia.
Segnala che destra e sinistra sono senza politica; che vi sono nell’Ulivo processi involutivi; che esiste una inquietante prospettiva di una democrazia controllata e affievolita e che i cattolici di sinistra non devono essere il lubrificante sacro dell’omologazione universale degli spiriti che il neoliberismo internazionale sta portando avanti.
Un sognatore di sinistra
Michele si identifica con “uno dei tanti sognatori, laici e cattolici, di una sinistra che crede nella sua identità, che non ha complessi e si oppone alle suggestioni della egemonia liberista, che si riconosce in una democrazia diffusa e partecipativa lontana da tentazioni plebiscitarie, se non vuole dissolvere nel crogiuolo delle tattiche i suoi valori di riferimento, e che in ultima analisi fonda la sua stessa ragion d’essere sulla persuasione che l’interesse generale può essere promosso solo se si assicura la tutela delle posizioni più debole”. Il suo è un “non ci sto” “per niente gridato e privo di iattanza, è un segno di amarezza e di mortificazione; è la testimonianza sofferta di idee, convinzioni ed esperienze condannate oggi a vivere un grande disagio; è l’espressione dello Stato d’animo di chi senza anatemi e senza illusioni si ribella all’attuale torre di babele aspettando, con la mesta speranza di Edoardo De Filippo, che «a nottata» della nostra politica abbia finalmente a passare”[5].
La crisi della sinistra politica dopo il 1997
Ancora di più, dopo il 1997 la sinistra politica apparirà in crisi, divisa, alla ricerca di una identità e di un’anima. Nella sinistra politica italiana, dopo il crollo del “socialismo reale”, pur quasi sempre senza linee di demarcazione nette, convivono, si scontrano tre costellazioni ideologico-politiche: “la sinistra riformista e liberale”, quella “socialisteggiante” e quella “democratico-sociale e anticapitalistica”.
Lo slittamento ideologico-politico della “nuova” sinistra verso la “sinistra riformista e liberare” sarà solennemente celebrato, pochi mesi dopo, nel convegno fiorentino del 1999 sul “riformismo nel XXI secolo” cui parteciparono Blair, Clinton, Jospin, Schroeder.
Michele, conscio di questo lento slittamento ideologico, aggrappandosi a don Milani e a Martini, lancia un grido e un appello: “Di questa «sinistra di coscienza o morale» oggi ha bisogno più che mai la sinistra politica”.
Perché don Milani nella “sinistra di coscienza”
Ha tre motivi per inserire don Milani come riferimento per la “sinistra di coscienza o morale”. Per don Milani: 1) “Conoscere i poveri e amare la politica è tutt’uno”. Ma non di una politica qualunque doveva trattarsi: “28 apolitici più tre fascisti è uguale 31 fascisti”[6]; 2) la necessità di mantenere una forte distanza dal potere; 3) la lotta al capitalismo e all’attuale sistema economico, fonte di gravi ingiustizie.
Se per collocare don Milani nella sinistra di coscienza sono indiscutibili la sua ricerca di “una giustizia che fa proprie le ragioni dei poveri e contesta lo strapotere e lo sfruttamento dei ricchi”; se altrettanto è indiscutibile in don Milani è la distanza dall’area del potere, “sempre percorso da tentazioni egemoniche e che corre sempre il rischio di tradire la sua ragion d’essere e di ripiegarsi su sé stesso” (distanza dal potere a cui Michele teneva molto, tanto che nel 1987 rinunciò ad una candidatura al Senato, comunicata ai proponenti proprio con la citazione della lettera a Pipetta[7]); non altrettanto evidente appare in don Milani la lotta al capitalismo e all’attuale sistema economico. Ma Michele non tira per la giacchetta don Milani. Anzi, coglie un aspetto che ieri e oggi si tende a nascondere ed annacquare, anche senza don Milani, perché troppo scomodo. E se fosse stato colto non avremmo avuto i disastri in cui si è cacciata la sinistra politica.
La motivazione di Balducci
Lo ha spiegato bene Balducci: don Milani “non si è fatto un problema delle strutture sociali ed economiche né delle strutture ecclesiastiche. In genere chi elude simili problemi segue la via dell’evasione contemplativa o dello sterile moralismo. Don Milani non trascurò le strutture per evasione; sembrò trascurarle per superamento, puntando sulla identità dell’uomo con Gesù Cristo. Proprio facendo leva su questo profondissimo punto archimedico egli ha in verità scosso le strutture di cui sembrava non curarsi. (…)
La teologia della liberazione di Barbiana è in fondo, secondo me, l’intuizione e l’esperienza pastorale di don Milani: liberare l’uomo dallo stato di passività qualunque sia l’istituzione in cui si trovi, la parrocchia o la Casa del popolo. Ecco, la liberazione consiste nel dare al ragazzo, all’uomo, la capacità di giudicare con la propria testa”[8].
Don Milani, per Michele, entra a buon diritto nel pantheon dei grandi maestri e grandi profeti, da Gandhi a Martin Luther King, da Raul Follereau a monsignor Romero, da Don Minzoni a padre Chenu, da don primo Mazzolari a Giorgio La Pira, anche essi grandi critici e oppositori delle strutture socio-economiche e religiose in cui erano inseriti.
Pellegrinaggi politici a Barbiana
Qualche mese dopo, nel 1998, nuovo segretario dei DS sarà Walter Veltroni, che iniziò il suo incarico tracciando quella che doveva essere una nuova geografia di riferimenti culturali per la “nuova” sinistra liberale e riformista, quella che accetta come certezze incrollabili i princìpi del libero mercato, della centralità dell’impresa e della bontà intrinseca della globalizzazione economica. Il nuovo segretario, in risposta a un invito lanciato da M. Lancisi, Caro Veltroni, vieni a Barbiana, sul “Tirreno” del 2 dicembre 1998, scrive: “Andrò nei luoghi di don Milani perché credo che anche dalla sua esperienza sia possibile trarre un insegnamento forte su come si debba intendere la politica”[9].
La vicenda di come alcuni politici dell’epoca furono folgorati sulla via di Barbiana e sull’inserimento di don Milani nel pantheon della “nuova” sinistra è ben raccontata da Matteo Mennini con la ricerca “Pellegrinaggi politici a Barbiana”, di cui riportiamo la conclusione: “Solo un accurato lavoro storico, esigenza emersa più volte nel dibattito degli ultimi anni, può disinnescare l’operazione agiografica che il pellegrinaggio politico degli anni Novanta ha messo in atto, inaugurando un «culto» funzionale non all’immaginario del “nuovo”, ma alla logica dell’auto rappresentazione: se con Ingrao o la Pira a Barbiana saliva un pezzo del paese, con Veltroni, Di Pietro, Bertinotti, Fioroni o Renzi, negli ultimi anni, sono saliti singoli protagonisti, ogni volta diversi, dell’unica grande scena di una politica italiana alla ricerca di consensi. Altri “Pierino”, avrebbe detto il priore…”[10].
Dalla “sinistra di coscienza” alla “sinistra della diaspora”
Riferendosi all’insegnamento del card. Martini, Michele concludeva il suo articolo dell’11.12.1997 con una malinconica previsione: “«non bastano alcune difese di diritti specifici e di valori particolari se non sono collocate nel quadro di un miglioramento complessivo dello Stato e di promozione di tutti i cittadini, condizione questa indispensabile per affrontare i problemi come il lavoro, la casa, l’equità fiscale e distributiva, i grandi temi insomma dello Stato sociale». Diceva ieri queste cose, col suo crudo linguaggio, Don Milani; dice oggi le stesse cose, con un tono pacato, il cardinal Martini: quel prete non fu ieri ascoltato e venne isolato dai conservatori e dai moderati di tutti i colori, quegli stessi che oggi, nella mutata situazione e con mutate casacche, ascoltano con distrazione e freddezza le parole dell’arcivescovo di Milano, impegnati come sono a ragionare secondo i canoni del “pensiero unico” ed a contendersi, con alterne vicende, un potere più rivolto a gestire la malinconica normalità del presente che a costruire con la forza della speranza le novità del futuro”.
Sul potere del pensiero unico, sulla continuità di fondo tra centrodestra e centrosinistra nella lunga catena delle controriforme che hanno smantellato le tutele del mercato del lavoro e trasferito sempre più ricchezza ai redditi più alti, sulla necessità di “una sinistra di coscienza”, e di “una sinistra che trovi ragion d’essere”, fino a ipotizzare, nel 2019, una “sinistra della diaspora”[11], Michele non smetterà di scrivere.
Sembra che sul pensiero di don Milani Michele non sia più tornato a scrivere. Sulla “sinistra”, invece, gli spartiti della sua musica sono ricchissimi e tutti da studiare. Basta citare il titolo del penultimo suo scritto “La sinistra ritrovi nell’uguaglianza la sua ragion d’essere”[12], del 20 ottobre 2019, pochissimi mesi prima della sua morte.
E oggi?
Non so se don Lorenzo
Nell’aprile-maggio del 2023 è stato celebrato il centenario della nascita di don Milani. Il Ministro della cultura, con Decreto del 27 aprile 2023[13], ha istituito il Comitato nazionale per le celebrazioni del centenario della nascita di Don Lorenzo Milani. Alle celebrazioni è stato presente il Presidente della Repubblica. Don Milani è tornato alla ribalta delle polemiche giornalistiche e degli articoli più o meno severi.
C’è un dato positivo: Barbiana può essere “tirata a lucido” per un giorno, come per il centenario di Milani, ma poi ritorna quella che era. Non sarà mai un santuario. “Barbiana non farà la fine di San Giovanni Rotondo e di Padre Pio. Mi rifiuto di farne un santuario. Qui il pulmino con la porchetta non lo vedrete mai”, sosteneva Michele Gesualdi, presidente della Provincia, nel lontano 2000[14].
Non così è per il pensiero di don Milani. Nei 56 anni che ci separano dalla sua scomparsa, su don Milani si è scritto tanto: una intera biblioteca di studi, articoli di stampa a non finire, polemiche a iosa, una disperante superficialità nel dibattito pubblico su Barbiana e, in particolare, sulla complessa esperienza educativa del Priore.
La pubblicazione nei Meridiani della Mondadori di “Don Milani, Tutte le opere”[15], coincisa con la visita di papa Francesco a Barbiana, è strumento prezioso per uscire da luoghi comuni, strumentalizzazioni e superficialità che il tempo ha incrostato sul pensiero di don Milani.
Sulle celebrazioni del Centenario della nascita appena concluse, mi servo del titolo del bellissimo testo di Adele Corradi, “Non so se don Lorenzo”[16]. Adele non sa “se don Lorenzo abbia chiesto scusa a quelli che pensava di aver fatto soffrire”[17]. Non so se Don Lorenzo, che ha contestato il potere sia politico che ecclesiastico, e ora si vede celebrato, usato e abusato dallo stesso potere, non avrebbe mandato tutti a quel paese…
I segni della speranza
Oggi la sinistra, italiana ed europea, è in gravissima crisi.
Leggere i testi di qualcuno che non c’è più e scoprire che tutto era stato previsto, spiegato, anticipato da decenni come se ci fosse stata un irrefrenabile rovinosa corsa, a cui si è tentato di porre a mani nude rimedio, è la condanna dei profeti: quella di essere emarginati e di non essere creduti.
Tenace, vigorosa, motivata è stata l’insistenza di Michele Di Schiena per far aprire gli occhi sul disastro che il pensiero unico del neoliberismo da anni ha prodotto e produce nella nostra vita quotidiana; sul fatto che il neoliberismo ha distrutto un pilastro della modernità, perché nei fatti mina l’uguaglianza di tutti gli uomini; che il mercato, divenuto “onnipotente”, “onnisciente”, talvolta “benevolo”, è la nuova religione pagana a cui si prostrano molti, laici e credenti. Questi chiodi, battuti per anni da Michele, spesso in solitudine e nell’indifferenza, hanno avuto scarsa eco nella “sinistra politica”, se è ridotta all’insignificanza e all’insipienza.
Negli scritti di Michele, però, al termine di durissime considerazioni ed analisi, c’era sempre il richiamo al dovere della speranza, ai suoi segni e alle sue piste lungo le quali avviarsi. Credeva che ci fosse sempre un di più di vita nelle crisi sociali e politiche che nessuno ascolta. Queste piste di ieri indicate da Michele, oggi devono fare i conti con la pandemia del covid-19 che Michele ha sfiorato ma che non ha vissuto, con una situazione economica e finanziaria del PNNR del tutto nuova, con la guerra in Ucraina, con la morte di Berlusconi ma non del berlusconismo…, con il nostro oggi.
È un dato: analisi e piste di speranza, auspicate da Michele, per un modo nuovo di organizzare la vita sociale e politica trovano, sempre più eco in quella “sinistra di coscienza”, diffusa e critica, senza partito e senza chiesa.
A mo’ di esempio, un brano dell’ultimo libro che ho letto in questi giorni:
“Viviamo in un mondo globalizzato che bellamente accetta che un manager d’azienda guadagni 1000 volte più di un’insegnante, e un calciatore di prima fascia 1000 volte più di un contadino. Che in fondo ci pare normale, perché siamo immersi in una ideologia che ci fa credere che questi fatti siano passaggi necessari sulla strada del progresso. Ma si sta aprendo un pertugio, stiamo incominciando a capire che la rincorsa a questo ideale sta minando la casa comune, il sistema delle relazioni, e crea disuguaglianze che ci rendono impauriti e nervosi. Ecco allora comparire all’orizzonte l’uomo comunitario, una concezione dell’umanità diversa, orientata alla solidarietà e non alla competizione. Essa prevede che siano i più fragili a dettare il ritmo della marcia e non i più ricchi, che le relazioni siano al centro dell’esistenza, che i beni essenziali siano garantiti a tutti e gestiti come beni comuni”. È un brano tratto dal testo di Gael Giraud e Carlo Petrini, Il gusto di cambiare, intervistati dal giornalista Stefano Arduini, appena in questi giorni nelle librerie.
Michele carissimo, noi continuiamo a leggere i tuoi scritti. Il tuo pensiero si fa strada. Non per merito nostro. Non posso, però, nascondere un sentimento: com’è strano leggerti ora, che tu sei nella pace e noi in guerra!
Lecce, 18 giugno 2023
[1] https://www.raiplay.it/video/2023/04/Don-Milani-Il-priore-di-Barbiana-52259915-a4c2-40c0-8cf9-54669d534475.html
[2] https://www.archiviodischiena.it/wp-content/uploads/2022/11/19971211-QUOTIDIANO_la_sinistra_di_coscienza_tra_don_Milani_e_Martini-MDS.pdf
[3] https://www.archiviodischiena.it/wp-content/uploads/2022/11/19970822-QUOTIDIANO_-albanesi_opportunita%CC%80_politica_e_coraggio_della_testimonianza-MDS.pdf
[4] https://www.archiviodischiena.it/wp-content/uploads/2022/11/19971031-IL-VENERDI-di-LA-REPUBBLICA-Sinistra-_e_profeti-MDS.pdf
[5] https://www.archiviodischiena.it/wp-content/uploads/2022/11/19970719-QUOTIDIANO_-Dalema_Dipietro_il-forte_disagio_sinistra-MDS.pdf
[6] Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Lef, Firenze, 1971, pag. 108.
[7] Fulvio De Giorgi, La buona battaglia del radicalismo evangelico, Manni editore, pag. 82.
[8] in Maurizio Di Giacomo, Don Milani, tra solitudine e Vangelo, Borla, 2002, p.6
[9] in Salire a Barbiana, a cura di Raimondo Michetti e Renato Moro, Viella, 2017, pag. 244.
[10] Matteo Mennini, Pellegrinaggi politici a Barbiana, in Salire a Barbiana, op. cit., pag. 257.
[11] Sinistra della diaspora “diversa da quella che, dentro e fuori il PD, continua a dire e a fare cose di destra prefigurando anche, in qualche sua area, la riedizione di quel “Patto del Nazareno” sempre pronto a riemergere dalla sua morte apparente. Una sinistra, quella della “diaspora”, che si riconosce pienamente nel nostro Statuto e ne chiede la puntuale attuazione e che perciò, sia pure con le dovute riserve in ordine alla mancanza di un organico progetto trasformatore, considera positivamente alcune scelte del Movimento pentastellato: il reddito di cittadinanza che ha la sua fonte nell’art. 38 della Costituzione, il salario minimo delineato dall’art. 36 della Costituzione medesima, la proposta di legge per la ripubblicizzazione dell’acqua gestita da un ente pubblico secondo la logica dell’art. 32 della Costituzione, il decreto dignità che sanziona in modo più pesante i licenziamenti arbitrari, l’anticorruzione che blocca la prescrizione, l’abolizione dei vitalizi e il taglio delle pensioni d’oro, il piano sanitario nazionale approvato dalla Conferenza Regioni che punta a garantire la riduzione dei tempi nelle liste ospedaliere di attesa, i possibili impegni a tutela dell’ambiente e alcune appropriate scelte di politica estera fra le quali spicca il mancato riconoscimento (unico in Europa) nel Venezuela del fantomatico Governo guidato da Juan Guaidò”.
Michele Di Schiena,in https://www.archiviodischiena.it/wp-content/uploads/2022/11/20190629-QUOTIDIANO_il_collante_per_fermare_la_diaspora_della_sinistra-MDS.pdf
[12] Michele Di Schiena, in https://www.archiviodischiena.it/wp-content/uploads/2022/11/20191023-QUOTIDIANO_-il_populismo_di_sinistra_e_l_uguaglianza-MDS.pdf
[13] https://www.beniculturali.it/comunicato/dm-177-27042023
[14] Don Milani. Porchetta di Barbiana, in «L’Espresso», 7 dicembre 2000.
[15] Don Lorenzo Milani. Tutte le opere, I meridiani di Mondadori, Milano, 2017, 2 tomi. Edizione critica diretta da Alberto Melloni. Migliaia di pagine e una ricchissima bibliografia.
[16] Adele Corradi, Non so se don Lorenzo, Feltrinelli, Milano, 2012, pp.181.
[17] op. cit., Nuova edizione accresciuta del 2017, pag. 123.

